Ultrafiltrazione peritoneale nello scompenso cardiaco

Introduzione

LE BEST PRACTICE DEL GRUPPO DI STUDIO DIALISI PERITONEALE DELLA SOCIETA’ ITALIANA DI NEFROLOGIA.

La pratica clinica è influenzata e guidata dalle linee guida che le varie società scientifiche (EBPG/ERA-EDTA, K/DOQI, CARI, CSN, UKRA, KDIGO) [1] pubblicano in base all’evidenza tratta dagli studi clinici secondo una gradualità basata sulla qualità dello studio clinico [2]. Le linee guida rigorosamente costruite rappresentano una buona opzione per il miglioramento della qualità delle cure mediche  [3].

Tuttavia alcune di queste linee guida sono basate su un evidenza di basso livello o su opinioni di esperti  [4]  ma vengono, spesso, considerate alla stessa stregua delle evidenze più forti.

D’altra parte, in numerosi casi, le evidenze cliniche, su cui dovrebbero basarsi le linee guida, sono assenti.

In molti campi della nefrologia e della dialisi peritoneale non si hanno linee guida basate sull’evidenza  [5] [5] e ciò spesso implica comportamenti clinici difformi.

Sulla scorta di iniziative simili [6] [7]  anche il Gruppo di Studio Dialisi Peritoneale (GdS DP) della Società Italiana di Nefrologia (SIN) ha lanciato l’iniziativa di scrivere delle Best Practice (migliore pratica clinica) sugli aspetti fondamentali della dialisi peritoneale che hanno lo scopo di fornire alcune indicazioni sulla migliore conduzione clinica nelle aree critiche della dialisi peritoneale, soprattutto dove non ci sono linee guida basate su un’evidenza forte.

Le Best Practice verranno proposte da un Comitato Consultivo rappresentato dal Coordinatore del GdS DP Dr Vincenzo La Milia, dal Segretario del GdS DP Dr Giovambattista Virga e dal Prof. Giovanni Cancarini.

Ogni singola Best Practice verrà sottoposta ad un Comitato di Esperti in Dialisi Peritoneale in modo da pervenire alla stesura di un documento condiviso per ogni singola Best Practice.

Tali documenti verranno pubblicati per esteso sul sito del GdS DP (www.dialisiperitoneale.org) arricchite da diagrammi di flusso di rapida consultazione, corredate da istruzioni operative (utilizzabili anche dal Personale Infermieristico), tabelle e calcolatori.

Se accettate le Best Practice verranno pubblicate, in forma più sintetica, su una rivista nazionale. Compito del GdS DP è anche quello di diffondere le Best Practice in riunioni, convegni, congressi, sia a livello locale che nazionale. In base a tali incontri, e alla letteratura futura, è possibile che le Best Practice vengano aggiornate.

Avvertenza importante.

Le Best Practice, anche se scritte con la massima attinenza a quanto esistente in letteratura scientifica e alla pratica clinica dei componenti del Comitato Consultivo e del Comitato di Esperti, sono da intendersi come strumento di consultazione da parte dei Medici che lavorano in Dialisi Peritoneale e non come indicazioni ad effettuare procedure, diagnosi e terapie.

Gli Autori non si assumono alcuna responsabilità da eventuali danni che possono essere provocati dall’applicazione anche corretta delle Best Practice così come non si assumono alcuna responsabilità sull’impiego di soluzioni per Dialisi Peritoneale e farmaci, e relativi dosaggi, anche se riportati all’interno delle Best Practice.

Dichiarazione del Gruppo di Lavoro

DICHIARAZIONE DEL GRUPPO DI LAVORO SCOMPENSO CARDIACO REFRATTARIO E ULTRAFILTRAZIONE PERITONEALE

1. Lo SCR è caratterizzato dalla persistenza di una sintomatologia severa nonostante siano state messe in atto tutte le misure farmacologiche e chirurgiche (quando indicate)(vedi “CRITERI RELATIVI ALLA SELEZIONE DEI POSSIBILI CANDIDATI ALLA TERAPIA CON UFP”). In tali pazienti vengono spesso utilizzate metodiche che permettono una UF extracorporea (SCUF e CRRT). Tali metodiche devono necessariamente essere effettuate in ambito ospedaliero e presuppongono, quasi sempre, il posizionamento di un CVC.

Tale trattamento può prolungarsi per parecchi giorni prima del miglioramento dello SCR.

Spesso tali pazienti necessitano di più trattamenti di UF extracorporea nel corso di un anno.

In ogni caso le metodiche di UF extracorporea, nonostante siano molto efficaci, sono delle metodiche discontinue.

2. L’UFP può essere considerata una possibilità terapeutica nello SCR quando, nonostante siano state messe in atto tutte le misure terapeutiche, le caratteristiche del paziente rispondano a quelle indicate nella sezione “CRITERI RELATIVI ALLA SELEZIONE DEI POSSIBILI CANDIDATI ALLA TERAPIA CON UFP. I pazienti devono avere una funzionalità renale ridotta (eGFR < 50 ml/min/1.73 m2: stadio III classificazione KDOQI).

3. L’UFP, a differenza della UF extracorporea, può essere utilizzata per ottenere una UF, anche quotidiana, a domicilio del paziente. Con questo intervento può configurarsi una sorta di “continuum” dell’intervento nefrologico nei pazienti con scompenso cardiaco refrattario: dalla UF extracorporea nella fase acuta (UF isolata, SLED, CRRT) in corso di ricovero, alla UFP al domicilio nella fase cronica.

4. Il paziente deve essere informato sui rischi a cui la UFP può esporlo (rischio chirurgico generico, peritonite, riduzione o perdita della FRR, comparsa di ernie, possibilità di peggioramento della ventilazione polmonare in posizione clinostatica, etc).

5. L’UFP è una metodica semplice ma che necessita di un periodo di addestramento (in genere di circa una settimana) del paziente e/o del partner che deve effettuare tale metodica.

6. Per effettuare l’UFP è necessario posizionare un catetere peritoneale (più frequentemente in anestesia locale o periferica, secondo esperienza e logistica del Centro).

L’UFP può essere effettuata (in caso di necessità subito dopo il posizionamento del catetere, preferibilmente con carichi non superiori a 1000 ml; in alternativa, quando ve ne sia la possibilità, attendere un periodo di break-in di circa 2 settimane. Per quanto riguarda le tematiche relative alla gestione del catetere peritoneale si rimanda alla relativa best practice del Gruppo di Studio di Dialisi Peritoneale

7. Prima di posizionare il catetere peritoneale è necessario che il paziente con SCR sia in condizioni di discreto compenso clinico e se necessario, deve essere sottoposto ad UF extracorporea fino a che non si ritenga di utilizzare il catetere peritoneale.

8. L’UFP non dovrebbe essere effettuata nei pazienti con scompenso cardiaco acuto a meno che non sia indispensabile effettuare una UF e le altre metodiche extracorporee siano controindicate.

9. L’addestramento alla UFP può essere effettuato in regime di ricovero o ambulatorialmente in base alle condizioni cliniche del paziente e ai protocolli dei singoli Centri.

10. L’UFP può essere effettuata manualmente o con l’ausilio di un cycler (automatizzata).

11. L’UFP deve essere effettuata con 1-2 scambi manuali al giorno o con 3-4 sedute automatizzate alla settimana (vedi “SCHEMI DI TRATTAMENTO”). Nei casi di scompenso prevalentemente destro l’UFP può limitarsi al semplice drenaggio del versamento ascitico.

Se sono necessari  3 o più scambi/die o 5 o più sedute APD alla settimana il trattamento sarà considerato di tipo dialitico e non più semplicemente ultrafiltrativo.

12. La durata dello scambio (o degli scambi) in manuale sarà dettata dalla capacità di UF della membrana peritoneale e dal tipo di soluzione utilizzata.

La durata della seduta automatizzata sarà dettata dalla capacità di UF della membrana peritoneale, dalla soluzione utilizzata e dal volume di soluzione utilizzata (non utilizzare più di 10 litri per seduta).

13. Le soluzioni  utilizzate possono contenere glucosio a varie concentrazioni (sarebbe comunque preferibile non utilizzare le soluzioni al 3.86% di glucosio) o l’icodestrina.

14. L’icodestrina può essere utilizzata in un solo scambio al giorno e la durata di tale scambio dovrebbe essere di circa 8 ore (tipicamente una sosta notturna).

Nelle sedute automatizzate utilizzare le soluzioni di glucosio al 1.36% e 2.27% (possono essere miscelate).

15. L’UFP deve essere modulata in base alle condizioni cliniche del paziente (edemi declivi, dispnea, ortopnea), ai dati dell’esame obiettivo (peso corporeo, edemi declivi, rantoli e/versamenti pleurici, ascite) e ai dati degli esami (Rx Torace, ecocardiogramma, etc) (vedi “FOLLOW-UP”).

Criteri relativi alla selezione dei candidati a UFP

I pazienti che possono beneficiare del trattamento ultrafiltrativo mediante dialisi peritoneale possono essere definiti come:

pazienti con scompenso cardiaco avanzato e sintomi severi refrattari al trattamento, in cui siano già state prese in considerazione rivascolarizzazione percutanea, terapia elettrica e chirurgica (quando indicate); con controindicazione temporanea o definitiva al trapianto cardiaco; in casi selezionati l’UFP può essere effettuata in pazienti candidati al trapianto cardiaco come “bridge therapy”.

In merito a un migliore inquadramento della definizione, deve essere considerato che le classificazioni più  utilizzate per l’insufficienza cardiaca sono quella funzionale [1] e quella sintomatologica [2]. Tuttavia entrambe non tengono conto che, tra i pazienti con insufficienza cardiaca avanzata, esistono sottogruppi molto differenti per caratteristiche cliniche.

Nel 2005, con l’istituzione del registro INTERMACS (Interagency Registry for Mechanically Assisted Circulatory Support) da parte dell’NHLBI (United States National Heart, Lung and Blood Institute), è stata creata un’ulteriore classificazione degli stadi di insufficienza cardiaca avanzata per livelli di stabilità/instabilità clinica  che prevede 7 livelli: dal livello 1 che caratterizza il paziente più severo al livello 7 che include i pazienti con insufficienza cardiaca avanzata clinicamente stabili   [3] (vedi “CLASSIFICAZIONEDELL’INSUFFICIENZA CARDIACA”).

I pazienti così definiti:

  • appartengono allo stadio D (scompenso cardiaco refrattario: gravi sintomi a riposo, nonostante la terapia medica massimale) secondo la classificazione dell’American College of Cardiology–American Heart Association
  • presentano quotidianamente sintomi da congestione a riposo o durante le normali attività quotidiane, anche se stabilizzati in condizioni prossime all’euvolemia grazie a una terapia farmacologica con diuretici ad elevato dosaggio (Livello INTERMACS 4)
  • presentano un profilo “frequent flyers”, ovvero sono  pazienti non ospedalizzati che richiedono frequenti rivalutazioni cliniche in emergenza o ospedalizzazioni per terapia diuretica, ultrafiltrazione extracorporea o infusione temporanea di terapia vasoattiva (almeno due-tre accessi ospedalieri per scompenso nel corso dell’ultimo anno)

Per l’UFP, secondo quanto definito in precedenza, prendiamo in considerazione pazienti cardiopatici con le caratteristiche suddette, in presenza di una contrazione (GFR

Schemi di trattamento

Per quanto in molti degli schemi terapeutici proposti dai vari autori per ottenere un’ultrafiltrazione sistematica nello scompenso cardiaco severo sia previsto il monoscambio con icodestrina notturna, che viene assorbita lentamente ed è in grado di mantenere una ultrafiltrazione lenta e costante anche durante le soste lunghe [1], tutti gli schemi di dialisi peritoneale incrementale sono utilizzabili ai fini di ottenere un’ultrafiltrazione adeguata con UFP, compresi gli schemi di trattamento con dialisi peritoneale incrementale automatizzata [2].

Tipo UFP

N° scambi/sedute

Soluzione

CAPD 1 scambio/die glucosio in concentrazione variabile secondo UF ottenuta oppure icodestrina notturna
CAPD 2 scambi/die glucosio in concentrazione variabile secondo UF ottenuta oppure glucosio come sopra +  icodestrina notturna (8 ore)
APD 3-4 sedute/sett (max 10L) glucosio in concentrazione variabile secondo UF  ottenuta. Se necessario x UF modesta valutare icodestrina diurna

Nota: nello scompenso di cuore destro l’UFP permette il drenaggio del versamento ascitico.

I determinanti dell’ultrafiltrazione con dialisi peritoneale da tenere in considerazione [3]:

Caratteristiche del paziente
  • trasporto peritoneale
Prescrizione dialitica
  • volume della soluzione dialitica
  • agenti osmotici/oncotici
  • glucosio o icodestrina
  • concentrazione delle soluzioni basate sul glucosio
Durata dello scambio
  • breve permanenza con glucosio
  • lunga permanenza con icodestrina

In una recente rassegna Bertoli  [4] propone l’utilizzo della dialisi peritoneale incrementale nei pazienti con grave cardiopatia in classe funzionale NYHA III e IV, in cui l’avvio del trattamento non è così strettamente legato ai valori di filtrato glomerulare (GFR >10 mL/min), specificando come spesso questi pazienti beneficino di un singolo scambio notturno a base di icodestrina. La terapia ultrafiltrativa con dialisi peritoneale può essere proseguita per lungo tempo anche per una conservazione della funzione renale legata ad un miglioramento della performance cardiaca.

La standardizzazione del trattamento di questo pool di pazienti, secondo le specifiche di cui sopra, permette inoltre di avere dati omogenei che diventano maggiormente confrontabili a fini di audit.

In quei casi in cui invece i pazienti cardiopatici con funzione renale in stadio V avanzato richiedano fin dall’inizio una dose dialitica piena, i dati a loro riferiti potrebbero comunque essere presi in considerazione qualora non vi sia, sulla base dei parametri depurativi classici, a distanza di due mesi, la necessità di mantenere lo schema di trattamento iniziale, ritornando a DP incrementale.

Il follow-up

Esami per il follow-up

IL FOLLOW UP

Esami clinici ematochimici e strumentali

Fermo restando che lo schema di sorveglianza del paziente sottoposto a scambi di dialisi peritoneale  deve effettuato da ciascun centro secondo le proprie dinamiche organizzative, possono essere presi periodicamente in considerazione, al fine di meglio inquadrare il paziente cardiopatico sottoposto a ultrafiltrazione peritoneale, anche alcuni altri esami diagnostici sia ematochimici sia strumentali.

Può essere identificato un set minimo di esami, da completare secondo la disponibilità e le politiche del centro con altri esami diagnostici meno usuali o con caratteristiche di maggiore complessità anche dal punto di vista logistico/organizzativo.

Sul piano clinico e terapeutico il paziente deve essere seguito congiuntamente da nefrologo e cardiologo.

SET MINIMO

ESAME NOTE
Parametri clinici

Peso, altezza, pressione arteriosa, frequenza, esame obiettivo, pulsossimetria

Ematochimici (ogni 3 mesi)

Azotemia, creatininemia, emocromo, elettroliti, assetto marziale, assetto lipidico, EGA venoso, TSH, bilirubina frazionata, enzimi epatici, PCR, glicemia, albumina, [Hb glicosilata (solo diabetici)] [ALP, PTHi* (RIA, elettrochemiluminescenza, no chemiluminescenza)]

Strumentali (ogni 6 mesi) Rx torace, ECG, ecografia addome**, ecocardiogramma, ECG secondo Holter,
Indici

CVM-HF (Cardio-Vascular Medicine Heart Failure), HFSS (Heart Failure Survival Score)( solo pz in valutazione per trapianto cardiaco)

*Ogni sei mesi – **ogni anno

SET APPROFONDIMENTO FACOLTATIVO

(solo se esami disponibili presso il Centro di follow-up e compatibili con risorse organizzative)

ESAME NOTE
Ematochimici (ogni 3 mesi)

NT-proBNP (o BNP), EGA arterioso, [25OH D3* (se significativa e stabile contrazione funzione renale)]

Strumentali (ogni 6 mesi)

Ecografia polmonare, monitoraggio ambulatoriale della pressione arteriosa (ABPM), test da sforzo cardio polmonare o “Six minutes walking test”

Note esplicative

NOTE

Ecocardiogramma

l’esame deve prendere in considerazione almeno i seguenti parametri:

Ventricolo sx

spessori e diametri, volumi telesistolico e telediastolico, frazione di eiezione (metodo di Simpson biplano)

Funzione diastolica doppler transmitralico, flusso venoso polmonare, TDI
Dimensioni atriali diametri e volumi
Ventricolo Dx dimensioni e TAPSE
Valvola Mitrale grado di insufficienza
Valvola Tricuspide grado di insufficienza, PAPs
Vena cava inferiore diametro e collassabilità
Pericardio versamento pericardico

Ecografia polmonare

deve essere indirizzata alla valutazione grado di congestione polmonare e del versamento pleurico

ECG secondo Holter

indicato in caso di (o nel sospetto di) bradi o tachiaritmie o per verificare adeguatezza dell’eventuale terapia antiaritmica

Calcolo CVM-HF (Cardio-Vascular Medicine Heart Failure)

Lo score calcolato dalla somma dei punteggi attribuiti dal modello multivariato a 13 parametri, 7 non cardiaci e 6 cardiaci  (riportati nella tabella sottostante)

Valutazione rischio non cardiaco

 Punteggio

  • Età
1 per ogni decade >40
  • Anemia
1
  • Ipertensione
1
  • BPCO
1
  • Diabete complicato
2
  • IRC moderata/severa
2
  • Tumore metastatizzato/due tumori
6
Valutazione rischio cardiaco Punteggio
  • No betabloccanti
1
  • No ace-I
1
  • Classe NHYA 3 o 4
4
  • FE <=20%
2
  • Valvulopatia severa
2
  • Fibrillazione atriale
1

ha una buona accuratezza prognostica (AUC ROC per la mortalità ad 1 anno di 0.821) e permette di classificare la popolazione in 4 categorie di rischio:

Rischio

cardiaco

Score

Tasso di mortalità per

tutte le cause a 12 mesi:

basso

<6

4%

medio

6-11

32%

alto

12-16

63%

molto alto

>17

93%

Il calcolo del CVM-HF [1] si basa su variabili non invasive, facili da raccogliere ed ampiamente disponibili, sia alla dimissione che durante valutazione ambulatoriale.

Inoltre l’inserimento del trattamento farmacologico, in particolare il non uso di ACE-I o beta-bloccanti, aggiunge valore pratico all’indice prognostico.

Calcolo Heart Failure Survival Score (HFSS)

Il calcolo dell’Heart Failure Survival Score (HFSS) permette di stratificare il rischio dei pazienti in valutazione per candidatura al trapianto cardiaco. Uno dei limiti è la non distinzione tra mortalità per scompenso da quella per morte improvvisa. Inoltre tale punteggio è stato costruito quando l’utilizzo dei beta-bloccanti era molto più limitato e non vi erano le attuale indicazioni alla terapia elettrica.

Per il tool e le sue istruzioni vedi: http://anmco.it/aree/elenco/scompenso/utility/

In alternativa scarica il tool dall’area documenti (v. Heart Failure Survival Score Calculator) con le sue istruzioni (v. Heart Failure Survival Score Istruzioni Calculator)

Monitoraggio ambulatoriale della pressione arteriosa (ABPM)

indicato in caso di pressione arteriosa non controllata o ipotensione (iatrogena o no) persistente o episodi di ipotensione ortostatica

Six minutes walking test

Il test del cammino può essere proposto per la valutazione oggettiva della tolleranza allo sforzo in soggetti non in grado di effettuare un test massimale, ma non ci sono evidenze per il suo uso come indice prognostico in alternativa al test cardiopolmonare [2].

Test cardio-polmonare

I parametri derivabili dal test cardiopolmonare, come il consumo massimo di ossigeno, la risposta iperventilatoria e il respiro periodico durante esercizio, forniscono rilevanti informazioni per la stratificazione prognostica anche nella popolazione generale con scompenso cardiaco [2].

BNP e NT-proBNP

Il Peptide Natriuretico B è un neuro-ormone secreto in modo predominante nel ventricolo sinistro in risposta a un carico di volume intracardiaco. Ha funzioni di ormone contro regolatore rispetto ad ATII, norepinefrina ed endotelina e ha effetti vasodilatatori e diuretici. Il precursore del BNP è il pro-BNP che è scisso da una protasi in BNP e N-terminal pro-BNP (NT-proBNP). Quest’ultimo ha una sequenza peptidica più lunga rispetto al BNP e una maggior emivita. Le concentrazioni plasmatiche di BNP e  NT-proBNP si sono dimostrate utili nella diagnosi dello scompenso cardiaco acuto. Inoltre questi peptidi possono essere usati come indicatori prognostici di mortalità e di risultati clinici nei pazienti con scompenso cardiaco cronico. Se usato per guidare la terapia può ridurre la mortalità per tutte le cause nei pazienti con  scompenso cardiaco cronico e meno di 75 anni rispetto agli analoghi che ricevono cure cliniche tradizionali [3].

Classificazione dell'insufficienza cardiaca

La classificazione dell’insufficienza cardiaca più comunemente diffusa è quella proposta più di 80 anni fa  dalla New York Heart Association secondo criteri legati alla sintomatologia.

Nonostante il limite della soggettività nella percezione e descrizione dei sintomi da parte del paziente e nella loro interpretazione da parte del medico, tale classificazione mantiene la sua validità nella definizione della severità delle limitazioni funzionali e nella buona correlazione con la prognosi.

Tabella 1. Classi funzionali insufficienza cardiaca secondo la New York Heart Association (NYHA)

Classe NYHA

Livello di compromissione

Classe I

Pazienti cardiopatici senza alcuna limitazione dell’attività fisica o che comunque possono svolgere senza alcun disturbo la loro attività ordinaria

Classe II

Pazienti con lieve limitazione dell’attività fisica che accusano sintomi (dispnea, dolore anginoso, palpitazioni, affaticamento) soltanto dopo un’attività superiore a quella ordinaria (per es. lunga camminata, salire due rampe di scale)

Classe III

Pazienti con marcata limitazione dell’attività fisica, che non hanno disturbi a riposo, ma che accusano disturbi anche dopo lievi gradi di attività ordinaria (per es. breve camminata, salire una rampa di scale)

Classe IV

Pazienti incapaci di qualunque attività fisica che accusano disturbi anche a riposo

L’ American College of Cardiology (ACC) e l’ American Heart Association (AHA) hanno sviluppato una classificazione dell’insufficienza cardiaca basata sugli stadi della sindrome.

Lo stadio A include pazienti a rischio di sviluppare insufficienza cardiaca ma che non hanno al presente una malattia cardiaca strutturale. In questo gruppo lo scopo dell’assistenza è prevenire l’insufficienza cardiaca.

Lo stadio B include pazienti con malattia cardiaca strutturale in assenza di sintomi. L’obiettivo dell’assistenza è prevenire il rimaneggiamento ventricolare sinistro tale da condurre all’insufficienza cardiaca.

Lo stadio C include pazienti con malattia strutturale cardiaca con corrente o precedente insufficienza cardiaca sintomatica. Diuretici, digossina, antialdosteronici possono essere associati agli ACE-inibitori e ai beta-bloccanti, in ragione della severità dei sintomi.

Lo stadio D include i pazienti con grave insufficienza cardiaca refrattaria in cui debbano essere considerate caso per caso terapie ad alta tecnologia tra cui il trapianto cardiaco e il supporto circolatorio meccanico.

Tabella 2. Classificazione dello scompenso cardiaco cronico secondo l’American College of Cardiology–American Heart Association

Stadio

Descrizione

A. Alto rischio sviluppo scompenso cardiaco

Ipertensione arteriosa, diabete mellito, coronaropatia, familiarità per cardiomiopatia, ma senza malattia cardiaca strutturale o sintomi di scompenso

B. Scompenso cardiaco asintomatico

Pazienti con malattia cardiaca strutturale (infarto miocardico pregresso, disfunzione del ventricolo sinistro, valvulopatia) ma senza sintomi di scompenso

C. Scompenso cardiaco sintomatico

Malattia cardiaca strutturale, con sintomi presenti o passati di scompenso ( dispnea e astenia, intolleranza all’esercizio)

D. Scompenso cardiaco refrattario

Gravi sintomi a riposo, nonostante la terapia medica massimale

A differenza della classificazione NYHA, quella in stadi è unidirezionale. Si sottolinea inolre che non esiste una corrispondenza tra classe NYHA IV e stadio D. Quest’ultimo infatti rappresenta una condizione complessa, non solo definita dalla gravità dei sintomi ma soprattutto dall’instabilità e dalla refrattarietà alla terapia.

 

La classificazione INTERMACS [1] nasce nella considerazione che la classe IV NYHA non offra una adeguata descrizione al fine di un’ottimale selezione dei pazienti rispetto alle più recenti opzioni di trattamento: medico, elettrostimolazione, trapianto cardiaco, supporto cardiaco meccanico. La classificazione propone sette differenti profili e tre modificatori (supporto circolatorio temporaneo, aritmia, frequent flyer*) sviluppati sulla base dei dati dell’Interagency Registry for Mechanically Assisted Circulatory Support (INTERMACS)

Tabella 3. INTERMACS: Profili per la selezione dei pazienti

Modificatori del profilo

Profilo

Descrizione

SCT

A

FF

1

Shock cardiogeno critico

X

X

2

Progressiva inefficacia del supporto inotropo

X

X

3

Stabile ma inotropo-dipendente

X (in osp)

X

X (se a casa)

4

Sintomi a riposo a domicilio con terapia orale

X

X

5

Intolleranza allo sforzo

X

X

6

Limitazione all’esercizio

X

X

7

Sintomi di classe NYHA III avanzata

X

SCT: supporto circolatorio temporaneo. A: aritmia. FF: frequent flyer

Tabella 4. Livelli di limitazione INTERMACS al momento dell’impianto

Descrizione del profilo INTERMACS

 Tempo dell’intervento

1. Shock cardiogenico critico

Pazienti in pericolo di vita con ipotensione a dispetto della rapida escalation del supporto con inotropi, ipoperfusione di organi critici, spesso confermata dal peggioramento dell’acidosi e/o dei livelli di lattato. “Crash and Burn”

Intervento definitivo necessario nel corso di ore
2. Declino progressivo.

Pz con declino della funzione cardiaca a dispetto del supporto inotropo endovenosoche si può manifestare con un peggioramento della funzione renale, deplezione nutrizionale, incapacità a ripristinare il bilancio di volume “Sliding on inotropes” Descrive anche la situazione dei pz non in grado di tollerare la terapia con inotropi

Intervento definitivo necessario nel corso di pochi giorni
3. Stabile ma dipendente dagli inotropi

Pz con pressione arteriosa, funzione degli organi, nutrizione stabili nel corso di supporto endovenoso continuativo con inotropi (o dispositivo temporaneo di  supporto circolatorio o entrambi) ma che mostrano ripetute ricadute allo svezzamento dal supporto con ricorrente ipotensione sintomatica o disfunzione renale “Dependent stability”

Intervento definitivo elettivo in un periodo compreso tra settimane e pochi mesi
4. Sintomi a riposo

Il paziente può essere stabilizzato in modo approssimativamente vicino al normale stato di idratazione ma avverte quotidianamente sintomi di congestione a riposo o durante le normali attività quotidiane. I diuretici sono abitualmente assunti a dosaggi elevati. Debbono essere considerate strategie di sorveglianza e gestione intensive che in alcuni casi permettono di evidenziare una scarsa compliance alle prescrizioni, in grado di compromettere i risultati a dispetto di qualsiasi terapia. Alcuni pazienti possono fluttuare tra il profilo 4 e il profilo 5.

Intervento definitivo elettivo in un periodo compreso tra settimane e pochi mesi
5. Intollerante all’esercizio

Asintomatico a riposo e con normali attività quotidiane ma incapace di sostenere qualsiasi altra attività, vive prevalentemente in casa. Paziente senza sintomi di congestione a riposo ma che possono avere un sottostante sovraccarico di volume refrattario, talora con disfunzione renale. Se il sottostante stato nutrizionale e la funzione d’organo sono ai limiti, il paziente può essere più a rischio rispetto al paziente con profilo INTERMACS 4 e richiede un intervento definitivo.

Urgenza variabile, dipende dal mantenimento della nutrizione, dalla funzione d’organo e dal livello di attività
 6. Esercizio limitato

Paziente senza evidenza di sovraccarico di fluidi e asintomatico a riposo nell’ambito di attività di vita quotidiana e minori attività all’esterno della casa ma con affaticamento dopo pochi minuti di qualsiasi attività significativa. L’attribuzione alla limitazione cardiaca richiede un’attenta misura del picco del consumo d’ossigeno, in alcuni casi mediante monitoraggio emodinamico al fine di confermare la severità del peggioramento cardiaco. “Walking wounded”

Variabile dipende dal mantenimento della nutrizione, dalla funzione d’organo e dal livello di attività
7. NYHA III avanzato

Indicatore in attesa di più precise specifiche future, questo livello non include pazienti che sono senza attuali o recenti episodi di instabile bilanciamento dei fluidi. I pazienti vivono in assenza di sintomi con  significativa attività limitata all’esercizio fisico medio

Trapianto o supporto circolatorio potrebbero non essere indicati al momento
Modificatori per i profili
TCS – Supporto circolatorio temporaneo – può modificare solo il profilo dei pazienti ospedalizzati. Possibili profili da modificare 1, 2, 3 se ospedalizzati
A – Aritmia – può modificare qualsiasi profilo. Tachiaritmie ventricolare ricorrenti che hanno recentemente contribuito a una compromissione clinica sostanziale. Inclusi frequenti shock ICD con necessità defibrillatore esterno abitualmente più di una volta alla settimana. Può modificare qualsiasi profilo
FF  – Frequent Flyer – può modificare solo dei pazienti ambulatoriali, spazia definendo un paziente che richiede frequenti visite con caratteri di emergenza o ospedalizzazione per terapia con diuretici,  ultrafiltrazione, o terapia vasoattiva temporanea endovenosa Profilo 3 se paziente a domicilio, 4, 5 , 6. Un paziente “frequent flyer” può solo raramente appartenere al profilo 7.
La Sindrome cardio-renale

Recenti lavori hanno  messo in più stretta relazione scompenso cardiaco e insufficienza renale definendo la sindrome cardio-renale.

Lo NHLBI Working Group on Cardio-Renal Connections in Heart Failure and Cardiovascular Disease ha recentemente definito la “sindrome cardio-renale” come “una sindrome nella quale la terapia per alleviare i sintomi di congestione è ulteriormente limitata dal declino della funzione renale”.

La sindrome cardio-renale è stata definita da Ronco et al[1] [2] [3]  come un disordine fisiopatologico del cuore e dei reni nel corso del quale la disfunzione acuta o cronica di uno dei due organi può indurre una disfunzione acuta o cronica dell’altro e ri-classificata in 5 sotto-tipi

Tipo 1 Nella SCR di tipo 1, un brusco peggioramento della funzione cardiaca (per esempio uno  shock cardiogenico acuto o uno scompenso cardiaco congestizio acuto) conduce al danno renale acuto

Tipo 2 La SCR (cronica) di tipo 2 si caratterizza per anormalità croniche nella funzione cardiaca (per esempio lo scompenso cardiaco congestizio cronico) che conduce a insufficienza renale cronica progressiva.

Tipo 3 La SCR tipo 3 è anche denominata come sindrome renocardiaca acuta: è dovuta a un danno renale acuto (per esempio una ischemia renale acuta o una glomerulonefrite) che conduce a disfunzione cardiaca acuta (come aritmia o ischemia o scompenso cardiaco).

Tipo 4 La SCR tipo 4 o sindrome cronica renocardiaca è caratterizzata da insufficienza renale cronica che contribuisce al verificarsi di un decremento della funzione cardiaca, ipertrofia cardiaca e/o a un rischio incrementato di eventi cardiovascolari avversi

Tipo 5 Anche definita come SCR secondaria, il quinto tipo di SCR è caratterizzata da disfunzione cardiaca e renale combinate dovute a disordini sistemici come la sepsi e il lupus eritematoso sistemico.

Per quanto discutibile, la distinzione tra il tipo 2 il tipo 4 è basata sull’assunto che anche nella malattia cronica e avanzata i due differenti meccanismi fisiopatologici possano essere distinti, sebbene sia l’insufficienza renale cronica, sia lo scompenso cardiaco possano svilupparsi per un comune background  fisiopatologico più frequentemente rappresentato da ipertensione e diabete.

Le basi fisiopatologiche dello scompenso cardiaco possono essere sintetizzate nella triade bassa portata cardiaca, attivazione neuroormonale, (attivazione simpatico, attivazione RAAS, incremento vasopressina), congestione sistemica che conducono a ridotta perfusione renale, congestione polmonare con scompenso dx ed ipertensione polmonare. Per mantenere la perfusione il rene si difende trattenendo acqua e sale, contribuendo a incrementare la congestione venosa già presente per motivi cardiaci.

Una recente corrispondenza di Fiaccadori [4] evidenzia come seppur la fisiopatologia dell’interazione cardiorenale nell’insufficienza cardiaca, soprattutto nelle fasi di scompenso acuto (acute decompensated heart failure, ADHF), non sia ancora del tutto definita, sia dimostrato come in corso di ADHF la presenza di insufficienza renale o di un peggioramento acuto della funzione renale si associ ad aumento della mortalità intraospedaliera e anche a breve termine e come più del 90% dei ricoveri per ADHF siano motivati dalla presenza di congestione polmonare e/o sistemica. La congestione sistemica è tradizionalmente considerata come fenomeno secondario a compromissione della portata cardiaca, mentre invece alcuni autori suggeriscono che la fase di scompenso acuto sarebbe preceduta da aumento delle pressioni diastoliche in atrio e ventricolo destro [5]  e da incremento ponderale nella settimana precedente il ricovero [6] .

Sempre Fiaccadori [4] pone l’accento su  due studi osservazionali (pubblicati nel 2009) i quali attribuiscono alla congestione sistemica un ruolo di primo piano nel complesso rapporto tra ADHF e compromissione della funzione renale.

Lo studio di Mullens [7] ha considerato 145 pazienti con ADHF, sottoposti a trattamento intensivo sotto monitoraggio tramite catetere di Swan-Ganz,  ed è giunto alle conclusioni che la più importante fattore emodinamico di peggioramento della funzione renale era rappresentato dalla congestione sistemica, individuata da valori elevati di pressione venosa centrale (PVC) misurati all’ingresso in ospedale o nel follow-up. Nel pool dei casi arruolati, lo sviluppo di insufficienza renale acuta era meno frequente nei pazienti con valori di PVC

Figura 1 (Da  [7])

Lo studio di Damman [8] riporta i dati di 2557 pazienti sottoposti a cateterismo cardiaco destro per più tipologie di  patologie cardiovascolari, con o senza associata insufficienza cardiaca. Seppur con limiti legati alla selezione dei pazienti, una PVC elevata, oltre ad essere associata ad una peggiore funzione renale, era una variabile predittiva per aumento della mortalità indipendentemente dai valori di portata cardiaca.

Figura 2 . (Da [8])

Figura 3 . (Da [8])

Sebbene sia prematuro concludere che terapie specificatamente indirizzate alla riduzione della PVC possano ridurre l’incidenza di insufficienza renale acuta e/o la mortalità nei pazienti con ADHF o con patologie cardiache complesse, si possono ragionevolmente derivare, sempre secondo Fiaccadori [4], tre utili indicazioni:

a) la congestione sistemica rappresenterebbe un importante fattore patogenetico di compromissione della funzione renale e non la semplice conseguenza di essa, in quanto indurrebbe aumento della pressione venosa renale, con congestione nel rene stesso e ridotta pressione di filtrazione glomerulare dovuta a un’alterazione degli abituali equilibri pressori ai due estremi del capillare glomerulare [9].

b) il trattamento diuretico, più che un fattore patogenetico di insufficienza renale acuta, potrebbe semplicemente rappresentare un marker di congestione sistemica grave. L’astensione dall’utilizzo dei diuretici, o comunque l’utilizzazione a dosi non adeguate, potrebbe risultare in molti casi dannosa per la funzione renale;

c) trattamenti depletivi “alternativi” non presenterebbero importanti vantaggi rispetto alla terapia diuretica, a parità di effetti positivi sulla correzione del sovraccarico idrico e salino. Indipendentemente dalla modalità scelta, la riduzione della congestione sistemica dovrebbe avvenire attraverso una deplezione di volume progressiva e che consideri l’importanza del rispetto del rate di refilling vascolare nei confronti del mantenimento della volemia efficace, evitando brusche variazioni (tra cui quelle dovute a diuresi massive)

E’ necessario inoltre considerare l’utilità del monitoraggio ecocardiografico che, se affiancato alla clinica, è in grado di descrivere accuratamente il profilo emodinamico del paziente, poichè riesce ad evidenziare la congestione emodinamica prima che sia clinicamente evidente. Ciò consentirebbe di modulare più efficacemente la terapia sia farmacologica che ultrafiltrativa.

BibliografiaReferences

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[2] Ronco C, Chionh CY, Haapio M, Anavekar NS, House A, Bellomo R. The cardiorenal syndrome. Blood Purif. 2009;27(1):114-26. Epub 2009 Jan 23.

[3] Ronco C, McCullough P, Anker SD, Anand I, Aspromonte N, Bagshaw SM, Bellomo R, Berl T, Bobek I, Cruz DN, Daliento L, Davenport A, Haapio M, Hillege H, House AA, Katz N, Maisel A, Mankad S, Zanco P, Mebazaa A, Palazzuoli A, Ronco F, Shaw A, Sheinfeld G, Soni S, Vescovo G, Zamperetti N, Ponikowski P; Acute Dialysis Quality Initiative (ADQI) consensus group. Cardio-renal syndromes: report from the consensus conference of the acute dialysis quality initiative. Eur Heart J. 2010 Mar;31(6):703-11. Epub 2009 Dec 25.

[4] Fiaccadori E. Congestione sistemica nell’insufficienza cardiaca: un antico e sottovalutato nemico del rene. G Ital Nefrol. 2009 Jul-Aug;26(4):416.

[5] Zile MR, Bennett TD, St John Sutton M, Cho YK, Adamson PB, Aaron MF, Aranda JM Jr, Abraham WT, Smart FW, Stevenson LW, Kueffer FJ, Bourge RC. Transition from chronic compensated to acute decompensated heart failure: pathophysiological insights obtained from continuous monitoring of intracardiac pressures. Circulation. 2008 Sep 30;118(14):1433-41. Epub 2008 Sep 15.

[6] Chaudhry SI, Wang Y, Concato J, Gill TM, Krumholz HM. Patterns of weight change preceding hospitalization for heart failure. Circulation. 2007 Oct 2;116(14):1549-54. Epub 2007 Sep 10.

[7] Mullens W, Abrahams Z, Francis GS, Sokos G, Taylor DO, Starling RC, Young JB, Tang WH. Importance of venous congestion for worsening of renal function in advanced decompensated heart failure. J Am Coll Cardiol. 2009 Feb 17;53(7):589-96.

[8] Damman K, van Deursen VM, Navis G, Voors AA, van Veldhuisen DJ, Hillege HL. Increased central venous pressure is associated with impaired renal function and mortality in a broad spectrum of patients with cardiovascular disease. J Am Coll Cardiol. 2009 Feb 17;53(7):582-8.

[9] Jessup M, Costanzo MR. The cardiorenal syndrome: do we need a change of strategy or a change of tactics? J Am Coll Cardiol. 2009 Feb 17;53(7):597-9.

Resistenza alla terapia convenzionale

Diversi autori riportano come una frazione dei pazienti con  insufficienza cardiaca congestizia si caratterizzi per resistenza alla terapia convenzionale. La maggior parte di questi pazienti, se non tutti, presentano una sottostante sindrome cardiorenale. I sintomi dei pazienti con insufficienza cardiaca congestizia resistente al trattamento possono essere attribuiti in larga parte alla ritenzione di sale e acqua.

I pazienti con sindrome cardio-renale sono spesso refrattari alla terapia diuretica e tendono a sviluppare iponatriemia e iperkaliemia. Pertanto le strategie di ultrafiltrazione sono degne di particolare interesse nella gestione dei pazienti con insufficienza cardiaca congestizia  refrattaria.

Nei pazienti scompensati, la resistenza ai diuretici è frequente e può essere attribuita all’insufficienza renale funzionale, all’edema del parenchima renale, all’iposodiemia e ad alterate cinetiche dei diuretici.

La definizione di refrattarietà alla terapia diuretica non è però univoca. Prima di definire come refrattario alla terapia un paziente è necessario non sottovalutare l’impatto di una eventuale preesistente deficit cronico della funzione renale, trascurare l’importanza di una scarsa compliance dei pazienti nei confronti della restrizione idrica e salina prescritte e altre cause di “pseudorefrattarietà (tra cui l’assunzione di farmaci “interferenti”) e soprattutto valutare attentamente la terapia diuretica in termini di adeguatezza e ottimizzazione in termini posologici e farmacocinetici con particolare riguardo alle possibili resistenze di tipo farmacocinetico e farmacodinamico (early e late braking).

L’insufficienza cardiaca viene definita “refrattaria”  quando nonostante la terapia ottimale persistono:

Sintomi severi (NYHA III-IV), segni clinici di ritenzione idrica e/o ipoperfusione periferica, evidenza di severa disfunzione cardiaca sistolica e/o diastolica, capacità funzionale severamente ridotta in presenza di recente ospedalizzazione per SC (entro i 6 mesi precedenti) [1].

Terapia diuretica ottimale

Anche il concetto di terapia ottimale non trova una definizione univoca nelle varie esperienze cliniche.

Sull’argomento la letteratura scientifica è assai vasta.

Per semplicità possiamo considerare come schemi di riferimento per la terapia diuretica ottimale quelli riportati dalle linee guida AHA/ACC del 2005 [1], riportati in Figura 1  sensibilizzando verso l’uso di più molecole con meccanismi d’azione differenti, il frazionamento e il raggiungimento di dosaggi farmacologici adeguati.

Il ruolo dell'UF nella terapia dello SC acuto

Le linee guida cardiologiche non sono esaustive ed univoche per quanto riguarda la terapia ultrafiltrativa dello scompenso cardiaco acuto (AHDF):

ACC/AHA (American College of Cardiology/American Heart Association): se il grado di disfunzione renale è severo o se l’edema diventa refrattario al trattamento, può rendersi necessaria l’UF per raggiungere un adeguato controllo della ritenzione idrica: ciò può produrre benefici clinici significativi e può ripristinare la risposta alle dosi convenzionali di diuretici dell’ansa (Classe IIa, livello di evidenza B)

CCS (Canadian Cardiovascular Society): in pazienti altamente selezionati, si può considerare l’UF lenta intermittente dopo consulto con il nefrologo e sotto stretta osservazione specialistica

ESC (European Society of Cardiology): nello SC cronico l’UF può risolvere l’edema polmonare e l’ipervolemia in caso di refrattarietà alla terapia farmacologica; nella maggior parte dei pz con malattia severa, il sollievo è temporaneo. Nello SC acuto l’UF o la dialisi possono essere considerate se le altre strategie sono inefficaci.

In corso di ADHF Il peggioramento della funzione renale in corso di scompenso cardiaco acuto è stato spesso  imputato all’ipovolemia da diuretici e per tale motivo è stata proposta una più estesa utilizzazione dell’ultrafiltrazione isolata, attribuendo ad essa maggiori vantaggi in termini di “protezione” della funzione renale”.

Alcuni studi (nella maggior parte dei casi si tratta di descrizioni di casistiche di scarsa numerosità, senza gruppo di controllo e con follow-up limitato al massimo a 90 gg) hanno proposto l’UF dialitica in alternativa ai diuretici, in considerazione di alcuni vantaggi rispetto alla terapia farmacologica, come per esempio la rimozione di fluidi senza attivazione del sistema neuro-ormonale (come accade coi diuretici dell’ansa) e una superiore rimozione di sodio (isotonica rispetto al plasma) come descritto nel ben noto lavoro di Canaud[1] e riassunto in tabella 1.

Tabella 1. (Da Canaud B. et al. Slow isolated ultrafiltration for the treatment of congestive heart failure. Am J Kidney Dis 1996, 28 (S3): S67-73)

  • SCOMPENSO CARDIACO SEVERO

~50 mmol di Na+ / litro di urina

  • SCOMPENSO CARDIACO SEVERO TRATTATO CON FUROSEMIDE

~ 100 mmol di Na+ / litro di urina

  • SCOMPENSO CARDIACO SEVERO TRATTATO CON ULTRAFILTRAZIONE

~ 140 mmol di Na+ / litro di ultrafiltrato

Lo studio EUPHORIA è il primo studio di sicurezza ed efficacia in pz resistenti ai diuretici. L’endpoint dello studio è stato il numero di gg di ospedalizzazione. L’utilizzo dell’UF prima del diuretico e.v. in pazienti con AHDF ha ottenuto più rapide dimissioni, una riduzione delle riospedalizzazioni e dell’attivazione neuroormonale.

Lo studio RAPID si caratterizza per essere il primo studio randomizzato che mette a confronto l’UF versus i diuretici. Nei pazienti sottoposti a UF il volume di fluidi rimossi è stato superiore rispetto al trattamento standard.

In considerazione dei risultati incoraggianti di questi 2 trials, è stato disegnato lo studio UNLOAD (2007) i cui 200 pazienti ricoverati per riacutizzazione di ADHF sono stati randomizzati a UF primaria vs terapia diuretica infusionale, definendo come end-points primari il calo ponderale e il miglioramento della dispnea a 48h, end-points secondari la perdita netta di fluido e il tasso di riospedalizzazione. I positivi risultati dello studio UNLOAD sono però viziati da una serie di problemi presenti nel disegno dello studio, tra cui i più evidenti, secondo Fiaccadori [2], sono  rappresentati dall’esclusione dallo studio dei pazienti con pressione sistolica ≤ 90 mmHg e/o con instabilità emodinamica che sono spesso proprio quelli più frequentemente afflitti da AHDF, una dose media del diuretico dell’ansa impiegata nel ramo trattato con diuretici nettamente inferiore (circa il 25%) alla dose massima e.v. raccomandata dalle linee guida ACC/AHA 2005 e ESC 2008; velocità di UF e durata dell’UF isolata a discrezione del medico; l’end-point primario (calo ponderale in UFI) di uno dei due gruppi direttamente influenzabile dal medico, assenza di informazioni sulla compliance alla restrizione idro-salina, ecc…

L’indicazione dell’UF isolata nello scompenso cardiaco acuto deve sempre tenere in considerazione le possibili complicanze della metodica e la casistica dello studio non ha mostrato differenze significative con l’UF isolata, in alternativa alla terapia convenzionale, rispetto alla sopravvivenza a distanza.

Le evidenze disponibili al momento non sembrano giustificare  un uso senza limiti  dell’ultrafiltrazione come un sostituto della terapia diuretica. D’altra parte, non ci si può attendere dall’ultrafiltrazione un’effetto diretto su elettroliti, azotemia, bilancio acido-base o rimozione di sostanze ad alto peso molecolare (per esempio citochine) in quantitativi tali da essere rilevanti sul piano clinico.

L’ultrafiltrazione non deve essere usata come un sistema più rapido per ottenere una sorta di diuresi meccanica o il rimedio per una terapia diuretica prescritta e somministrata in modo inadeguato. Al contrario deve essere riservata a pazienti selezionati con scompenso cardiaco avanzato e vera resistenza ai diuretici e considerata come parte di una più complessa strategia che punti a un adeguato controllo della ritenzione dei fluidi [3].

Il progressivo affermarsi in ambito ospedaliero delle tecniche emodialitiche/ultrafiltrative continue e intermittenti (dalla SCUF alla CVVH alla SLED dialysis) nell’integrazione tra la terapia ultrafiltrativa e la terapia farmacologica ha permesso di affrontare con successo i casi di reale refrattarietà alla terapia diuretica, mentre resta, dopo la stabilizzazione e le dimissioni dal ricovero, una sorta di vuoto terapeutico nella gestione domiciliare del paziente con scompenso cardiaco cronico avanzato in terapia farmacologica massimale, con particolare riguardo verso quei pazienti con andamento clinico gravato da frequenti episodi di riacutizzazione, tali da condizionare il reiterato ricorso a ospedalizzazione e a cure in emergenza.

In questo contesto l’impiego della ultrafiltrazione peritoneale può trovare un razionale, nell’ambito del  “management” della congestione venosa sistemica cronica in quei pazienti con terapia diuretica massimale in cui siano già state esplorate in modo esaustivo le terapie convenzionali.

L’applicazione di tecniche di ultrafiltrazione peritoneale al fine di ottenere un’ultrafiltrazione domiciliare sistematica in presenza di scompenso cardiaco sembra presentare infatti diversi vantaggi tra cui:

  • UF continua con rispetto della soglia individuale relativa al refilling interstizio/letto circolante
  • Modulazione del bilancio elettrolitico (Na, K)
  • Trattamento domiciliare
  • Bassi costi
  • Semplicità della tecnica
Risultati dell'UFP nello scompenso cardiaco

In una revisione recente, che prende in considerazione 122 pazienti inclusi in 11 diversi studi, Mehrotra e Kathuria mettono in evidenza come il ruolo dell’ultrafiltrazione peritoneale nella gestione di lungo termine dello scompenso cardiaco resistente al trattamento non sia stata formalmente valutata in trials clinici e come la letteratura pubblicata sia limitata a serie di casi e a case reports. Questi reports soffrono molto probabilmente di vari bias anche relativi alla selezione dei casi. Tenendo conto di questi limiti sembra comunque che l’ultrafiltrazione con dialisi peritoneale sia probabilmente vantaggiosa per un sottogruppo di pazienti con scompenso cardiaco refrattario [1]. Gli studi considerati erano di piccole dimensioni e senza gruppi di controllo ma caratterizzati da un comune criterio di prescrizione dialitica relativo al mantenere un adeguato controllo dei volumi indipendentemente dai dati depurazione. In modo sostanzialmente sovrapponibile nelle differenti casistiche la classe funzionale NYHA e il numero di ricoveri andavano incontro a una sensibile riduzione.

  • La rimozione di sale e acqua ottenuti con la dialisi peritoneale nell’insufficienza renale congestizia è associata con un miglioramento dello stato funzionale in oltre il 90% dei pazienti: Figura 1 
  • Vi sono effetti sulle ospedalizzazioni con riduzione del numero dei giorni di ricovero per paziente: Figura 2 

Nel 2005, in un interessante studio, Gotloib individua gli elementi fondanti di una possibile integrazione tra la gestione ospedaliera dello scompenso cardiaco acuto refrattario e la possibilità di proseguire l’ultrafiltrazione a domicilio con la dialisi peritoneale. Nei pazienti considerati si prevedeva nella fase ospedaliera precoce la terapia ultrafiltrativa mediante sedute di CVVH. Nel corso della stessa fase ospedaliera era posizionato il catetere peritoneale e avviata non appena possibile la dialisi peritoneale automatizzata (3 sedute/settimana)  poi proseguita al domicilio.

  • Risultati dopo un anno di follow-up: tutti i pazienti hanno mostrato una regressione dalla classe IV alla classe I NYHA; il tasso di ospedalizzazioni di è ridotto da 157 a 13 gg/anno [2].

 E inoltre da citare un recente studio controllato [3] Nephrol Dial Transplant. 2010 Feb;25(2):605-10. Epub 2009 Sep 25), ma non randomizzato, relativo a 17 pazienti con scompenso cardiaco refrattario in terapia medica massimale, sottoposti a ultrafiltrazione con dialisi peritoneale indipendentemente dalla funzione renale. Si registrava un miglioramento della sopravvivenza della durata delle ospedalizzazioni.

  • I tassi di ospedalizzazione si sono ridotti da 62 ± 16 to 11 ± 5 giorni/paziente/anno; il trattamento con dialisi peritoneale ha portato l’aspettativa di vita all’ 82%  dopo 12 mesi di trattamento, e al 70% e al 56% dopo 18 e 24 mesi, rispettivamente, risultati migliori di quanto riportati con la terapia conservativa basata su vari regimi di terapia diuretica; la terapia con dialisi peritoneale è associata con migliore percezione dello stato di salute della terapia conservativa; la terapia con dialisi peritoneale è cost-effective rispetto alla terapia conservativa tradizionale; tutti i pazienti hanno migliorato il loro stato funzionale NYHA entro i primi tre mesi di trattamento. [3] Figura 3 e Figura 4 

Su una piccola coorte di pazienti con scompenso cardiaco sottoposta dialisi peritoneale incrementale Nakayama [4] osservava di aver ottenuto un miglioramento stabile della classe funzionale dello scompenso, in associazione a una significativa riduzione della frequenza e della durata dei ricoveri ospedalieri. Figura 5 

  • Dialisi peritoneale incrementale (la dose di dialisi necessaria viene definita in relazione alla funzione renale residua)
  • 12 pts > 70 anni età, classe II-IV NYHA, > 3 ricoveri/anno per scompenso cardiaco acuto
  • Tre sessioni di dialisi peritoneale /settimana di 8 ore ciascuna, (destrosio/icodestrina)
  • Follow-up 27.7 mesi + 15.8 (6-62)
  • 1 episodio di peritonite
Conclusioni

Lo scopo di questa Best Practice è di proporre ai Colleghi Nefrologi e Cardiologi l’Ultrafiltrazione Peritoneale (UFP) come possibilità terapeutica per lo scompenso cardiaco refrattario (SCR), proponendo una serie di considerazioni, basate sulla pratica clinica, relative alla selezione dei pazienti eleggibili, ai criteri di prescrizione della terapia ultrafiltrativa, ai principali parametri clinici da monitorare per il follow-up dei pazienti.

La Best Practice ha inoltre il fine di arrivare a una impostazione comune nella cura dello scompenso cardiaco refrattario con esaurimento delle opzioni terapeutiche convenzionali e di stimolare una più stretta collaborazione tra nefrologi e cardiologi.

La standardizzazione delle casistiche dei diversi Centri  dovrebbe permettere una migliore definizione dei risultati in precedenza riportati in letteratura, altrimenti solo aneddotici.

Un vantaggio nel poter elaborare dati omogenei appartenenti a vari centri è anche quello di poter costruire osservazioni più ampie e attendibili sugli attesi vantaggi della tecnica e di favorire la sua diffusione, quando si confermassero i buoni risultati riportati in letteratura.

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