Abstract XX Convegno

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IMPATTO DELLA POSIZIONE DELLA CUFFIA SUPERFICIALE SULLE INFEZIONI DELL’EMERGENZA E DEL TUNNEL SOTTOCUTANEO NEI PAZIENTI IN DIALISI PERITONEALE Giuseppe Enia-Young Investigator Award Luca Nardelli (1), Antonio Scalamogna (1), Tangredi Marianna (1), Messa Piergiorgio (1) (1) Fondazione IRCCS Ca’ Granda Ospedale Maggiore Policlinico Premesse: Negli ultimi dieci anni nel tentativo di ridurre le infezioni della cuffia superficiale e dell’emergenza cutanea (ESI) abbiamo cambiato la posizione della cuffia posizionandola a 4-5 cm dall’emergenza rispetto ai 2 cm proposti da Tenckhoff.  Lo scopo di questo studio è di verificare l’incidenza di ESI e del tunnel sottocutaneo prima e dopo l’impiego di questa modifica.

 

Metodi: Dal Gennaio 2011 al Dicembre 2018 abbiamo analizzato le infezioni dell’emergenza, le infezioni del tunnel e le peritoniti verificatesi in 123 pazienti (88 M e 35 F, età media 62.4 ± 16.8) trattati mediante CAPD per un periodo totale di 3337 mesi (tempo medio 24.6 ± 23.4).

 

Risultati: 31 dei 123 pazienti (25.2%) hanno sviluppato 51 episodi di infezioni dell’emergenza con un’incidenza di 1 episodio ogni 64.1 mesi paziente (0.19 episodi/anno paziente [ep/pt-y]). La probabilità di rimanere liberi da ESI era 80.7% a 12 mesi e 61.8 % a 48 mesi. Nel 78.7% dei casi di ESI sono stati isolati germi gram +. L’86.5% degli episodi di ESI ha risposto con successo alla terapia medica. Non abbiamo riscontrato un’aumentata incidenza di peritoniti nei pazienti con storia di ESI (1 ep ogni 49.2 mesi/pt [0.24 ep/pt-y] rispetto ai pazienti senza storia di ESI vs 1 ep ogni 51.7 mesi/pt [0.23 ep/pt-y] nei pazienti con storia di ESI, p=ns). L’incidenza di infezione del tunnel era pari a 1 episodio ogni 278.1 mesi/pt (0.04 ep/pt-y). Invece, prima della modifica chirurgica, l’incidenza di ESI era di 1 episodio ogni 48.7 mesi/pt (0.25 ep/pt-y) e solo il 64.7% degli episodi avevano risposto alla terapia medica. Inoltre, l’incidenza di peritoniti nei pazienti senza o con storia di ESI era di 1 ep ogni 27 mesi/pt (0.44 ep/pt-y) e 1 ep ogni 35.5 mesi/pt (0.34 ep/pt-y), rispettivamente.

 

Conclusioni: Il posizionamento della cuffia superficiale a 4-5 cm di distanza dall’exit-site, sembra diminuire le infezioni della cuffia e conseguentemente l’incidenza delle ESI e delle peritoniti correlate. È ipotizzabile che una parte delle ESI sia dovuta alla vicinanza della cuffia superficiale all’emergenza cutanea; l’ipotesi è avvalorata dalla ottima risposta delle ESI alla terapia medica.

 

Insolita Emergenza in CAPD: Grave Gangrena gassosa non traumatica in una Paziente con LES. Case Report Casi Clinici SOMMA Giovanni (1), Cappiello Antonio (2) (1) UO Nefrologia e Dialisi, (2) UO Chirurgia OO.RR. Area stabiese ASLNapoli3Sud La gangrena gassosa è un’infezione batterica rapidamente progressiva che porta alla necrosi che di solito si sviluppa a causa di traumi o complicanze postoperatorie. Questa condizione richiede una diagnosi precoce con intervento chirurgico immediato. Si associa ad una prognosi sfavorevole, un’alta incidenza di amputazione soprattutto nei pazienti con elevata comorbidità come il diabete, il LES, l’uremia terminale e le malattie vascolari periferiche. I pazienti con gangrena gassosa sono ulteriormente esposti a complicanze chirurgiche. La gangrena gassosa è sempre una condizione di emergenza, che di solito si sviluppa dopo lesioni o interventi chirurgici, ancora più grave se interessa una paziente in trattamento dialitico peritoneale, come nel nostro caso. La paziente di 71 anni affetta da DM2, IRC secondaria a LES, Fibrillazione Atriale cronica portatrice di protesi valvolare mitralica di tipo meccanica, in trattamento CAPD 3 scambi/die da 10 mesi, giungeva in PS per grave anemizzazione, forte dolore e gonfiore alla gamba sinistra con cute di colore rosso scuro tendente al nero, alla digitopressione si apprezzava crepitazione, eseguiva consulenza chirurgica urgente, le veniva diagnosticato “un ascesso perianale ed una grave fascite necrotizzante con sospetta gangrena gassosa all’arto inferiore sinistro”. Eseguita TAC alla gamba sinistra veniva sottoposta ad intervento di sbrigliamento, rimozione dei lembi necrotici e disinfezione della ferita. Iniziava Piperacillina+Tazobactan ad alte dosi, con medicazioni chirurgiche quotidiane. Il liquido peritoneale permaneva limpido per tutta la degenza, Conta Bianchi su liquido peritoneale, sempre negativa.  Al 4 giorno la risposta dell’Esame Colturale della ferita documentava: positività per E. COLI e assenza di crescita di Clostridi. E’ noto che questi batteri sono difficili da identificare a causa di spore assenti o difficili da vedere, morfologia atipica delle colonie e variabilità della colorazione di Gram  e soprattutto, come spesso accade, le ferite sono contaminate da altri batteri che nei terreni di coltura si positivizzano prima. Sulla base dell’antibiogramma si aggiungeva alla terapia meropenem 500 x2 /die per 14 giorni.  Dopo una settimana la paziente, veniva sottoposta ad un ulteriore intervento chirurgico di debridement e continuava la terapia antibiotica ad alto dosaggio. Veniva dimessa al domicilio in ADI con medicazioni chirurgiche giornaliere e   VAC  (vacuum assisted closure) therapy domiciliare.   Dopo un mese, le condizioni cliniche erano discrete, non lamentava dolore ed aveva ripreso una deambulazione autonoma(fig.8, 9). Questo caso descrive come nei pazienti in dialisi bisogna sempre prestare molta attenzione alla profilassi, alla cura dell’igiene e soprattutto come l’attenta sorveglianza clinica e il precoce intervento chirurgico, pur in presenza di una grave infezione dei tessuti molli, siano stati in grado di evitare il coinvolgimento del catetere e della membrana peritoneale e soprattutto la disseminazione sistemica dell’infezione, anche in una paziente in trattamento dialitico peritoneale con elevate comorbidità.

 

PERITONITE TUBERCOLARE: UN CASO E UNA DIAGNOSI COMPLESSI Peritonite-EPS Di Stante Silvio, Cardillo Assunta, Francioso Angelo, Paci Della Costanza Osmy, Palladino Marco, Valentini Chiara, Di Luca Marina UOC Nefrologia e Dialisi, PO S. Croce -Fano, Azienda Ospedaliera Ospedali Riuniti Marche Nord PERITONITE TUBERCOLARE:  UN CASO E UNA DIAGNOSI COMPLESSI

INTRODUZIONE

La peritonite (PRT) da Mycobacterium tuberculosis è rara (1-2% sul totale), a partenza da qualsiasi focolaio di origine, con manifestazioni cliniche classiche ma diagnosi che richiede attenzioni particolari (colturali negativi, PCR-DNA, biopsia del peritoneo); la risposta terapeutica ai farmaci antitubercolari in associazione è solitamente buona senza necessità di rimozione catetere (CP), salvo casi complicati come quello che riportiamo.

CASO CLINICO

A.H., donna, 34 aa, marocchina. All’arrivo in Italia nel 2008 riscontro di grave IRC, proteinurica, ANA (1:1280), LAC dubbio, HCV positivo, diagnosi istologica endoscopica di celiachia. Alla biopsia renale: GNF rapidamente progressiva, trattata con Steroidi e Azatioprina con parziale recupero funzionale.

Nel 12/2016 posizionamento di CP ed avvio ad APD.

Mantoux e Quantiferon positivi; iniziava isoniazide interrotta per tossicità epatica

Dopo alcuni episodi di dolore addominale, febbre, mialgie con Cytur test negativo, comparsa nel 9/2017: febbre, brivido, Cytur test positivo (GB LP 200/ml); terapia con cefepime e vancomicina ev e vancomicina e ceftazidime IP. Esclusa PRT, persistevano epigastralgia, decadimento delle condizioni generali, inappetenza, vomito. EGDS e test genetici escludevano Celiachia; ANA 1:2500 con ENA positivi, PCR e Procalcitonina  elevate, C3 ridotto, anemia con Coombs positivo per IgG. Ecocardiografia transesofagea negativa per endocardite.

Per criteri SLICC per LES > 4, ad 10/2017 iniziava boli di steroide associando Rituximab (RTX) per 6 mesi con miglioramento complessivo.

12/2017: febbricola, mialgie, incremento di enzimi epatici, LDH, PCR, ANA 1/640. Prescritti incremento del Deltacortene (poi ridotto per segni di ipercortisolemia) e richiamo con RTX.

4/2018: PRT con vomito, 700 GB (30% PMN), liquido torbido, trattata con Cefazolina (poi Vancomicina) e Tobramicina IP. Esame colturale negativo, non risposta alla terapia.

Si rimuoveva CP in laparoscopia con biopsia: diffusi focolai di flogosi granulomatosa con necrosi coagulativa, compatibili con localizzazioni tubercolari. Posizionamento di CVC tunnellizzato e shift in HD. Iniziava Levoxacin, Linezolid e Rifadin. Negatività dell’esame diretto e PCR per bacilli alcol-acido resistenti nel materiale prelevato mediante biopsia. Interrotta la terapia antibiotica.

6/2018: Eseguita PCR-DNA per ricerca di micobatteri. Risultato: positivo per micobatteri tipici.

7/2018: ripresa della terapia antitubercolare con Etapiam, Piraldina, e Rifadin per 6 mesi, con beneficio.

CONCLUSIONI

La PRT tubercolare è una complicanza subdola della DP con una gestione terapeutica non convenzionale e una diagnosi di certezza che richiede test non routinari, in particolare se associata a multiple ed insidiose comorbidità, come nel caso presentato. E’ auspicabile la valutazione di nuovi test (es. il dosaggio della Adenosin-deaminasi su liquido peritoneale) nei casi di PRT a coltura negativa e non responsivi alla terapia standard che riducano i tempi di diagnosi.

IMPATTO DELLA CONFIGURAZIONE DEL SEGMENTO INTRAMURALE DEL CATETERE SUL TASSO DI DROP OUT DALLA DIALISI PERITONEALE Catetere peritoneale Musone D(1), Nicosia V(1), Viola V(2), Diana M(2), Treglia A(1) (1) UOC Nefrologia e Dialisi, (2)UOC Chirurgia Generale, PO Dono Svizzero, Formia  width= Fig 1

 width= Fig 2

 

Obiettivi

Le complicanze meccaniche del catetere sono non raramente causa di fallimento della dialisi peritoneale (DP). Il tasso di rimozione del catetere per malfunzionamento non è ben definito. Secondo il censimento del GdP di Dialisi Peritoneale della Società Italiana di Nefrologia l’8,5% dei casi di interruzione della terapia è dovuto alla dislocazione del catetere (1). Nella tecnica di impianto con chirurgia “open” potenziale causa di dislocazione è la memoria elastica del segmento intramurale del catetere. Da questo punto di vista il design di questo tratto è rilevante nella prevenzione della migrazione intraperitoneale del catetere (2, 3, 4, 5). Scopo di questo studio è valutare l’impatto sul tasso di interruzione della DP di due diversi modelli di allestimento intramurale.

Metodi

Abbiamo diviso in un gruppo A (n. 201) ed in un gruppo B (n. 41), 249 cateteri posizionati tra il gennaio 2000 e il marzo 2019 nel nostro Centro da un team formato da un chirurgo ed un nefrologo. Sette cateteri impiantati in altri Centri sono stati esclusi. Nel gruppo A il design del tratto intramurale consisteva in: passaggio obliquo del catetere nello spessore del muscolo retto in direzione cranio-caudale, la fascia anteriore del retto era suturata nella direzione opposta con il catetere che emergeva dall’angolo superiore (Fig 1); nel gruppo B: 2-3 cm cranialmente alla cuffia profonda veniva eseguita una piccola incisione della fascia anteriore da cui era fatto emergere il catetere (Fig 2). L’end point primario era la rimozione del catetere per malfunzionamento da dislocazione. La significatività statistica è stata valutata con l’odds ratio e x² secondo Yates.

Risultati

La sopravvivenza media del catetere è stata 1050 giorni. La dislocazione del catetere è stata responsabile dell’interruzione della DP nell’8,6%, in particolare tale complicazione è intervenuta nel 2,9% dei pazienti nel gruppo A e nel 2,4% nel gruppo B (OR 0,81; x² Yates 0,1; p 0,74).

Conclusioni

Il nostro studio mostra una percentuale di fallimento della DP da dislocazione del catetere sovrapponibile a quella riportata in letteratura. La tecnica di impianto del gruppo B sembra essere associata a qualche vantaggio ma la differenza non è significativa; tuttavia riteniamo che in virtù della sua semplicità e rapidità di esecuzione, questa tecnica debba essere considerata come prima scelta.

IL CUFF-SHAVING COME TRATTAMENTO DELLE INFEZIONI CATETERE CORRELATE: STUDIO RETROSPETTIVO A MEDIO TERMINE Catetere peritoneale Nicosia V(1), Musone D(1), Andrietti M(1), Diana M(2), Viola V(2), Treglia A(1) (1)UOC Nefrologia e Dialisi, (2)UOC Chirurgia Generale, Ospedale Dono Svizzero, Formia Obiettivi

Le infezioni catetere correlate dell’exit-site/tunnel (ESI) rappresentano un fattore di rischio per la peritonite. Le ESI refrattarie pongono il problema della rimozione o salvataggio del catetere. Le linee guida ISPD suggeriscono in questi casi la rimozione e il consensuale reinserimento di un nuovo catetere (1). Ciononostante sono stati descritti diversi approcci conservativi per il trattamento delle infezioni refrattarie: le tecniche di unroofing, con o senza reimpianto parziale del catetere o deviazione e ripristino di nuovo exit-site (2, 3, 4, 5); queste tecniche sono descritte però associate ad un aumentato rischio di peritonite (6). Nel 2018 presentammo la nostra esperienza con la procedura di cuff shaving in una survey retrospettiva in cui non evidenziammo differenze statistiche del rischio di ESI tra i pazienti trattati con la chirurgia rispetto a quelli trattati con terapia medica (7). Con questo nuovo studio abbiamo valutato come questo dato sia cambiato dopo un periodo di osservazione più lungo.

Metodi

Otto pazienti con ESI refrattaria sono stati sottoposti a intervento chirurgico consistente nell’unroofing del catetere, rimozione della cuffia superficiale, resezione dell’area di cute sovrastante e del tessuto sottocutaneo corrispondente, allestimento di nuovo tunnel sottocutaneo ed exit-site. L’eziologia era: MSSA (62%, 5/8), MRSA (12,5%, 1/8), St hominis (12,5%, 1/8), Ps aeruginosa (12,5%, 1/8). Come da prassi nel nostro Centro tutti i pazienti sono stati sottoposti a monitoraggio ecografico. L’intervento era eseguito in due tempi: la prima fase “sporca”, la seconda fase dopo la sostituzione dei guanti e della trousse strumentale. Per evitare rischi di danneggiamento, la cuffia era rimossa senza il ricorso a bisturi o altri strumenti ma imbevendola di esano, molto efficace come solvente della collante che fissa la cuffia al catetere. I tassi di ESI o peritoniti sono espressi come episodi/paziente/anno.

Risultati

L’intervento chirurgico ha risolto l’ESI refrattaria in 7 pazienti (87,5%), uno (12,5%), agente eziologico MRSA, è andato incontro ad una recidiva di ESI con peritonite consensuale e conseguente rimozione del catetere. Nel periodo di osservazione di 17,8 ± 9,1 mesi, il tasso di ESI nei pazienti operati è stato 0.4 episodi/anno/paziente contro 0.21 nel resto della popolazione (ᵪ2 4,65 e p<0.05); il tasso di peritoniti è stato 0.11 episodi/anno/paziente negli operati, 0.05 negli altri (ᵪ2 0.01).

Conclusioni

Contrariamente ai nostri precedenti riscontri, su un periodo di osservazione più lungo, la procedura di cuff shaving, così come descritta, è associata ad un maggiore rischio di ESI. Considerando che teoricamente tutti i pazienti si attengono alle stesse procedure di cura dell’exit-site, è possibile ipotizzare che siano necessari protocolli di training più intensivi e mirati nei pazienti a maggior rischio di ESI. Nessuna differenza significativa è stata invece riscontrata sul tasso di peritoniti. In ogni caso noi riteniamo che il cuff shaving sia una procedura da considerare nei pazienti in cui il passaggio a emodialisi sia, per qualsiasi motivazione, complicato.

Leakage peritoneo-pleurico traumatico in paziente in dialisi peritoneale affetta da amiloidosi AL Casi Clinici Annachiara Ferrari (1), Gaetano Alfano (2), Andrea Solazzo (3), Laura Diotallevi (4), Gianni Cappelli (5) (1,2,3,4,5) UOC Nefrologia, Dialisi e Trapianto Renale, Università di Modena e Reggio Emilia, Azienda ospedaliera-universitaria di Modena, Modena INTRODUZIONE

L’idrotorace dovuto a leakage peritoneo-pleurico è una possibile complicanza della dialisi peritoneale(1).

CASO CLINICO

Paziente di 80 anni affetta da insufficienza renale terminale da amiloidosi AL in APD notturna da 6 mesi con ultrafiltrazione di 500 ml/die e diuresi di 700 ml/die ricoverata dopo accesso in PS per dispnea acuta con diagnosi di insufficienza respiratoria ipossiemica ed evidenza all’ RX torace di versamento pleurico destro.

Riferiva recente trauma accidentale con frattura di radio e ulna destra in conseguenza del quale insorgevano dispnea e contrazione dell’ultrafiltrazione di circa 200 ml/die.

Veniva eseguita TC torace-addome con somministrazione intraperitoneale di Gastrografin che evidenziava piccola soluzione di continuo della cupola diaframmatica di destra attraverso la quale era apprezzabile esile sbuffo di liquido dialitico ad elevata densità. width=DISCUSSIONE

Descriviamo una presentazione tardiva, verosimilmente post-traumatica e favorita dalla patologia di base (amiloidosi) di leakage peritoneo-pleurico (3)

CONCLUSIONI

Nei pazienti dializzati peritoneali è importante considerare come possibile causa di idrotorace monolaterale il leakage peritoneo-pleurico (4).

Ultrafiltrazione peritoneale nello scompenso cardiaco cronico refrattario: controllo del bilancio idrico e salino e follow up a 12 mesi. Miscellanea Bigatti Giada (1), Nava Elisa (1), Xhaferi Brunilda (2), Tedoldi Silvia (1), Martino Stefania (1), Mazzullo Tiziana (1), Villa Margarita Nora (1), Traversi Lara (1), Ciurlino Daniele (1), Bertoli Silvio Volmer (1) (1) Nefrologia e Dialisi, IRCCS Multimedica, Sesto San Giovanni (Milano) (2) Dipartimento di Medicina e Chirurgia, Università degli Studi di Milano Bicocca Nel mondo 26 milioni di persone sono affette da scompenso cardiaco (SC)[1] e tra queste circa il 5% raggiunge lo stadio terminale di malattia refrattaria alla terapia[2, 3]. Il decorso clinico della patologia è caratterizzato da numerose ospedalizzazioni e scarsa qualità della vita[2, 3]. L’ultrafiltrazione peritoneale (UFP), rimuovendo acqua e sodio (Na+), può avere un ruolo nel trattamento dei pazienti affetti da SC cronico, sottoposti a ricoveri ripetuti e con sintomi severi nonostante una terapia ottimale[4]. Scopo del nostro studio è stato quello di valutare, in una popolazione di pazienti affetti da SC e da IRC moderata, gli effetti dell’UFP sul rimodellamento ventricolare, sul numero di ricoveri e sulla qualità della vita, concentrandoci sulla rimozione di acqua e Na+ tramite UFP. Abbiamo reclutato 9 pazienti affetti da SC in classe NYHA IV sottoposti ad almeno 3 ricoveri all’anno per SC nonostante la terapia ottimale, non candidabili al trapianto cardiaco. Dopo aver ripristinato il compenso cardiocircolatorio i pazienti venivano sottoposti a posizionamento di catetere peritoneale e iniziavano un monoscambio giornaliero con icodestrina nottuna o 1-2 scambi giornalieri con soluzione ipertonica (3.86%) per 2 ore di sosta, con volume di carico di 1.5-2L. Nella Tab.1 sono riportate le caratteristiche della popolazione. Nel corso del follow up si osservava una riduzione significativa dei ricoveri annui e della classe NYHA (p=0.016) e un miglioramento della qualità della vita (p=0.028), valutata mediante il questionario Minnesota Living with HF (Tab.2). L’UF media risultava essere di 500ml con icodestrina e 700ml con soluzione ipertonica in condizioni basali. L’escrezione peritoneale di Na+ risultava maggiore con icodestrina (67.5 mEq/scambio) rispetto alla soluzione ipertonica (48 mEq/scambio). Nel corso del follow up si assisteva ad un progressivo aumento dell’escrezione peritoneale di Na+ (Tab.3), con una corrispettiva riduzione dell’escrezione di Na+ urinario (Tab.2) e del GFR. Dal punto di vista ecocardiografico, abbiamo osservato una riduzione dei volumi del ventricolo sinistro e del diametro dell’atrio sinistro (p=0.04) senza una significativa variazione della FE. Nel corso del follow up abbiamo assistito al decesso di 3 pazienti. L’UFP è un trattamento che si associa alla riduzione dei giorni di ricovero, al miglioramento della qualità della vita e alla riduzione dei volumi cardiaci; rappresenta nei pazienti affetti da SC una metodica aggiuntiva nel controllo dei volumi e dell’escrezione di Na+. È preferibile utilizzare l’icodestrina in quanto ha una UF più lenta e fisiologica. Nei casi resistenti o in presenza di iponatriemia severa è preferibile utilizzare monoscambio rapido con ipertonica.

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La toracoscopia: valida opzione diagnostica-terapeutica nel leakage peritoneo-pleurico. Caso clinico. Casi Clinici Bigatti Giada (1), Xhaferi Brunilda (2), Nava Elisa (1), Traversi Lara (1), Ciurlino Daniele (1), Mazzullo Tiziana (1), Tedoldi Silvia (1), Martino Stefania (1), Villa Margarita Nora (1), Castiglioni Massimo (3), Oriani Matteo (4), Bertoli Silvio Volmer (1) (1) Nefrologia e Dialisi, IRCCS Multimedica, Sesto San Giovanni (Milano) (2) Dipartimento di Medicina e Chirurgia, Università degli Studi di Milano Bicocca (3) Chirurgia Toracica, IRCCS Multimedica, Sesto San Giovanni (Milano) (4) Radiologia, IRCCS Multimedica, Sesto San Giovanni (Milano) ll leakage peritoneopleurico è una complicanza rara della dialisi peritoneale (DP) (incidenza 1.6-1.9%). Riportiamo il caso di un paziente di 83 anni, affetto da IRC terminale in monorene chirurgico per neoplasia renale in DP incrementale da Novembre 2018 con monoscambio diurno (soluzione isotonica 1.36%, 2L). In data 6/10/19 ricovero per dispnea con riscontro radiologico di versamento pleurico destro risalente sino al campo medio con riduzione dell’ultrafiltrazione peritoneale. Dopo sospensione del monoscambio si assisteva a regressione del versamento pleurico. Nell’ipotesi di leakage peritoneopleurico si eseguiva TC basale (Fig.1a) e dopo 4 ore di stazionamento di 2L di isotonica con 100ml di gastrografin (Fig.1b). Al termine della sosta, comparsa di versamento pleurico destro, che risaliva fino all’apice polmonare (spessore 5 cm), iperdenso. In considerazione della volontà del paziente a non shiftare in HD si decideva di eseguire videotoracoscopia (VATS). Tramite accesso toracostomico in VII e VI spazio intercostale destro si procedeva a introduzione dell’ottica con evidenza di polmone libero in cavo. Non versamento pleurico. All’esplorazione della cavità pleurica nessuna evidenzia di soluzioni di continuo diaframmatiche. Si eseguiva pleurodesi con 8 gr di talco sterile. L’intervento chirurgico durava 10 minuti senza complicanze. Il paziente veniva dimesso in III giornata, in terapia conservativa e in dieta ipoproteica (creatinina 9.94 mg/dl, urea 143 mg/dl, GFR 6 ml/min). Dopo due settimane si procedeva a nuova TC con gastrografin che dopo 4 ore non evidenziava più passaggio di liquido di contrasto nella cavità toracica (Fig.2).  Il paziente riprendeva DP con 3 scambi diurni con soluzione isotonica 1.36% e volume ridotto (1500 ml). Non ci sono linee guida chiare sul trattamento della comunicazione peritoneopleurica (conservativo con shift ad HD o invasivo chirurgico). La VATS permette sia la riparazione con patch di eventuale difetto diaframmatico sia di attuare la pleurodesi chimica con agenti irritanti. Nella nostra esperienza la VATS ha permesso di attuare una pleurodesi accurata attraverso l’instillazione mirata di talco su tutta la cavità pleurica con un tempo chirurgico ridotto. Questo ha permesso dopo 2 settimane di trattamento conservativo di riprendere la DP attraverso scambi con volumi ridotti. La VATS è una tecnica sicura ed efficace e rappresenta un’opzione per il trattamento della comunicazione peritoneopleurica in DP.

Fig. 1a

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Fig. 1b

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Fig.2

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LA PERITONITE IN DIALISI PERITONEALE: 14 ANNI DI OSSERVAZIONE (2000-2006) E (2010-2016) DI DUE DISTINTE POPOLAZIONI IN DP DA PARTE DELLA STESSA EQUIPE MEDICA OPERANTE IN DUE OSPEDALI DIVERSI Peritonite-EPS A Filippini (1), A.R. Rocca (2), C. Esposto (1), G. Utzeri (1), F. Sivo (1), B. Borzacca (1) Policlinico Casilino Roma (1), Policlinico Umerto I Roma (2).  

Introduzione

La P in dialisi peritoneale è la più comune complicanza e la principale causa di drop-out. Nel 2001 la meta analisi del gruppo Cochrane sull’uso del sistema double bag ha riportato un’incidenza di P molto variabile, da 1 episodio ogni 24.8 ad 1 episodio ogni 46.4 mesi. Studi successivi hanno confermato la grande variabilità nell’incidenza di P nelle diverse nazioni: da 0,06 a 1,66 episodi anno. Le linee guida internazionali raccomandano una incidenza inferiore ad 1 episodio/20 mesi/pz.

Scopo dello studio

Incidenza P confrontando due popolazioni in dialisi peritoneale negli anni 2000-2006 (91 pz) presso l’Ospedale S. Giacomo e  negli anni 2010-2016 (77 pz) presso il Policlinico Casilino seguite dallo stesso staff medico ma da diverso personale infermieristico.

Risultati

Le due popolazioni erano simili per età anagrafica e sesso. Le P sono state 34 (37%) di cui 38% in APD e 62% in CAPD  nel gruppo 2000-2006 e 16 (21%) nel gruppo 2010-2016 . Tab 1

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Nei grafici sono riportate le P mese/paziente dei 14 anni di osservazione. La mediana è stata di 1 episodio/59 mesi/pz per il periodo 2000-2006 e 1 episodio/76 mesi/pz per il periodo 2010-2016.

 

 

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Nel 2000-2006 delle 51 peritoniti 28 (55%) erano da gram+, 13 (25,5%) da gram -, 4 (7,8%)  da flora mista e 6 (11,7%) sterili. Nel 2010-2016 delle 24 peritoniti 11 (46%) erano da gram+, 7 (29%) da gram-, e 6 (25%) sterili. Tra i gram+ l’infezione da stafilococco è la più frequente in entrambi i periodi osservati: 19 (68%) nel 2000-2007, 7 (64%) nel 2010-2016

Discussione:

Il trasferimento dell’equipe medica presso un altro Ospedale dove non era praticata la DP ha reso necessario un periodo di training di 2 infermieri dedicati e di sensibilizzazione alla metodica di tutto il personale in servizio, ciò ha permesso di offrire la terapia a 77 nuovi pz nel periodo 2010-2016 con un basso tasso di incidenza delle P. La mediana è passata da 1 episodio/59 mesi/pz per il periodo 2000-2006 ad 1 episodio/76 mesi per il periodo 2010-2016.  Le soluzioni ed i device utilizzati erano gli stessi utilizzati nelle due popolazioni a confronto. Nel periodo 2010-2016 si è osservato una percentuale più bassa di P da gram+ (46% Vs 55%) un incremento delle P da gram- (29% Vs 25,5%) ed un incremento delle P sterili (25% Vs 11,7%).

 

Conclusioni:

Il Know-own acquisito, la dedizione a trasferire al nuovo personale l’interesse e la conoscenza della metodica hanno permesso di trattare nuovi pz con la DP con una minore incidenza di P. La maggiore incidenza di peritoniti sterile osservate in quest’ultimo periodo richiederà una maggiore sensibilizzazione del laboratorio di microbiologia nello svolgimento delle procedure colturali.

 

Utilizzo del monitoraggio da remoto in dialisi peritoneale automatizzata: esperienza 2017-2019 in un singolo centro. Miscellanea Lo Cicero Antonina, Ferraro Mortellaro Rosella, Romanini Dino, Irlando Antonio, Celik Lojze, Velardita Alfonso, Versace Graziella, Zuccolo Mery, Amici Gianpaolo Struttura Complessa di Nefrologia e Dialisi, Ospedale di San Daniele e Tolmezzo, Azienda Sanitaria Universitaria Friuli Centrale. Abbiamo condotto uno studio osservazionale in un gruppo di pazienti in dialisi peritoneale automatizzata (APD) per valutare l’impatto dell’introduzione e del successivo utilizzo a lungo termine del sistema di telemedicina per monitoraggio da remoto (RPM, Claria Sharesource Baxter). Dal 01/04/2017 al 31/12/2019 (33 mesi) sono stati seguiti con RPM 42 pazienti, sesso F 20 M 22, età 70±14 anni, in dialisi peritoneale da 10 mesi (IQR 3-23), distanza dal centro 18±14 km in area montana e collinare. Sono stati monitorati complessivamente 505 mesi di trattamento, per paziente mediana 9 mesi (IQR 3-19) corrispondenti ad un totale di 11685 trattamenti, per paziente mediana 206 trattamenti (IQR 52-457). Sono stati registrati complessivamente 1125 allarmi (red flag), per paziente mediana 9 allarmi (IQR 1-45), di cui distinguendo le cause: per tempo di sosta perso (>45 minuti) 1006 allarmi (89%), per scarico anticipato (>2 volte) 22 allarmi (2%), per bypass carico o sosta (>3 volte) 15 allarmi (1%), per eventi vari principalmente lento drenaggio (>10 volte) 86 allarmi (8%). Il tasso è risultato di 2.2 allarmi per paziente-mese, corrispondente a 0.1 allarmi per seduta. Si è evidenziata una correlazione positiva tra numero di trattamenti e gli allarmi (r=0.534, p<0.001). Complessivamente sono stati modificati in remoto 195 programmi, per paziente mediana 3 (IQR 1-7), tasso 0.02 modifiche per paziente-mese, con un rapporto 0.2 modifiche per allarme. Non sono risultate correlate le modifiche dei programmi con gli allarmi registrati. Le giornate di ricovero totali sono risultate 403 con un tasso di 0.8 giornate per paziente-mese, rapporto giornate di ricovero su trattamenti 0.03, rapporto giornate di ricovero su allarmi 0.4. Lo studio evidenzia che l’APD con il sistema RPM costituisce un cambiamento organizzativo rilevante ed efficiente nel lungo termine in un gruppo consistente di pazienti, alcuni dei quali residenti in aree effettivamente disagiate. Il lavoro di monitoraggio e feedback da remoto ha evidenziato una buona funzionalità informativa confermando un basso tasso di allarmi, modifiche dei programmi e ricoveri.
Selezione dei pazienti alla Dialisi Peritoneale (DP): implicazione dei fattori non clinici Predialisi-Scelta dialitica A.R.Rocca (1), N.Frassetti(2), F.Santoboni(2), F. De Fina (2), M.J. Ceravolo(2), M.S.Caramiello(3), V.Angeloni(3) , R. Palumbo (3), S.Rotondi (4), S.Mazzaferro(1,2) (1) UOC Nefrologia, Policlinico Umberto I, Università di Roma Sapienza   (2) Scuola di Specializzazione in Nefrologia, Policlinico Umberto I, Università di Roma Sapienza Introduzione: Tra le barriere che ostacolano la diffusione della DP quelle di ordine non clinico sono di gran lunga superiori a quelle strettamente mediche. Una non corretta informazione e la diversa distribuzione di centri pubblici/privati, gioca un ruolo rilevante sulla bassa prevalenza della DP. Programmi di counseling pre-dialisi quali ad es.ambulatorio dedicato all’uremia avanzata, sembrano indirizzare il pz verso una scelta più consapevole che orienta maggiormente alla DP. Nel nostro studio abbiamo valutato quanto i pz in trattamento sostitutivo dialitico siano stati informati riguardo l’esistenza della DP e quali fattori siano implicati nella scelta della terapia sostitutiva.
Scopo: abbiamo valutato il grado di conoscenza e condivisione della scelta dialitica nei pz afferenti in tre Centri dialisi del Lazio
Materiali e metodi: è stato somministrato un questionario dedicato ai pz prevalenti in 2 Centri dialisi pubblici con offerta sia di DP che HD ed in un Centro privato in cui si effettua solo HD.
Risultati: 214 pz hanno risposto al questionario (tab 1).
Il rifiuto alla DP era motivato da : volontà di non gestire la dialisi a domicilio e mancato supporto familiare. Le motivazioni riferite per la scelta DP sono state maggiore libertà (77% DPpu vs 62% DPop), autonomia (81% DPpu vs 35.5% DPop), deospedalizzazione (61% DPpu vs 44% DPop) e migliore qualità della vita (23 %DPpu vs 22% DPop).
Discussione: Dai risultati ottenuti si evince un’età media più avanzata, un livello d’istruzione più basso e maggiori fattori comorbidi nell’ HDcp. Un livello culturale più elevato sembra indirizzare di più alla scelta della DP.
Un’elevata percentuale di pz in HD non era a conoscenza della DP e iniziava in urgenza, tali pz presentavano un minor grado di autonomia e maggiori comorbidità (obesità, interventi chirurgici addome). I pz in HDpu e HDop, risultavano mediamente più informati e rifiutavano la DP principalmente per non gestire la tecnica dialitica a domicilio.
La quasi totalità dei pz intervistati presso i centri di DP aveva invece seguito programmi di counseling pre-dialisi e le motivazioni della scelta risultavano essere maggiore autonomia, migliore qualità della vita e minor ospedalizzazione. Malgrado si cerchi di affrontare e risolvere con più o meno successo le problematiche più strettamente mediche e quelle sociali, nel complesso processo di scelta possono intervenire altre barriere “strutturali” o altre variabili legate al diverso approccio dei nefrologi verso la DP. Anche la dimensione medio-piccola del centro gioca un ruolo importante, per l’aumentata disponibilità di posti tecnici per l’HD. Resta cruciale nel condizionare la scelta l’atteggiamento del nefrologo stesso verso la DP, spesso per poca conoscenza, esperienza o preconcetti. Tutto ciò si ripercuote sulla mancata informazione che come abbiamo visto è essenziale per scegliere e condividere la metodica dialitica.
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CASE REPORT: DIALISI PERITONEALE AUTOMATIZZATA E SORDITA’ Casi Clinici Moscato M1, Vizzardi V2, Sandrini M2, Pola A2, Scolari F1,2. 1Scuola di Specializzazione in Nefrologia, 2Università degli Studi di Brescia. U.O. Nefrologia, ASST-Spedali Civili. RAZIONALE. Uno dei vantaggi della dialisi peritoneale automatizzata notturna (APD) è quello di consentire al paziente lo svolgimento delle normali attività quotidiane. In assenza di caregiver, la sordità potrebbe essere una controindicazione assoluta alla APD a causa dell’incapacità del paziente di attuare le necessarie manovre. In letteratura è descritta la sola esperienza del gruppo di ricerca giapponese di “St. Marianna University School of Medicine”, che riporta il caso di un paziente affetto da malattia renale cronica terminale nel contesto di Sindrome MELAS introdotto al trattamento dialitico peritoneale nonostante il deficit dell’udito. In questo studio, riportiamo il caso di una paziente in trattamento dialitico peritoneale cronico mediante metodica APD affetta da ipoacusia neurosensoriale bilaterale congenita.

CASISTICA E METODI. Donna di 47 anni in trattamento dialitico peritoneale dal 08/11/2019 per uremia terminale secondaria a ADPKD. Dati anamnesticamente significativi: ipertensione arteriosa, ipotiroidismo in terapia ormonale sostitutiva, verosimile attacco gottoso dell’articolazione tibio-tarsica, ADPKD, ipoacusia neurosensoriale bilaterale, aneurisma sacculare paraoftalmico privo di indicazione a trattamento endovascolare. Il 01/10/2019, a causa del progressivo peggioramento della funzione renale, la paziente veniva sottoposta ad intervento chirurgico di posizionamento di catetere di Tenckhoff retto a 2 cuffie senza complicanze. Dopo un lento addestramento alla metodica, la paziente iniziava la APD tramite Cycler Home Choise Claria Baxter® (Fig. 1), dotato di dispositivo di vibrazione (Bellman & Symfon®) connesso al Cycler (Fig. 2) e raggiungeva un’adeguata capacità di autogestione della dialisi.

RISULTATI. Attualmente la paziente sta eseguendo la dialisi peritoneale mediante metodica NTPD con volume di carico di 1500 cc, Tidal 75%, 8 ore 8 cicli. Il trattamento è ben condotto e tollerato dalla paziente che presenta ancora una funzione renale residua di 4.4 ml/min. Il wKT/V 2.23 e la wCrCl 56 ml/min descrivono un quadro di adeguatezza dialitica ottimale.

CONCLUSIONI. Nella APD è necessario percepire i segnali sonori di allarme emessi dal Cycler, pertanto, potrebbe sembrare impossibile proporre tale metodica ai pazienti affetti da sordità. La nostra esperienza dimostra la possibilità di poter eseguire adeguatamente la APD mediante l’utilizzo di uno strumento di comunicazione che permette al paziente di attuare i provvedimenti necessari alla corretta esecuzione della metodica. Grazie a questi dispositivi, anche i pazienti con tale disabilità, possono gestire questo tipo di dialisi.

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TUMEFAZIONE DELLA PARETE ADDOMINALE REGIONE PARAOMBELICALE SN COMPARSA DOPO 5 MESI DALL’INIZIO DELLA DP Casi Clinici A Filippini (1), F Ansali (2), C. Esposto (1), G. Utzeri (1), F. Sivo (1), B. Borzacca (1) Policlinico Casilino Roma (1), Ospedale San Paolo Civitavecchia (2). Introduzione

L’incremento della pressione intraddominale dovuta al riempimento dialitico nella DP è spesso causa di  complicanze meccaniche che rappresentano un ostacolo al proseguimento della terapia. Si possono manifestare precocemente ma spesso insorgono a distanza di mesi dall’inizio della DP e in molti casi sono dovute a aree a minore resistenza della parete addominale per pregresse cicatrici chirurgiche.

Caso clinico

Riportiamo il caso di un uomo  di 47 aa che dopo 5 mesi dall’inizio della terapia dialitica peritoneale presenta difficoltà di scarico e comparsa di una voluminosa tumefazione nella regione ombelicale sn con necessità di interruzione della DP. Nella storia un pregresso intervento laparoscopico di bendaggio gastrico per obesità. All’età di 35 aa scoperta di ipertensione e di IRC V° stadio, confezionamento di FAV ed HD. Dopo circa 11 mesi trapianto renale in fossa iliaca dx. A Luglio 2015 eseguiva biopsia renale da cui risultava rigetto cronico. Da allora decremento progressivo della funzione renale. Maggio 2018 iniziava APD + icodestrina diurna.

Ottobre 2018 improvvisa comparsa di tumefazione regione ombelicale in progressivo incremento di volume. L’ecografia della parete addominale mostrava una raccolta di 500 ml di liquido che si presentava liquido al drenaggio.

La TC mostrava nel tessuto adiposo della parete addominale, in sede ombelicale, una raccolta saccata senza continuità con il catetere peritoneale, di cm 5 x 4,5 x 3 con parete lievemente iperdensa e due millimetriche bolle gassose. Presenza di dispositivo di bendaggio gastrico in buona posizione. Non ernia ombelicale.

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Sospesa la DP proseguiva HD con catetere venoso centrale  (FAV chiusa) Dopo un mese ripresa APD senza carico finale di Icodestrina ed addome vuoto di giorno. Dopo 4 giorni recidiva e sospensione della DP.

Veniva successivamente eseguita una nuova TC addome che confermava  se pur ridotta, la presenza di una grossolana area a densità fluida con estensione massima di circa 27 x 17 mm. Non erniazione di visceri intestinali.

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Su indicazione chirurgica si sottoponeva il paziente a intervento con evidenza di sacco erniario, verosimilmente secondario alla pregressa laparoscopia, che veniva sezionato. Dopo 30 giorni ripresa della DP.

Conclusioni

La presenza di una raccolta fluida improvvisa della parete addominale in corso di DP si può verificare nella sede cicatriziale di un precedente intervento chirurgico anche laparoscopico quale loco a minor resistenza. In tali casi ciò dovrebbe indurre lo specialista, per garantire una ripresa della DP, a un precoce intervento riparatore senza ricorrere a strategie dialitiche con volumi ridotti o DP in posizione supina nella speranza di una possibile risoluzione spontanea.

Rene policistico autosomico recessivo (ARPKD):Il trattamento dialitico peritoneale precoce in età neonatale Casi Clinici Minale B, Ferretti AVS, D’Arcangelo R, De Luca A, Nuzzi F, Malgieri G, Molino D, Saravo MT, Luongo I, Serio V, Annichiarico Petruzzelli L, Pecoraro C UOC Nefrologia e Dialisi, Ospedale Santobono Napoli ARPKD è una rara malattia ereditaria (1/20.000 nati vivi), caratterizzata dallo sviluppo di cisti nei dotti collettori e da coinvolgimento epatico. La malattia si trasmette con modalità autosomica recessiva e il gene responsabile, PKHD1, mappa sul cromosoma 6. ARPKD viene spesso diagnosticata alla nascita o nei primi anni di vita. Nella forma neonatale può associarsi ipoplasia polmonare, legata all’oligoidramnios. La mortalità nel primo anno di vita è fino al 20%. La gestione di questi pazienti rappresenta così una complessa sfida per il clinico. Riportiamo la nostra esperienza di tre neonati con ARPKD e insufficienza respiratoria.

1° caso clinico. G., femmina, ecografia prenatale suggestiva per ARPKD e oligoidramnios. Alla nascita presentava significativo distress respiratorio con notevole nefromegalia. La funzione renale era severamente compromessa per cui in 5° giornata iniziava emodialisi (HD). In 10° giornata, per grave insufficienza respiratoria da ingombro, veniva praticata nefrectomia bilaterale e iniziava DP. Esame istologico e genetica compatibili con ARPKD. A 4 anni trapianto renale.

2° caso clinico. F., maschio, ecografia prenatale suggestiva per ARPKD. Nato a 32 settimane, presentava severo distress respiratorio e notevole nefromegalia. In 30° giornata per progressiva insufficienza renale e il persistere dell’insufficienza respiratoria, veniva eseguita nefrectomia bilaterale e iniziava DP. Esame istologico compatibile con ARPKD; genetica negativa. A 3 anni trapianto renale.

3° caso clinico. C., femmina, diagnosi genetica prenatale di ARPKD con oligoidramnios. Nata a 34 settimane, presentava grave distress respiratorio, nefromegalia e ipertensione arteriosa. In 45° giornata, veniva eseguita nefrectomia destra; in 51° giornata iniziava DP. Dopo una settimana, per persistenza di ipertensione e necessità di ventilazione assistita, nefrectomia sinistra. Attualmente (24 mesi) pratica DP in attesa di trapianto.

In tutti i casi, per le gravi condizioni respiratorie (ipoplasia polmonare e ingombro addominale) la DP è stata inizialmente effettuata in modalità manuale e continua, impiegando volumi di dialisato molto piccoli (10-15 ml/kg), variando a secondo delle esigenze la concentrazione del glucosio, e soste brevi. Non si sono verificate particolari complicanze con UF soddisfacenti. Dopo un periodo variabile, i tre pazienti sono stati svezzati dalla ventilazione assistita e nel terzo caso si è assistito alla normalizzazione della pressione arteriosa. Nel lungo termine, i pazienti sono passati all’APD con schemi di 10-12 ore e utilizzo di 40-45 ml/kg di soluzione a concentrazione variabile di glucosio. Presentavano ritardo di crescita staturo-ponderale con periodica necessità di supplementi di enterale notturna.

In conclusione, nei casi di ARPKD neonatale con grave compromissione respiratoria, la nefrectomia bilaterale precoce e l’instaurazione della DP rappresentano la scelta più appropriata, riducendo al minimo la mortalità di questi pazienti.

Impatto del tipo di dialisi sul tempo d’attesa in lista trapianto Epidemiologia-Valutazione clinica Matteo Righini, Irene Capelli, Marco Busutti, Valeria Aiello, Concettina Raimondi, Giorgia Comai, Giacomo Magnoni, Gabriele Donati Pasquale Chieco, Gaetano La Manna UO Nefrologia, Dialisi e Trapianto Prof. La Manna, Policlinico Sant’Orsola, Bologna Introduzione: Il trapianto di rene rappresenta il gold standard terapeutico nel paziente affetto da insufficienza renale terminale (ESRD) garantendo migliori outcomes sia in termini di sopravvivenza che in termini di qualità di vita rispetto al trattamento dialitico. Per i pazienti che non possono effettuare il trapianto da vivente, la permanenza in lista d’attesa per trapian to da donatore cadavere è spesso prolungata. Abbiamo effettuato un analisi retrospettiva monocentrica per valutare se il tipo di trattamento sostitutivo (dialisi peritoneale vs emodialisi) influenzi il tempo di attesa dell’organo.

Materiali e metodi: abbiamo selezionato 1619 pazienti iscritti e trapiantati presso il centro trapianti di rene di Bologna dal 1991 al 2019 dividendoli in due gruppi (emodialisi vs dialisi peritoneale) e descrivendoli, tramite l’analisi delle cartelle digitali della lista d’attesa di trapianto, per età, sesso, BMI, gruppo sanguigno, comorbidità, malattia di base, sierologia (HBV, HCV, HIV, CMV, Toxo, EBV, LUE), tempo di attesa in lista trapianto, PRA max, numero di anticorpi preformati. Sono stati esclusi i secondi trapianti ed i soggetti iscritti al programma nazionale iperimmuni. Per quel che riguarda le analisi statistiche, i due gruppi sono stati comparati utilizzando il Welch corrected ANOVA e non parametric t test.

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Risultati: 1619 pazienti sono stati divisi in due gruppi  width= a seconda della tecnica sostitutiva: emodialisi (1347 pz) e dialisi peritoneale (271 pz). Le popolazioni risultano così distribuite per sesso (HD 449F/898M, DP 116F/155M), età (HD 62±12,3, DP 62±12,5), BMI (HD 23,9±3,5, DP 24,7±3,4) e gruppo (HD 534 A/151 B/55 AB/605 0, DP 119 A/28 B/23 AB/99 0).  Il tempo di attesa in lista trapianto risulta essere di  933,9±25,6 giorni in HD e 667,3±57,1 giorni in DP (p<0,001). Il PRA max dei due gruppi risulta essere 23,1±0,9 in HD e 11,4±1,9 in DP (p<0,001). Il numero di anticorpi preformati risulta essere 5,1±0,3 in HD e 2±0,7 in DP(p<0,001).

 

Conclusioni: Nonostante i simili risultati in termini di outcome, la dialisi peritoneale continua ad essere una tecnica poco utilizzata rispetto all’emodialisi e la sua prevalenza in Italia risulta essere del 15%. Come riportato da recenti lavori in letteratura, i nostri dati confermano che il tempo di attesa in lista trapianto è ridotto nei pazienti in DP rispetto a quelli in HD. La popolazione in DP risulta meno immunizzata, esprimendo l’immunizzazione come PRA max e numero di anticorpi e questo potrebbe spiegare il ridotto tempo di attesa di questi pazienti.

Bibliografia:

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Rimozione del sodio (Na) con soluzioni a basso contenuto sodico e a variabile concentrazione di glucosio in CAPD Miscellanea N.Frassetti(2),A.R.Rocca (1), , F.Santoboni(2), F. De Fina (2), M.J. Ceravolo(2),   S.Mazzaferro(1,2) (1) UOC Nefrologia, Policlinico Umberto I, Università di Roma Sapienza   (2) Scuola di Specializzazione in Nefrologia, Policlinico Umberto I, Università di Roma Sapienza Introduzione. La mortalità cardiovascolare è la principale causa di morte nei pazienti in dialisi e la rimozione di Na e acqua è di fondamentale importanza per ridurne il rischio. In dialisi peritoneale (DP) l’effetto combinato della diuresi residua e della ultrafiltrazione (UF) sono state le uniche strategie finora disponibili. Negli ultimi anni è stato riportato un vantaggio sulla rimozione di Na aumentando la rimozione diffusiva con l’utilizzo di sacche a basso/bassissimo contenuto di Na.
Scopo dello studio. Valutare l’effetto di soluzioni dialitiche a basso contenuto di Na (130 mmol/l, vs 134mmol/l standard) e a diversa concentrazione di glucosio (1,5%, 2,5%) su UF e rimozione di Na in CAPD.
Materiali e metodi. 7 pz (M 43%, età media 55.7aa, età dialitica media 11.1 mesi) prevalenti in DP da almeno 3 mesi. 4 pz (57%) erano in terapia con furosemide (dose media 81 mg/die). Tutti eseguivano dialisi incrementale con icodestrina (2 litri, 9h notturne). La diuresi residua era superiore a 1000 ml/die, in media 1714 ml/die, il ΔNa medio era di 9,3±2,6. Ciascun pz è stato sottoposto ad uno scambio con 1,5% per 4 h, e dopo una settimana a scambio con 2,5% per 4 h. Sono stati eseguiti prelievi ematici ed emogasanalisi (EGA) prima e dopo lo scambio, e un prelievo del dialisato a fine scambio. Inoltre a ciascun pz è stato richiesto di raccogliere un’anamnesi dietetica dettagliata di 3 giorni.
Risultati. Non sono state evidenziate modifiche significative del peso, dei parametri EGA e della sodiemia per entrambi gli scambi. Dalla letteratura la rimozione media di Na in CAPD full dose è di 125 mmol/l UF, con una discreta variabilità (115-131 mmol/l UF): il più delle volte non viene descritto né il tipo di agente osmotico utilizzato né la presenza della diuresi. Dai nostri dati si evince una rimozione media di Na lievemente inferiore, probabilmente perchè la nostra popolazione era composta da trasportatori medio-bassi, con un volume urinario maggiore. Negli stessi pz, in condizioni basali di terapia dialitica (ICO x 9h), si otteneva una UF media di 346 ml, con una rimozione di Na di 131 mmol/l UF. Confrontando questi valori con quelli ottenuti con scambio con glucosio, sia l’UF che la rimozione di Na sono risultati maggiori.
Conclusioni: Secondo la nostra esperienza non vi è superiorità del solo utilizzo di queste nuove soluzioni rispetto alle standard in CAPD; tuttavia possono essere da supporto ad una terapia con icodestrina, che si dimostra essere più efficiente in termini di ultrafiltrazione e di rimozione di Na.
ASPETTI NUTRIZIONALI IN DIALISI PERITONEALE AUTOMATIZZATA vs MANUALE: ESPERIENZA MONOCENTRICA Adeguatezza-FRR-Nutrizione Bertoni D (1), Terlizzi V (1), Vizzardi V (2), Sandrini M (2), Movilli E (2), Scolari F (1,2). (1) Università degli studi di Brescia, (2) ASST Spedali Civili di Brescia OBIETTIVI. La malnutrizione, meglio definita come Protein Energy Wasting (PEW), è frequente nei pazienti (pz) dializzati (di grado severo nel 4-8%, di grado moderato nel 33-55%)⁽¹⁾. Nei pz in dialisi peritoneale (DP) la PEW può essere motivo di shift all’emodialisi. Inoltre, questi pz sembrano essere a più elevato rischio di sindrome metabolica e sarcopenia⁽²,  ³⁾. Pur essendo stati fatti molti progressi nel riconoscere, monitorare e contrastare questo problema, in letteratura sono scarsi i dati di confronto dei parametri nutrizionali tra la DP automatizzata e quella manuale. Scopo dello studio è stato valutare se la diversa esposizione al liquido dialitico nelle due metodiche, in termini di quantità e durata giornaliera, possa aver influito sul metabolismo glucidico e proteico e, conseguentemente, sull’assetto nutrizionale generale dei pz.

METODI. E’ stata svolta un’analisi retrospettiva di diversi parametri nutrizionali al tempo zero (T0) e a distanza di 12 mesi (T1). La coorte comprendeva tutti i pz attualmente seguiti presso la nostra UO in trattamento automatizzato o manuale che avessero almeno 1 anno di follow-up, includendo sia pz in trattamento incrementale che full-dose.

RISULTATI. Su un totale di 65 pz in trattamento dialitico peritoneale al 31/12/2019, 37 avevano un follow-up ≥ 1 anno e sono stati studiati. Età media 63±19 anni, 51% maschi, durata mediana in DP 34 mesi (IQR 18-50). La DP era gestita dal pz stesso nel 51% dei casi e da un caregiver nel 49%. Durante il follow-up si è osservato un progressivo passaggio da DP manuale ad automatizzata (Tab 1) e una netta riduzione del volume della diuresi residua (Tab 2). Non sono emerse differenze statisticamente significative tra le due metodiche nei vari parametri nutrizionali considerati, ad eccezione di una debole significatività nei livelli di bicarbonato sierico e proteina C reattiva di scarsa rilevanza clinica (Tab 3).

CONCLUSIONI. Pur in presenza di possibili bias di selezione, i nostri dati mostrano che non vi sono differenze significative in alcuni criteri diagnostici di  PEW (albuminemia, BMI, colesterolemia e nPNA) che si attestano su valori accettabili in entrambe le metodiche. Inoltre, i parametri nutrizionali non variano in modo significativo nel tempo in entrambi i gruppi. Il passaggio da DP manuale (per lo più incrementale) ad automatizzata (full dose) è verosimilmente dovuto alla progressiva riduzione della diuresi residua. Ulteriori studi sono necessari per confermare e validare questi risultati. width=  width=  width=

 

 

Un caso di infezione dell’emergenza cutanea e del tunnel del catetere peritoneale (EC/IT) trattato con medicazioni adsorbenti a captazione batterica (EXIT GREEN) Casi Clinici Bonvegna Francesca, Borzumati Maurizio ASL VCO- Verbania Le infezioni dell’EC/IT rappresentano una temibile complicanza infettiva in dialisi peritoneale (DP) e sono fattori di rischio per lo sviluppo di peritoniti, per la perdita dell’accesso peritoneale e per il drop-out dalla metodica dialitica.

L’incidenza delle infezioni dell’EC/IT non è stata particolarmente influenzata, come per le peritoniti, dai miglioramenti tecnici e qualitativi dei dispositivi per DP.

La prevenzione, la diagnostica precoce e l’approccio terapeutico tempestivo sono fondamentali per la sopravvivenza del catetere peritoneale (CP) in sede, ed il mantenimento della metodica.

 

CASO CLINICO

Paziente sovrappeso diabetico di 61 anni, storia anamnestica di infezioni da Stafilococco aureus;  in dialisi peritoneale da 28 mesi.

Ad 11 mesi dall’avvio del trattamento prima infezione dell’EC/IT trattata con antibiotico-terapia sistemica mirata per SAMS abbinata all’utilizzo di medicazioni adsorbenti a captazione batterica (exit green).

Sottoposto ad attento follow-up clinico ed ecografico si osservava risoluzione dell’infezione nell’arco di circa 15 giorni con conseguente sospensione della terapia antibiotica e delle medicazioni con exit green.

A 3 mesi dal primo episodio recidiva dell’infezione, medesimo germe (SAMS), che ha richiesto duplice ciclo di terapia antibiotica ravvicinato; in tale occasione riprese medicazioni con exit green, non più sospese.

Attualmente, da 14 mesi, il paziente prosegue solo con medicazioni con exit green e non mostra più alcun segno clinico/strumentale di infezione.

 

CONCLUSIONI

L’utilizzo di medicazioni adsorbenti a captazione batterica ci ha permesso di risolvere una infezione persistente EC/IT. Tale presidio potrebbe rivelarsi, in casi mirati, un ausilio importante accanto all’antibioticoterapia, per la risoluzione di quadri di flogosi persistente dell’EC/IT, riducendo la necessità di ricorrere a procedure più invasive (cuffshaving o rimozione del catetere).

DIALISI PERITONEALE: METODICA DIALITICA CENTRO DIPENDENTE ED OPERATORE   DIPENDENTE Epidemiologia-Valutazione clinica L. LISI, C. BINAGHI, F. CHIRICO, N. RONCHI, D. VACCA, L. BAI, M.RADICE, S.PEREGO, G. BATTINI, C. LAGONA, L. MERLINO, S. MILANI, M. RIGHETTI, P. SERBELLONI, E. SIRONI, G. BERETTA, G. FERRARIO U.O.C. di NEFROLOGIA, P.O. di VIMERCATE, VIMERCATE (MB) INTRODUZIONE. La DP è la metodica dialitica che utilizza il peritoneo come membrana permeabile, naturale, attraverso la quale l’acqua ed i soluti possono equilibrarsi. Si differenzia dalla ED che utilizza invece membrane permeabili artificiali . La DP rispetto alla ED è meno praticata e da sempre ha avuto una prevalenza relativamente bassa. Non tutti i Centri Nefrologici la attuano e comunque la diffusione di questa metodica stenta a progredire. In relazione al censimento del 2016 del gruppo di studio della DP, la prevalenza della DP rispetto alla ED in Italia è del 17.8%, in aumento rispetto agli anni precedenti, ma comunque sempre bassa. Alla base di questo scarso sviluppo della DP vi è da una parte una diffidenza sulla reale efficacia di tale metodica dialitica e dall’altra una scarsa conoscenza della tecnica stessa, senza considerare il ridotto rimborso regionale a fronte di un maggiore impegno clinico-gestionale. A conferma di ciò vi è la dimostrazione che si ha un maggiore incremento di questa metodica dialitica in quei Centri Nefrologici in cui i medici da sempre la utilizzano e la praticano perché consci di garantire una migliore qualità di vita ai pazienti.

DISCUSSIONE. Il nostro Centro ha sempre promosso tale metodica dialitica ma con notevoli oscillazioni nel corso degli anni. Ciò dimostra che la DP non è solo Centro dipendente ma anche operatore dipendente. Dal 2010 al 2020 abbiamo registrato un notevole incremento della DP passando da 7 pz con prevalenza pari al 6.2% agli attuali 33 pz con prevalenza del 15% sul totale dei dializzati. Abbiamo registrato negli ultimi anni  anche un  incremento della incidenza , nel 2019 con nuovi  9 pazienti,l’incidenza è stata pari al 17.6% dei dializzati. Un fattore fondamentale per il rilancio della DP nel nostro Centro è stato l’istituzione, ormai dal 2012, di un ambulatorio MaReA ben strutturato che propone a tutti i pz con IRC di grado avanzato un percorso informativo e di supporto da parte di un team medico -infermieristico. Il pz viene innanzitutto accolto nella sua complessità e fragilità fisico-emotiva, riceve tutte le informazioni riguardo allo stato della sua patologia e alle possibilità terapeutiche e quindi è in grado di scegliere la metodica dialitica più consona al suo stile di vita o che impatta meno sulle sue abitudini. I pazienti che ricevono in maniera esaustiva ed imparziale le informazioni sulle metodiche dialitiche, se ovviamente non ci sono controindicazioni cliniche, scelgono nella maggior parte dei casi la DP, mentre una minoranza di essi opta per la ED principalmente perché non dispone di un care-giver o teme di non essere in grado di svolgerla in autonomia. Il percorso informativo imparziale è fondamentale per offrire una possibilità di scelta, ma può non essere sufficiente per favorire la crescita della DP. Pensiamo che sia fondamentale la presenza di personale dedicato, motivato ed animato da tanta passione e pazienza.

CASE OF SALMONELLA PERITONITIS IN PERITONEAL DIALYSIS PATIENT Casi Clinici G. Paribello (1), M. Rizzo(1), O. Di Gruttola(1), I. G. Paduano(1), S. Migliaccio(1), G. Argentino(2), G. Sannino(1), M. Sodo(1), D. Russo(1) (1) AOU Federico II Napoli, (2) ASL NA1centro: Ospedale Del Mare CASE REPORT

 

A 67-year-old man who had been undergoing peritoneal dialysis for 4 years and half presented with complaints of 3-days abdominal pain and diarrhea.
His medical history was relevant for SLE, hypertension, steroid diabetes, CAD, diverticulosis and past Escherichia coli peritonitis. He was being treated with systemic corticosteroids for bullous pemphigoid.
The patient had no fever, his abdomen was mildly tender to palpation, and Tenckhoff catheter exit-site was clean. Peritoneal effluent was not cloudy; peritoneal effluent testing by dipstick was negative for leucocytes.
Pending peritoneal fluid culture results, the patient was treated for diarrhea on an outpatient basis; later, culture came out negative.
After two days, due to increased severity of abdominal pain with abdominal bloating and positive dipstick testing for leucocytes, intraperitoneal empiric antibiotic treatment with Ceftazidime and Teicoplanin was performed and culture was replicated; antibiotic treatment was later switched to Ceftazidime and Piperacillin/Tazobactam owing to poor clinical response.
Further peritoneal fluid culture yielded Salmonella Group B, Escherichia coli, Entrerococcus raffinous, and Streptococcus uberis. When we further explored his history, he mentioned raw eggs ingestion, and serodiagnosis of infection with Salmonella typhi, using the Widal agglutination assay, was positive at a titer of 1/320.
The patient was admitted to our nephrology yard and antibiotic treatment with Meropenem and Ciprofloxacin was started (later switched to Vancomycin and Ceftazidime owing to susceptibility test). He was transferred to hemodialysis, and surgery was performed in order to drain purulent peritoneal fluid and remove Tenckhoff catheter.

Complications (i.e. non-operable diverticular perforation and PICC infection) prolonged hospital stay, and he was treated with several antibiotic associations (Vancomycin+Merrem, Tygecyclin+Ceftazidime, Gentamicin, Daptomycin).

At discharge, Widal test was negative.

Actually, after 5 months, the patient has a good health compatible with his chronic kidney disease.

 

DISCUSSION

Among peritoneal dialysis patients, Salmonella peritonitis is extremely rare, nearly 0,15% of all the causes. After reviewing the literature, we found 4 other reported cases of Salmonella peritonitis, only one in APD. Commonly, they all had a water diarrhea, high fever, some degree of immunosuppression and presented recurrence of the infection after the initial treatment, because of the difficulty in eliminating the pathogen from the host.

We conclude that the initial treatment should include at least a quinolone or a third generation cephalosporine, and it should last more than four weeks. Then, it should follow peritoneal effluent cultures as fitted. There is no consensus regarding Tenckoff catheter exchange in cases of Salmonella peritonitis in PD. However, we believe that this procedure is to be executed in this particular circumstance.

Subcutaneous leak in Peritoneal Dialysis: a Case Report and Review of the Literature Casi Clinici O. Di Gruttola (1), G. Paribello(1), I.G. Paduano(1), M. Rizzo(1), S. Migliaccio(1), G. Argentino(2), M. Sodo(1), L. Radice(1), G. Sannino(1), D. Russo(1) (1) AOU Federico II Napoli, (2) ASL NA1centro: Ospedale Del Mare Abstract

Dialysate leakage represents a major noninfectious complication of peritoneal dialysis (PD), with an overall incidence of 5%.
Here, we report a case of subcutaneous leak in APD patient, and discuss the relevant literature on the issue.

CASE REPORT

A 43-year-old woman complained of abdominal bloating, weight gain and worse hypertension control at home BP record.
Her medical history was relevant for CKD due to ADPKD, previously treated for 2 years with hemodialysis and currently undergoing APD since 15 months; right nephrectomy due to massive polycystic kidney; hypertension for 20 years. She presented relevant clinical finding of recurrent polimicrobic exit-site (ES) infection successfully treated with antibiotics.
On physical examination, subcutaneous swelling was palpable in lower abdomen;genital edema was appreciable; the Tenckhoff catheter exit-site was red, with small discharge amount; other aspects of the physical examination were unremarkable. There was a marked ultrafiltration reduction assessed by examining the dialysis card. Bioelectric impedance analysis showed normohydration.
Abdominal CT showed oedema of anterolateral abdominal walls, predominantly on the right side, and raised suspicious for peritoneal leakage.
In order to allow spontaneous peritoneum healing, the patient was transferred to HD; during HD sessions, she was treated with iv antibiotics for persistent ES infection.
A CT peritoneography was then performed, and demonstrated labelled dialysate accumulation in corresponding subcutaneous tissues, confirming significant leakage (fig. 1).
CT peritoneography was repeated 2 months later, and images showed no evidence of peritoneal leakage (fig. 2). Peritoneal dialysis could then be successfully resumed.

DISCUSSION

Dialysate leakage represents a major noninfectious complication of PD.
Its incidence is somewhat more than 5% in continuous ambulatory peritoneal dialysis (CAPD) patients, and probably underestimated.
Dialysate leakage can be early (≤30 days) or late (˃30 days, but mostly within the first year of PD).
Early leakage is due to poor surgical repair and often manifests as a pericatheter leak; its risk factors include median catheter insertion and immediate CAPD initiation.
Late leakage presents more subtly with progressive overhydration, subcutaneous swelling especially in lower abdomen, weight gain, peripheral or genital edema, and apparent ultrafiltration failure. Risk factors contributing to abdominal weakness predispose to late leaks, and one or more of them can generally be identified in the majority of patients.
CT peritoneography, carried out after administrating dialysis fluid containing radiocontrast material into the peritoneal cavity, is the gold standard for dialysate leakage. CT peritoneography is better than conventional CT in demonstrating loculated fluid collections, and indicates adhesions by means of uneven distribution of the contrast material-diaysate mixture.
Treatments for dialysate leaks include surgical repair mostly in case of genital swelling, 1-2 weeks rest from CAPD (with temporary transfer to HD), lower dialysate volumes, and PD to APD.

EFFECTIVENESS OF CINACALCET IN PERITONEAL DIALYSIS PATIENTS WITH SECONDARY HYPERPARATIROIDISM. INFLUENCE OF DIALYTIC METHOD. CKD MBD-Anemia O. Di Gruttola(1), G. Paribello(1), I. G. Paduano(1), S. Migliaccio(1), G. Argentino(2), G. Sannino(1), D. Russo(1) (1) AOU Federico II Napoli, (2) ASL NA1centro: Ospedale Del Mare RATIONAL

CKD-MBD represents an important component of Chronic Kidney Disease. The use of calcium-mimetics has improved the control of secondary hyperparathyroidism (SHPT). Cinacalcet (C) still remains the only calcium-mimetic agent that has indications for patients on peritoneal dialysis(PD). The issue of this study was to evaluate the efficacy of C in patients on PD treatment and highlight any influences of dialysis methods (CAPD/APD) on the effectiveness of C by measuring the blood chemistry markers of SHPT.

METHODS

We performed an evaluation of the data relating to 23 patients on PD (characteristics in Tab.1) with SHPT and on C therapy for at least one year. The characteristics blood chemistry parameters were analyzed, before starting C therapy (T0), 3 months (T3), 6 months (T6) and one year (T12) from the start of therapy (Tab.2).

RESULTS

The average PTH value in the entire cohort of patients at T0 was: 692.7 ± 181.3 pg/ml. The PTH value presented a gradual reduction after the introduction of C until reaching a significantly lower concentration at T12 (493.8 ± 299.7 pg/ml; p <0.01) (Graph.1). There were no significant changes in serum Ca values ​​(8.8 ± 0.6 mg/dl at T0 vs 8.4 ± 0.6 mg/dl at T12) (Graph.2) and P (5.2 ± 0.8 mg/dl at T0 vs 5 ± 0.8 mg/dl at T12) (Graph.3). Hb remained similar to T0 and T12 (11.8 ± 1.3 mg/dl vs 11.7 ± 1.3 mg/dl) (Graph.4); the rate of patients requiring EPO decreased from 83% to 74% and the weekly dose of darbepoietin alfa was lower (35.9 ± 25.8 mcg vs 23.7 ± 23.5 mcg) (Graph.5). Evaluating the blood chemistry parameters based on dialysis methods, to the third month PTH decreased to a greater extent (p <0.05) in CAPD patients (358.5 ± 173.1 pg/ml at T3 vs 712.9 ± 216.7 pg/ml at T0) compared to those in APD (733.6 ± 251.5 pg/ml vs 743 ± 142.1 pg/ml at T0) with similar daily doses of C (48.7 ± 30.7 mg/dl for the CAPD vs 46.3 ± 20.6 mg/dl for the APD); to the sixth months the set-up was similar (PTH 359.5 ± 183.8 pg/ml in CAPD, 715.1 ± 248.4 pg/ml in APD) despite a higher dose of C in APD patients (65.4 ± 26.2 mg/dl vs 40 ± 19.5 mg/dl for CAPD patients, p <0.05). In the twelfth month the PTH values ​​were stackable in both groups (526.8 ± 338.3 pg/ml in CAPD vs 457.81 ± 262.8 pg/ml in APD) but the patients in APD needed a significantly higher daily dose of C (42.5 ± 15.4 mg/dl for the CAPD vs 73.6 ± 24.6 mg/dl for the APD, p <0.01).

CONCLUSIONS

In PD patients, C was confirmed effective in reducing serum PTH values, also ensuring better control of Hb with lower doses of EPO. Patients undergoing APD needed more prolonged treatment and higher doses of C to maintain PTH in the therapeutic ranges. It could be hypothesized that a part of the drug is dialysed considering the greater clearances of the APD compared to the CAPD. Another hypothesis considers that C is 97% bound to plasma proteins and, therefore, it can be lost with proteins known to be lost in APD, due to the large volumes exchanged by the cycler during the night.  width=

IL VALORE PROGNOSTICO DEL CHARLSON COMORBIDITIES INDEX IN PAZIENTI IN DIALISI PERITONEALE Epidemiologia-Valutazione clinica Vincenzo Antonioi Panuccio (1), Rocco Tripepi (2), Giovanni Luigi Tripepi (2), Giovanna Parlongo (1) and Francesca Mallamaci (1) (1) U.O.C. Nefrologia, Dialisi e Trapianto di rene Grande Ospedale Metropolitano Bianchi-Melacrino-Morelli, Reggio Calabria (2) Istituto di Fisiologia Clinica del Consiglio Nazionale delle Ricerche, Reggio Calabria Obiettivo

Nella popolazione in dialisi il rischio di mortalità è elevato e il Charlson Comorbidities Index (CCI) è considerato un utile strumento per stratificare il rischio in questi pazienti. L’obiettivo di questo studio è di valutare l’accuratezza del CCI nel predire la mortalità nei pazienti in dialisi peritoneale (DP) e di paragonare il potere prognostico del CCI rispetto a modelli predittivi che includevano anche score clinici di malnutrizione e lo scompenso cardiaco (NYHA score).

Metodi

Abbiamo analizzato 66 pazienti consecutivi in DP in follow-up presso la nostra Unità Operativa. L’età media era 69±14 anni, 64% erano maschi e 36% erano diabetici. L’età dialitica mediana era 39 mesi (range interquartile 23-67 mesi).

Risultati

Durante il periodo di follow-up 37 pazienti sono deceduti. Alla regressione univariata di COX, CCI non prediceva la mortalità [Hazard ratio (HR): 1.08, 95% CI: 0.94-1.24, P=0.30)  e questa associazione non migliorava (HR: 0.93, 95% CI: 0.79-1.08, P=0.32) dopo aggiustamento per la malnutrizione e lo scompenso cardiaco. Nello stesso modello, la malnutrizione (HR: 1.98, 95% CI 1.20-3.27, P=0.007) and la classe NYHA  (HR: 3.15, 95% CI 1.67-5.94, P<0.001) erano fortemente  e significativamente associate al rischio di mortalità. Inoltre, il potere prognostico del modello basato sulla malnutrizione e sulla classe NYHA (ROC curve area: 74%) era elevato se confrontato con quello basato sul solo CCI (ROC curve area: 54%) e non differiva significativamente considerando un modello espanso che comprendeva CCI, la malnutrizione e il NYHA score (ROC curve area: 78%).

Discussione

In questo studio, CCI non si associava alla sopravvivenza dei pazienti in DP mentre la malnutrizione e lo scompenso cardiaco (NYHA score), mostravano una maggiore accuratezza prognostica verso la mortalità. Questi risultati generano l’ipotesi, che dovrà essere confermata in una più ampia popolazione di pazienti in DP, che il solo CCI score non è un valido strumento per stratificare il rischio nei pazienti in DP.

LA CONSAPEVOLEZZA DELLA RESTRIZIONE DIETETICA NEI PAZIENTI IN DIALISI Miscellanea Vincenzo Antonio Panuccio (1), Rocco Tripepi (2), Maria Rosaria Fazio (1), Giovanna Parlongo (1), Dario Pazzano (1), Giovanni Luigi Tripepi (1), Agata Mollica (3), Roberta Talarico (3), Paola Cianfrone (4), Teresa Mauro (5), Rosalia Boito (6), Antonio Pansino (7), Domenico Tramontana (8), Ivania Figliano (8) (1) U.O.C. Nefrologia, Dialisi e Trapianto di rene Grande Ospedale Metropolitano Bianchi-Melacrino-Morelli, Reggio Calabria (2) Istituto di Fisiologia Clinica del Consiglio Nazionale delle Ricerche, Reggio Calabria (3) Azienda Ospedaliera Cosenza, Ospedale dell’Annunziata, Centro Nefrologia, Dialisi e Trapianto (4) Azienda Ospedaliero-Universitaria Mater Domini, Policlinico universitario Magna Grecia, Centro Nefrologia e Dialisi   (5) ASP Cosenza, Ospedale di Rossano ” N. Giannattasio “, Centro Nefrologia e Dialisi (6) ASP Crotone, Ospedale San Giovanni di Dio, Centro Nefrologia e Dialisi (7) Azienda Ospedaliera Pugliese-Ciaccio Catanzaro, Centro Nefrologia e Dialisi   (8) ASP Vibo Valentia, Ospedale “G. Jazzolino”, Centro Dialisi Obiettivo

È noto che la consapevolezza ha un ruolo di fondamentale importanza nell’aderenza ad una specifica prescrizione terapeutica e potenzialmente può impattare positivamente sugli outcomes clinici.

Metodi

In 314 pazienti in dialisi [92 in dialisi peritoneale (PD)e e222 in emodialisi (HD) età media 63±16 anni e 67±13 anni, rispettivamente] abbiamo valutato la consapevolezza di vari aspetti inerenti il trattamento dialitico e le prescrizioni dietetiche come l’adeguatezza dialitica, l’introito di acqua, sale, fosforo e potassio tramite un semplice questionario che includeva 9 domande. L’Età dialitica mediana era di 23 mesi in PD e 55 mesi in HD.

Risultati

La proporzione di pazienti non consapevoli, in PD e in HD per le 9 domande del questionario, erano: 36% e 17% (P<0.001) per l’adeguatezza dialitica, 29% e 19% (P=0.05) per eventuali limiti nell’assunzione giornaliera di acqua,  29% e 6% (P<0.001) per la quantità di acqua giornaliera, 4% e 3% (P=0.60) per gli effetti dell’elevato introito di sodio, 16% e 12% (P=0.33) per la quantità di sodio giornaliero, 26% e 11% (P=0.002) per gli effetti dell’elevato introito di fosforo, 11% e 15% (P=0.30) per i cibi contenenti elevate quantità di fosforo, 13% e 27% (P=0.01) per gli effetti dell’elevato introito di potassio, e 20% e 27% (P=0.19) per i cibi ad elevato contenuto di potassio. Gli Odds della non consapevolezza dei pazienti in HD erano significativamente più bassi rispetto ai pazienti in dialisi peritoneale in merito all’adeguatezza dialitica, intake di acqua e fosforo e significativamente più alti per l’intake di potassio. I risultati non cambiavano dopo aggiustamento per età, sesso ed età dialitica (Figura).

Conclusioni

I risultati di questo studio indicano che re-training focalizzati a migliorare la consapevolezza dei pazienti in dialisi sono necessari. Nei pazienti in HD la consapevolezza dell’adeguatezza dialitica, dell’introito di acqua e di fosforo sono significativamente più elevati rispetto ai pazienti in DP. I pazienti in DP hanno invece una migliore consapevolezza in merito all’intake giornaliero di potassio. Studi di cohorte mirati a valutare se la consapevolezza di per se può essere un fattore di rischio indipendente nella popolazione dialitica potrà chiarire le implicazioni cliniche di questi risultati.

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EXIT-SITE INFECTIONS AND PERITONITES IN PERITONEAL DIALYSIS: EXPERIENCE OF OUR CENTER (2017-2019) Peritonite-EPS I. G. Paduano(1), G. Paribello(1), O. Di Gruttola(1), S. Migliaccio(1), G. Argentino(2), G. Sannino(1), D. Russo(1) (1) AOU Federico II Napoli, (2) ASL NA1centro: Ospedale Del Mare BACKGROUND

Exit site infection (ES) and peritonitis (P) remain the most important infectious complications of peritoneal dialysis (PD), still representing the main causes of patient transfer to hemodialysis (HD) treatment. The aim of the work is to evaluate the incidence of ES, P and swich to HD during the past 3 years and to determine the main responsible pathogens.

PATIENTS AND METHODS

For ES infections and P the data were collected from 1 Jan 17 to 30 Nov 19 in a cohort of patients (characteristics in tab1). Clinical signs (redness, pain, exudate) and laboratory data (ES buffer, culture test and antibiogram (ABG)) have been used as criteria to diagnose ES infection. For P the criteria were clinical (characteristics of the peritoneal fluid, symptoms and signs) and laboratory (chemical-physical and cultural examination with ABG). width=

RESULTS

During the observation period, a total of 62 episodes of ES infection were recorded in 102 patients (15 relapses) equal to an incidence of 0.3 infections/patient-year (1 infection every 51.8 patient-month). Of these, 30 (48%) ES infections occurred in APD patients, 32 (52%) in CAPD patients. The main pathogens of ES infections are shown in fig.1.; 69% were caused by Gram+,of which 90% Staphylococci;31% from Gram-;no fungus infections. The resolution of the infection was obtained in 100% of cases; in 2/62 (3%) spontaneous extrusion of the subcutaneous cuff occurred due to infection-induced fibrinolysis (S. Aureus);in no case was it necessary to resort to surgical externalization of the cuff;no patients have been transferred to HD. As for peritonitis,48 ​​P were diagnosed in 102 patients (11 relapses) with an incidence of 0.30 peritonitis/patient-year (1 peritonitis every 57.6 patient-months). Of these 25 (52%) infections occurred in APD patients, 23 (48%) in CAPD patients. 58% of peritonitis were secondary to Gram- (21% P. Aeruginosa); 42% from Gram +; no fungus(fig2). The resolution was obtained in 85% of cases, in 7/48 (15%) the definitive transition to hemodialysis was necessary for recurrence or no response to targeted antibiotic therapy.

CONCLUSIONS

Most ES infections were caused by Gram+ germs, in particular staphylococci, while most infectious peritonitis were caused by Gram- pathogens. The early diagnosis of these infections and the timely treatment (empirical treatment initially and subsequently targeted, on the basis of ABG, treatment) allowed the resolution of almost all infections. The only cases of drop-out from PD are secondary to peritonitis caused by P. Aeruginosa or S.aureus, pathogens with greater virulence, according to the data present in the literature. No clinically relevant differences were found in the incidence of ES and P infections between the two methods (CAPD-APD).

PHYSICAL FITNESS TESTS ARE ASSOCIATED WITH IMPEDANCE RATIO AND PHASE ANGLE (FROM BIOELECTRICAL IMPEDANCE ANALYSIS) IN PERITONEAL DIALYSIS (DP). Adeguatezza-FRR-Nutrizione S. Migliaccio(1), I. G. Paduano(1), O. Di Gruttola(1), G. Paribello(1), A. Di Gregorio(1), G. Argentino(2), G. Sannino(1), L Scalfi(1), D Russo(1) (1) AOU Federico II Napoli, (2) ASL NA1centro: Ospedale Del Mare Introduction

Body composition and physical fitness (PF) are essential components of nutritional status closely related to each other. In clinical practice they may be assessed using  bioelectrical impedance analysis (BIA) and various PF tests, respectively.

The main objective of the study was to evaluate in patients in peritoneal dialysis (PD), the relationships of PF tests with those BIA variable that can be considered as markers of muscle quality.

Materials and methods

Patients in DP were studied in clinically stable conditions, 20-70 years: 43 men (age 60.6 ± 15.5 years; BMI (27.8 ± 4.1 kg/m²) and 31 women (age 51. 8 ± 13.1 years, BMI 28.5 ± 5.8 kg / m²).

The following PF tests were carried out: GS = gait speed, STS test = sit to stand and TUG = timed up and go.  BIA (HUMAN IM-TOUCH, DS Medica-Milan) was performed in standardized conditions. Multifrequency ratio (ratio between impedance (Z) at 250 kHz and Z at 5 kHz), and phase angle (PhA, measured at 50 kHz) were considered as markers of body cell mass and expansion of extracellular water.

Results

PF tests did not differ significantly between gender as well as IR and PhA. After adjusting for gender, GS and TUG were weakly correlated with BMI (but not with weight and stature) and much more closely with IR and PhA. STS was not associated with BMI and was only weakly related to IR and PhA. Multiple linear regression model indicated that BMI + IR or BMI + PhA were together predictors of STS and TUG, whereas IR (or PhA) was the only significant predictor of STS.

Conclusions

The preliminary results of the present study show that in PD patients IR and PhA are predictors of some of the most widely used PF tests.

METABOLIC SYNDROME IN PATIENTS UNDERGOING PERITONEAL DIALYSIS (PD): A SINGLE CENTER EXPERIENCE Adeguatezza-FRR-Nutrizione O. Di Gruttola(1), G. Paribello(1), I. G. Paduano(1), S. Migliaccio(1), G. Argentino(2), G. Sannino(1), D. Russo(1) (1) AOU Federico II Napoli, (2) ASL NA1centro: Ospedale Del Mare Rational

Metabolic syndrome (MS) is a set of alterations represents a cluster of risk factors that increase the probability of causing cardiovascular (CV) events by three times. The aim of our study was to analyze the prevalence of MS in patients with Chronic Renal Failure undergoing replacement treatment by peritoneal dialysis afferent to our center.

Methods

We retrospectively studied 117 patients in PD (2015-2019 census period). The characteristics are reassumed in tab1. We assessed the prevalence and impact of MS considering hard outcome: death for IMA and cerebral death. Patients with at least 3 of the following diagnostic criteria (CD) were considered affected by MS: waist circumference> 102 cm in men or > 88 cm in women, high blood pressure (PA> 130/85 mmHg or under pharmacological treatment), HDL levels <40 mg/dl in men or <50 mg/dl in women, triglycerides> 150 mg/dl and fasting glucose> 100 mg/dl or under pharmacological treatment.

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The prevalence of MS in our cohort is 46% (54 patients), the patients who have 2 CD are 29% (34 patients), those with only 1 CD 25% (29 patients), no patient had 0 CD. Arterial hypertension represents the most represented risk factor (RF) (91.1%) in agreement with the literature and with the Framingham Offspring Study (non-dialysis patients). The others RF are distributed in this way: reduced HDL (55.8%), hypertriglyceridemia (40.2%), high waist circumference (38.2%), fasting hyperglycaemia (24.5%) (graph 1). Among the 54 patients with MS, 12 CV events occurred during the observation period, while among the 34 patients with two CD, 8 CV events occurred. Among the 29 patients with only 1 CD there was 1 death attributable to CV causes (graph 2). From these data it is clear that MS is a risk factor for CV events according to the literature. It is interesting to observe that comparing the group of patients with 2 CD and with 1 CD, it shows that the presence of 2 CD is a sufficient risk factor to increase the probability of CV events (OR = 8.6 & p <0.05 ).

Conclusions

The prevalence of MS in patients receiving peritoneal dialysis is elevated with a negative impact on the risk of CV events. At the same time, our data shows the importance of assessing each individual risk factor regardless of the presence of full-blown MS. In particular, we observed that the presence of 2 CD is sufficient to predispose CV events. This shows that timely treatment of RF, even in the absence of full-blown MS, could favor the reduction of the risk of CV events in patients in DP.

NUTRITIONAL STATE OF PATIENT IN PERITONEAL DIALYSIS: TWO METHODS COMPARED Adeguatezza-FRR-Nutrizione G.Paribello(1), O. Di Gruttola(1), I. G. Paduano(1), S. Migliaccio(1), G. Argentino(2), G. Sannino(1), D. Russo(1) (1) AOU Federico II Napoli, (2) ASL NA1centro: Ospedale Del Mare BACKGROUND

Nutritional status and survival are closely related: a state of undernutrition favors the onset of fatal and non-fatal events. This association becomes even more important in the dialysis patient in which a vicious circle is generated in which undernutrition worsens the basic condition. The issue of our study is to evaluate the nutritional status of patients on peritoneal dialysis (PD) comparing the two methods (CAPD-APD).

PATIENTS AND METHODS

We evaluated 36 PD patients (characteristics in Tab1). In these patients, dialysis adequacy was assessed by Kt/v and nutritional status through biochemical parameters and the following scores (Tab.2): PCR (Protein catabolic rate), PEW (Protein energy waste), GNRI (Geriatric nutritional risk index), CONUT (Controlling nutritional status score).

RESULTS

The data collected shows that 29 patients have a dialysis adequacy compliant with that proposed by the international guidelines (Kt/v ≥ 1.7), of the 7 patients who do not achieve this adequacy 4 are in CAPD and 3 in APD. From a nutritional point of view we consider the ideal PCR of about 1.2 g/kg weight, but this value is difficult to reach by many patients; therefore, a value of at least 0.8 g/Kg/day is considered acceptable. This target is reached by 26 patients; of the 10 patients who do not reach it, 3 are in CAPD and 7 in APD. Analyzing the two methods separately, we can observe that in the CAPD patients the PCR is significantly higher (p <0.002). As regards GNRI, a score <92 is considered as an indicator of an unfavorable prognosis; in this case we can observe that only 3 patients have a score <92, all in APD without however a significant difference between the two methods (p <0.36). Taking into account the reference values ​​for PEW (Tab2) we can highlight the difference between the two methods in the number of patients with a moderate/severe undernutrition status: 13 in APD vs 6 in CAPD. The same can be said for CONUT where an important state of undernutrition is observed in 4 patients in APD vs 1 single patient in CAPD.

CONCLUSIONS

The study shows how the combined use of multiple parameters is fundamental in managing of patients nutritional status in peritoneal dialysis. The overall analysis of the scores used has shown a greater risk of malnutrition in APD patients in which is necessary to monitor carefully nutritional status, eating habits and lifestyle.

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GESTIONE DELLE COMPLICANZE EMORRAGICHE IN CORSO DI TERAPIA ANTICOAGULANTE NELLA SINDROME DA ANTICORPI ANTIFOSFOLIPIDI: UNA DIFFICILE SFIDA Casi Clinici Maxia Stefania, Nalbone Marco, Cabiddu Gianfranca, Pani Antonello S. C. Nefrologia e Dialisi, A. O. Brotzu, Cagliari La Sindrome da Anticorpi Antifosfolipidi è caratterizzata da trombosi venose e/o arteriose e patologie ostetriche (in particolare poliabortività), in presenza di anticorpi antifosfolipidi. Alcune forme sono associate a Lupus Eritematoso Sistemico.
Descriviamo il caso di un paziente di 25 anni, affetto da malattia renale cronica terminale da nefrite lupica, con associata Sindrome da Anticorpi Antifosfolipidi e mutazione del fattore V di Leiden. Il paziente dall’età di 6 anni praticava terapia anticoagulante per ripetuti episodi di trombosi venosa profonda. Da maggio 2015 ha iniziato l’emodialisi e successivamente, per l’impossibilità di confezionamento di un adeguato accesso vascolare, da gennaio 2016 ha proseguito il trattamento sostitutivo della funzione renale con la dialisi peritoneale.
A dicembre 2018, ha presentato un quadro di grave anemizzazione acuta, con riscontro di una importante emorragia a carico del rene destro e del muscolo ileo psoas omolaterale, secondarie a sanguinamento di un ramo dell’arteria renale e di un ramo dell’arteria lombare. È stato trattato inizialmente con posizionamento di spirali metalliche in angiografica nelle sedi di sanguinamento.
La difficoltà nella gestione di questo caso è stata quella di dover mantenere un certo grado di anticoagulazione, che a causa della patologia di base non poteva essere totalmente sospesa per l’elevato rischio di trombosi, nonostante fosse in atto una severa emorragia.
Il decorso clinico è stato ulteriormente complicato da una sovrapposizione ascessuale dell’ematoma renale e da emorragia dei surreni bilateralmente.
La sindrome da Anticorpi Antifosfolipidi in corso di Lupus Eritematoso Sistemico è una patologia di difficile gestione, dove concomitano elementi che determinano sia una maggiore suscettibilità alle trombosi, ma anche agli eventi emorragici. Bilanciare questi aspetti pone il clinico davanti ad una sfida di non semplice soluzione.
Una strana presenza in dialisi peritoneale Casi Clinici Bottaro C.(1), Falconi D.(1), Gherzi M.(1), Tattoli F.(1), Marengo M.(1), Serra I.(1), Tamagnone M.(1), Pino C.(1), Formica M.(1) S.C. Nefrologia e Dialisi ASL CN1, Ospedali di Ceva, Mondovì, Saluzzo e Savigliano (1) R.L. 78 aa, IRC da nefroangiosclerosi, in emodialisi da maggio 2011, shiftata in CAPD da giugno 2013 per esaurimento degli accessi vascolari a seguito di ripetuti eventi trombotici. Allo screening trombofilico: omozigosi per mutazione del fattore V di Leyden e eterozigosi per mutazione MTHFR, avviato trattamento con EBPM poi TAO. Nel gennaio 2015 riscontro di gammopatia monoclonale IgG K, con retroinibizione IgM e diagnosi di cardiopatia dilatativa ipocinetica. Nel giugno 2018 frattura traumatica del bacino, grave anemizzazione, sospensione del Warfarin. Nell’agosto 2018 primo episodio di peritonite, colturale positivo per Escherichia Coli. Nell’ottobre 2018 secondo episodio peritonitico (exit-site positivo per Staphylococcus epidermidis ed emocolture positive per Streptococcus salivarus entrambi dubbi per contaminazione). Dopo qualche settimana dalla risoluzione dell’episodio peritonitico, riscontro sull’effluente di materiale gelatinoso, dal laboratorio: colturali negativi, presenza di materiale di sospetta natura non organica. width= Nel dicembre 2018, ricomparsa di abbondante materiale gelatinoso che occludeva il catetere peritoneale e riempiva quasi interamente la sacca. width=Inviato in anatomia patologica tale materiale è risultato essere un enorme ammasso di fibrina. Da allora è stata posta indicazione di medicare la sacca di icodestrine con eparina sodica 2500 U 2 giorni alla settimana. Successivamente riscontro saltuario di frustoli di fibrina. Nell’aprile e nel maggio 2019 due nuovi episodi peritonitici. Nell’ultimo anno eseguiti svariati accertamenti per chiarire l’eziologia della massiva produzione di fibrina ed escludere l’insorgenza di EPS. Alla TAC addome: lieve iperdensità dei mesi aspecifica e diverticolosi, nessun segno di EPS. Alla PET total body non elementi patologici. Da un’analisi retrospettiva la paziente è risultata avere valori di fibrinogeno sempre ai limiti superiori, agli esami ematochimici dell’ultimo anno quadro infiammatorio aspecifico (non giustificato dalla clinica) con ferritina e indici di flogosi elevati. Inviata per ulteriori accertamenti specialistico di riferimento (Malattie Trombotiche ed Emorragiche delle Molinette), dove a giudizio delle colleghe non si sono evidenziati fattori di rischio per lo sviluppo del quadro addominale (non indicata la ripresa della terapia anticoagulante).

Nonostante i numerosi consulti con svariati specialisti riguardo al possibile ruolo causale delle alterazioni dei fattori della coagulazione nella abnorme formazione di fibrina intraperitoneale (specie iperfibrinogenemia di ndd) e/o del costante rialzo aspecifico degli indici di flogosi ad oggi, non avendo trovato una causa e non essendoci alternative alla dialisi peritoneale continuiamo a medicare le sacche con eparina sodica. Questo approccio ci ha permesso finora di limitare la produzione di fibrina e quindi di proseguire il trattamento dialitico.

Autotrapianto di cellule staminali (SCT) per Mieloma Multiplo in paziente in APD Casi Clinici Bonesso C., Bettega D., Balsarin L. UOC Nefrologia e Dialisi AULSS 4 “Veneto Orientale” Caso clinico di donna di 53 aa, storia di calcolosi ossalico-calcica, ipertensione, sottoposta nel 2013 a biopsia renale per SN (proteinuria di 7.5 g/die), con diagnosi di «Glomerusclerosi severa e Nefrite Interstiziale cronica»,  IRC (Creatinina 3.7 mg/dl), anemia, MGUS (BJ positiva per catene leggere K-free e dosaggio catene leggere sieriche e urinarie negativo). A Settembre 2013 inizia APD e esami per lista trapianto (Tx) tra cui, vista la MGUS, anche Mielocentesi e Biopsia osteomidollare positiva per Mieloma Micromolecolare K. Inizia chemioterapia: 8 cicli VTD: Bortezomid-Talidomide-Desametasone con remissione midollare di malattia. Gli ematologi la considerano trapiantabile, ma non il centro Tx (Giugno 2015)  per aumentato rischio neoplastico tra cui MM (SIR 3.3) da immunosoppressione cronica e attività pro-oncogenetica diretta. A Ottobre 2017, dopo 3 aa di remissione, ha ripresa del MM documentato da biopsia per cui fa altri 3 cicli di chemioterapia con Lenalidomide-Desametasone (4°ciclo  sospeso per manifestazioni cutanee). A Aprile 2018 fa un prelievo cellule staminali dopo terapia con Mozobil, entra in lista auto-Tx cellule staminali emopoietiche (SCT). A Settembre viene sottoposta a chemioterapia ad alte dosi con Melphalan 100 mg/mq (pari a 170 mg ev, 50% del teorico per l’IRC) con supporto di cellule staminali CD34+ autologhe criopreservate. Anche durante il ricovero in isolamento prosegue APD in autonomia, nonostante gli ematologi avessero consigliato il passaggio a HD. Non ha mai avuto peritoniti, ma un episodio febbrile (da infezione CVC giugulare e da IVU da E.Coli). Alle visita ematologica Giugno 2019, dopo biopsia midollare, è stata dichiarata in remissione completa di malattia e candidabile all’inserimento in lista Tx. Luglio 2019 TC torace senza mdc: micronodulo aspecifico 3 mm al segmento apicale LID, lieve versamento pleurico basale dx senza indicazione a ulteriori indagini. L’equipe centro Tx ha dato parere favorevole a inserimento in lista, viste le buone condizioni generali e l’assenza di comorbilità. Storicamente i pazienti con ESRD e MM sono stati raramente candidati al Tx rene in considerazione della cattiva prognosi, del rischio recidiva di MM e di aumentato rischio infettivo. Tuttavia negli ultimi 15 aa la sopravvivenza dei pazienti con MM è molto migliorata (media di 8-9 aa [1]) per le nuove terapie e SCT. Uno studio del 2011 [2] ha dimostrato che pazienti trattati con alte dosi di Melphalan e SCT e remissione completa avevano il 30% di possibilità di non progressione a 20 aa. Uno studio [3] del 2018 indica che pazienti a basso rischio recidiva, debbano attendere 6 mesi dopo SCT prima del Tx, quelli a moderato rischio 12 mesi dopo SCT e che a quelli a rischio elevato il Tx non debba essere proposto.

Conclusioni: La DP è indicata nei pazienti con MM per minor anemia, per alta clearence delle paraproteine e per possibile ripresa funzione renale [4-5]. Le esperienze di DP in pazienti con MM sottoposti a chemioterapia e a STC sono limitate. Spesso nefrologi e ematologi vogliono passare alla HD tali pazienti per il rischio di peritoniti. Nella nostra esperienza il buon addestramento ha evitato l’insorgenza di peritonite mentre vi è stata una sepsi da CVC per infusioni, la funzione renale residua si è mantenuta.

ADEGUATEZZA E SOPRAVVIVENZA IN DIALISI PERITONEALE INCREMENTALE: ESPERIENZA DECENNALE Adeguatezza-FRR-Nutrizione Terlizzi V (1), Bertoni D (1), Tonoli M (1), Moscato M (1), Pola A (2), Vizzardi V (2), Sandrini M (2), Movilli E (2), Scolari F (1,2) (1) Università degli Studi di Brescia, Scuola di Specializzazione in Nefrologia (2) U.O. Nefrologia, ASST Spedali Civili di Brescia Introduzione:

In Italia la prevalenza della dialisi peritoneale (DP) raggiunge il 23%. La metodica è associata ad una funzione renale residua più a lungo conservata e ad una miglior sopravvivenza rispetto all’emodialisi (HD). La DP incrementale è una modalità che potrebbe preservare più a lungo la diuresi e la funzione renale residua. Scopo di questo studio è valutare l’andamento degli indici di adeguatezza, funzione renale e nutrizione dei pazienti in DP.

Metodo:

Studio osservazionale retrospettivo sui pazienti incidenti in DP dal 1/1/2008 al 31/12/2018. Sono stati esclusi i pazienti precedentemente sottoposti ad altri trattamenti sostitutivi della funzione renale o con meno di tre mesi di DP.

Risultati:

Durante il periodo di osservazione 329 pazienti hanno iniziato la DP, 60 sono stati esclusi per un follow-up inferiore a 3 mesi. Sono stati studiati 269 pazienti (maschi 160, 59%): età media 65±16 anni, BMI 24±4 kg/m2. Le comorbilità più frequentemente associate sono state l’ipertensione (87%), diabete mellito (32%), vasculopatia cerebrale (26%) e cardiopatia ischemica (25%). La durata media del trattamento è stata di 2.1±1.5 anni. Alla fine del follow-up il 24% dei pazienti è stato sottoposto a trapianto di rene, il 18% proseguiva la DP, 17% subiva eseguiva uno shift a HD, il 39% risultava deceduto. Le principali cause di decesso sono state la patologia infettiva (39%) e la cardiovascolare (31%). La metodica più frequentemente utilizzata è stata la automatizzata (APD 61%; CAPD 39%). Gli indici di adeguatezza depurativa, nutrizione e funzione renale residua, espressi come media durante il follow-up, sono riassunti in Figura 1. Durante il follow-up il 30% dei pazienti è stato trattato con DP incrementale: l’85% con metodica manuale. Il confronto dei parametri dialitici tra DP incrementale e DP piena è riassunto in Figura 2. All’analisi multivariata per la sopravvivenza si è evidenziato come la metodica dialitica non influisca sull’outcome del paziente. Fattori risultati correlati con un aumentato rischio di morte erano: età, diabete mellito, basso wKt/V. Fattori protettivi: diuresi e genere maschile (Figura 3).

Conclusioni:

Nella nostra osservazione decennale la DP incrementale ha fornito ai pazienti una depurazione simile alla tecnica standard, preservando più a lungo la diuresi residua. Questa, si è confermata tra i fattori protettivi sulla sopravvivenza. La DP incrementale potrebbe essere presa in considerazione soprattutto nei pazienti in attesa di trapianto di rene, nei quali il mantenimento di un’adeguata diuresi e quindi della tonicità della vescica rappresentano fattori positivi sulla durata del futuro graft.

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Utilità del monitoraggio da remoto in un programma moderno di dialisi peritoneale Miscellanea Michele Baretta (1), Sabrina Milan Manani (2) (1) Dipartimento di Nefrologia, Dialisi e Trapianto, Ospedale San Bortolo, Vicenza. (2) Dipartimento di Nefrologia, Dialisi e Trapianto, Ospedale San Bortolo, Vicenza. Obiettivi. È stato dimostrato che il monitoraggio da remoto (RM) offre vantaggi ai pazienti con dialisi peritoneale automatizzata (APD), ma le prove sono limitate, a causa della mancanza di un confronto diretto tra la telemedicina e le cure standard.

In questo studio abbiamo confrontato i risultati clinici e la qualità della vita in due gruppi di pazienti sottoposti a dialisi peritoneale (PD), con e senza RM.

Metodi. Questo è uno studio di coorte retrospettivo, che confronta i risultati in due gruppi (Gruppo A, 35 pazienti, e Gruppo B, 38), monitorati rispettivamente con RM e dialisi standard, per un periodo di sei mesi, presso l’ospedale di Vicenza. Abbiamo valutato visite urgenti, ricoveri, peritoniti, iperidratazione e drop-out. La qualità della vita è stata valutata con Kidney Disease Quality of Life-Short Form (KDQOL-SF) Age-Adjusted. Abbiamo, inoltre, aggiunto quattro domande incentrate sulla percezione da parte dei pazienti del monitoraggio, della sicurezza e della soluzione tempestiva dei problemi.

Risultati. I dati clinici erano simili nei due gruppi, ma il gruppo A ha presentato un punteggio di comorbilità più elevato, secondo l’indice di comorbilità di Charlson (p: 0,042).

I risultati hanno mostrato una riduzione delle visite urgenti (p: 0,043) nel gruppo A, in particolare quelle causate dell’iperidratazione (p: 0,03) e delle infezioni dell’exit-site (p: 0,04).

L’analisi delle sottoscale KDQOL-SF era simile nei due gruppi; al contrario, le risposte alle nostre domande hanno mostrato una differenza significativa tra i due gruppi (p: 0,029).

Conclusioni. Il RM ha migliorato i risultati clinici nei pazienti in PD, riducendo le visite urgenti e i ricoveri specifici per causa renale, risultato ancora più rilevante se si considera che è stata applicata a pazienti con punteggio di comorbilità maggiore.

Anche l’accettazione e la soddisfazione del paziente sono migliorate con il RM rispetto al monitoraggio tradizionale.

Le visite domiciliari nella dialisi peritoneale: l’esperienza di un singolo centro Miscellanea Natali N (1), Lisi E (2) (1, 2) Ospedale Generale Provinciale di Macerata Nonostante i progressi che vi sono stati nelle ultime decadi nella teoria e nella pratica della DP , un
problema di notevole rilevanza è tutt’oggi rappresentato dal drop-out, ed è tale da essere
considerato una delle ragioni della bassa penetrazione della metodica.
Dal 1995 è attivo presso l’Unità Operativa di Nefrologia e Dialisi dell’Ospedale di Macerata un
programma di visite domiciliari periodiche che vengono condotte da personale infermieristico dedicato e che accompagnano il paziente per tutta la durata della DP, con lo scopo di mantenere le capacità e le competenze acquisite durante il training ospedaliero e di rilevare precocemente e correggere fattori di rischio per il drop-out.
In questo lavoro sono stati analizzati i dati ottenuti dalle rilevazioni delle visite domiciliari in un
arco temporale di 23 anni. Sono stati confrontati due gruppi di pazienti (età < 70 anni, n.51; ≥ 70 anni, n. 49) in termini di esito delle visite domiciliari et outcome della DP (incidenza di peritoniti, cause di fallimento della tecnica, durata della DP).
Dalle visite domiciliari sono emerse maggiori necessità assistenziali nel gruppo dei pazienti più
anziani (rivalutazione della prescrizione dialitica e re-training ospedaliero). Non sono risultate
differenze statisticamente significative nell’incidenza di peritoniti nei due gruppi. La causa più
frequente di passaggio all’HD è risultata quella legata a motivi non clinici, dato ancora più accentuato nel gruppo dei pazienti più anziani. Un esito a nostro avviso influenzato dal programma
di visite domiciliari, e non legato ad un errore di selezione iniziale, essendo stata la durata media
della tecnica in questi pazienti pari a 70,4 mesi.
Confronto tra catetere Swan Neck retto e catetere Swan Neck curled in dialisi peritoneale Catetere peritoneale Giuseppe Medici (1), Romina Graziani (2), Gaetano Alfano (1), Gianni Cappelli (1) (1) Nefrologia, Dialisi e Trapianto Renale, AOU Policlinico di Modena, Modena, Italia. (2) Ausl Romagna, UO   Nefrologia e Dialisi, Ospedale Santa Maria delle Croci, Ravenna Introduzione

Il corretto funzionamento del catetere peritoneale è un prerequisito necessario per eseguire la dialisi peritoneale. Diversi studi in letteratura riportano un outcome favorevole del catetere Swan Neck retto rispetto al catetere Swan Neck curled1,2. L’ obiettivo del nostro studio è verificare se esistono differenze nell’ insorgenza di complicanze quali: malfunzionamento, dislocazione e necessità di ricorrere al riposizionamento chirurgico in caso di malfunzionamento tra il catetere Swan Neck retto e il catetere Swan Neck curled.

 

Materiali e Metodi

E’ stata effettuata un’analisi retrospettiva dei dati relativi a 66 pazienti affetti da insufficienza renale cronica terminale selezionati per effettuare trattamento dialitico peritoneale, a cui è stato posto un catetere per dialisi peritoneale tipo Swan Neck retto o Swan Neck curled. Tutti i pazienti che hanno eseguito il trattamento dialitico peritoneale per almeno 6 mesi sono stati inclusi nello studio.

Risultati

Sono stati arruolati 37 pazienti nel gruppo portatore di catetere tipo Swan Neck curled e 29 nel gruppo portatore di catetere Swan Neck retto. Le caratteristiche demografiche e cliniche sono descritte nella Figura 1.

Dall’ analisi dei dati si è registrata una maggiore frequenza di dislocazione dei cateteri Swan Neck curled (n=5) rispetto ai cateteri Swan Neck retto (n=1) con una differenza non statisticamente significativa (p=0,218). I pazienti con catetere malfunzionante sono complessivamente 22, di cui 18 nel gruppo Swan Neck curled e 4 invece nel gruppo Swan Neck retto; la differenza tra i due gruppi è risultata statisticamente significativa (p= 0.004). I pazienti portatori di catetere Swan Neck curled hanno una maggiore probabilità di riposizionamento chirurgico del catetere per malfunzionamento rispetto al gruppo Swan Neck retto (p=0,046). Dato che trai due gruppi di pazienti esiste una differenza significativa nei mesi  di follow-up,  è stata effettuata un’analisi multivariata che ha permesso di aggiustare i dati per la variabile tempo. Gli eventi dislocazione e malfunzionamento sono risultati significativamente associati al catetere Swan Neck curled, mentre la necessità di riposizionamento chirurgico del catetere non sembra differente nei due gruppi di pazienti.

Conclusioni

Dall’ analisi dei nostri dati emerge che il rischio di dislocazione e di malfunzionamento è significativamente maggiore nei cateteri Swan Neck curled. Non è stata invece riscontrata alcuna differenza nella necessità di riposizionamento chirurgico in caso di malfunzionamento.  I dati del nostro Centro di Dialisi Peritoneale sono in linea con i recenti dati in letteratura che evidenziano un outcome superiore dei cateteri Swan Neck retti rispetto a quelli curled.

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La   Macrofotografia uno strumento efficace per le infezioni occulte in Dialisi Peritoneale.Case Report Catetere peritoneale SOMMA G (1) UOC Nefrologia OO.RR. Area Stabiese La peritonite è una complicanza comune e grave della dialisi peritoneale. Sebbene meno del 5% degli episodi di peritonite causino morte, la peritonite è la causa diretta o principale di morte in circa il 16% dei pazienti in trattamento PD. La peritonite è una importante causa di drop out,è una delle principali cause di fallimento della tecnica PD e passaggio a lungo termine all’emodialisi. Inoltre, la peritonite grave o prolungata porta ad alterazioni strutturali e funzionali della membrana peritoneale, portando definitivamente all’insufficienza depurativa della membrana.

Gli Staphylococchi sono i principali microrganismi Gram + responsabili di peritonite nei pazienti in dialisi peritoneale. Nella prevenzione dell’infezione è fondamentale l’educazione del paziente ad eseguire correttamente le procedure della dialisi peritoneale. Nel nostro centro, abbiamo una bassa incidenza di peritoniti e di infezioni dell’exit site (0,182-0,121 rispettivamente) probabilmente anche per la gestione di un programma di re-training domiciliare con frequenza mensile. Per la prevenzione delle infezioni del catetere è fondamentale la sorveglianza clinica, la sorveglianza ecografica  ed una attenta valutazione delle immagini fotografiche sequenziali in corso di infezioni dell’Exit Site. Oggi, sempre di più in medicina si fa ricorso alla fotografia come strumento di consultazione, documentazione, formazione e diagnostica. Anche in PD la fotografia macro può essere uno strumento indispensabile per scoprire le microfissurazioni del catetere non visibili ad occhio nudo. Infatti in questo caso di peritonite, abbiamo effettuato una valutazione fotografica di tutto il tratto extracutaneo del catetere.  L’ingrandimento ci mostrava alterazioni strutturali di parete più evidenti in vicinanza della congiunzione della prolunga, ma non si vedeva fuoriuscita di liquido peritoneale.  Abbiamo, quindi, effettuato un carico a pressione positiva, eseguito la mungitura della sacca, scattando foto sequenziali. L’ingrandimento fotografico evidenziava la presenza di una goccia di liquido di dialisi a meno di un centimetro a monte dell’aggancio della prolunga.La macrofotografia è la lente d’ingrandimento che ci permette di conoscere nei minimi dettagli lo stato del catetere.Nella nostra esperienza in PD, abbiamo sempre utilizzato l’imaging fotografico nelle infezioni dell’exit site come documentazione sequenziale dello stato evolutivo delle lesioni in corso di terapia antibiotica, ma è la prima volta che utilizziamo l’ingrandimento fotografico per evidenziare microfissurazioni della parete del catetere peritoneale, riuscendo a documentare velocemente e con precisione il punto di rottura del catetere. E’evidente che maggiore sarà l’utilizzo della macro fotografia sequenziale, maggiore sarà la sensibilità della tecnica nel rilevare le alterazioni specifiche per prevenire la fissurazione del catetere ed eventuale peritonite. La standardizzazione della tecnica fotografica sarà fondamentale per ottenere immagini accurate e coerenti.

Score per l’individuazione di trattamento antibiotico prolungato in corso di peritonite: studio preliminare per l’individuazione dei fattori di rischio. Peritonite-EPS F.Martino (1), G. Amici (2), S. Milan Manani (1), A. Giuliani (1), I. Tantillo (1), C. Ronco (1) (1) UO Nefrologia, Ospedale San Bortolo. Vicenza. (2) UO Nefrologia, Ospedale San Daniele Del Friuli
Score per trattamento antibiotico prolungato in corso di peritonite: studio preliminare per l’individuazione dei fattori di rischio. Peritonite-EPS F. Martino (1), G. Amici, (2) S. Milan Manani (1), A. Giuliani (1), I. Tantillo (1), C. Ronco(1). (1) UO Nefrologia Ospedale San Bortolo Vicenza (2) UO Nefrologia Ospedale San Daniele del Friuli Introduzione:

La peritonite è una grave complicazione del trattamento per dialisi peritoneale. Il trattamento antibiotico prolungato (TAP) durante gli eventi di peritonite rappresenta un importante fattore di rischio per lo sviluppo di complicanze, come la peritonite fungina, la necessità di rimozione del catetere peritoneale, la resistenza agli antibiotici e il peggioramento delle condizioni cliniche. Inoltre, il TAP comporta costi più elevati legati al lungo ricovero. Valutarne il rischio con uno score potrebbe migliorare l’approccio terapeutico e modificare il decorso naturale della malattia.

Lo scopo dello studio è identificare i fattori di rischio all’inizio della peritonite per un TAP nella peritonite e, di conseguenza, creare un semplice sistema di punteggio, che può aiutare il nefrologo nella gestione clinica.

METODI:

Abbiamo condotto uno studio retrospettivo e multicentrico in pazienti che hanno avuto almeno un episodio di peritonite nel periodo di 42 mesi, concentrando la nostra analisi sulla durata del trattamento antibiotico. La durata mediana della terapia antibiotica era di 12 giorni (IQR 10-20), abbiamo considerato come TAP tutti i trattamenti con durata superiore al terzo quartile (20 gg).Per ogni paziente, abbiamo analizzato le condizioni basali come dialisi inadeguata, comorbidità, funzionalità renale residua, BMI, albumina, emoglobina, CRP.  Inoltre, abbiamo valutato il tasso di complicanze come recidiva, rimozione del catetere e mortalità.

È stata eseguita una regressione logistica multivariata; il processo backward stepwise è stato utilizzato per selezionare le variabili predittive. Tutti i valori p due code  <0,05.

RISULTATI:

Abbiamo avuto 217 episodi di peritonite. Le caratteristiche basali dei pazienti sono state riportate nella tabella 1. Il 16,1% dei pazienti ha rimosso il catetere peritoneale, il 14,7% ha avuto una peritonite recidivante, mentre il 5,5% è deceduto. Nei pazienti con TAP abbiamo riscontrato una maggiore incidenza di recidiva di peritonite (p <0,001) e di rimozione del catetere peritoneale (p = 0,02). Nell’analisi logistica multivariata, età (OR 1.066, p = 0.004), durata delladialisi peritoneale (OR 0.969, p = 0.029), BMI più elevato (OR 1.12, p = 0.09), precedente colonizzazione di Stafilococco nasale (OR 20, p <0.001), Il diabete (OR 9,9, p = 0,02) e l’identificazione dei batteri Gram negativi (OR 2,9, p = 0,07) sono predittori indipendenti di TAP. Il nostro modello è statoin grado di prevedere il 79,2% di TAP, mentre in tabella 2 è riportato loscore da questo derivato dal nostro modello.

CONCLUSIONI:

Con i predittori indipendenti di TAP individuati dallo studio e lo score derivato è quindi possibile a nostro parere individuare precocemente i pazienti a rischio e di conseguenza mettere in atto una eventuale intensificazione terapeutica e del follow-up clinico. width=

PERCORSO DEL PAZIENTE IN PREDIALISI: ESPERIENZA MONOCENTRICA Predialisi-Scelta dialitica Caselli Ada, Oliva Elena. Bardini Giuseppina (1,2,3) UO Nefrologia AV5 Ascoli Piceno e San Benedetto del Tronto INTRODUZIONE

L’ambulatorio di Predialisi dell’AV5 (Ascoli Piceno e San Benedetto del Tronto) prende in carico i pazienti affetti da Insufficienza renale cronica stadio IV-V sec NKF, con accesso diretto del paziente, senza prenotazione da CUP. L’equipe dell’ambulatorio predialisi si propone di valutare lo stato clinico, psicologico, sociale ed attitudinale del paziente. Lo accompagna nella scelta della terapia sostitutiva più idonea e si avvale di diverse figure professionali che cooperano.

 

METODI

La Nefrologia dell’AV5 ha dato il via a gruppi di studio (medico-infermieristico) atti a uniformare e migliorare i vari aspetti della Nefrologia tra cui anche il difficile percorso predialitico. Il nostro ambulatorio predialisi si rivolge ai pazienti con IRC stadio IV-V sec. NKF che vengono presi in carico dalla nostra UO. L’equipe dell’ambulatorio predialisi comprende: nefrologo, infermiere specializzato in emodialsi e in dialisi peritoneale. La multidisciplinarità dell’ambulatorio permette di eseguire visite mensili o bimensili in base al grado di IRC, di educare il paziente e il caregiver sia da un punto di vista di comprensione e gestione della malattia e quindi della terapia che da un punto di vista alimentare. Pertanto le attività svolte sono molteplici: monitorizzazione stretta dei pazienti in terapia conservativa; indicazione, scelta, conduzione e preparazione al trattamento dialitico o al trapianto pre-emptive; dieta personalizzata. Attraverso la collaborazione con il servizio di cure domiciliari e i medici di medicina generale, si mantiene la domiciliarità dei pazienti ultra-anziani o allettati affetti da malattia renale cronica con successiva riduzione dell’ospedalizzazione.

 

RISULTATI

La nostra esperienza monocentrica ci ha permesso di allinearci e in alcuni casi superare le medie nazionali dei pazienti incidenti. Dai dati del nostro centro (relativi all’anno 2018) si evince che:

– i pazienti con accesso dialitico in acuto vs i pazienti con accesso programmato sono pari al 34.4% vs 65,6%

– i pazienti, provenienti dall’ambulatorio predialisi, incidenti in dialisi peritoneale sono pari a 9, mentre gli incidenti in emodialisi sono 10, con una percentuale vicina al 50% (media nazionale dei pazienti incidenti in PD pari a 27.1%)

-inoltre i pazienti seguiti in ambulatorio predialisi che hanno effettuato un trapianto pre-emptive da donatore vivente sono pari a 21.42%.

 

CONCLUSIONI

Lo scopo dell’ambulatorio predialisi è quindi in primis quello di evitare l’arrivo in urgenza alla terapia dialitica. Inoltre visto l’invecchiamento della popolazione dialitica e la conseguente necessità di preservare il patrimonio vascolare, è auspicabile, a nostro avviso, proporre in prima istanza la dialisi peritoneale a tutti i pazienti a meno che non siano presenti controindicazioni assolute.  La proposta “PD first” può essere vista anche in un’ottica di riduzione dei costi della sanità mantenendo alti i livelli dell’offerta terapeutica.

INDICATORS OF A SAVE AMBULATORY TREATMENT OF PERITONITIS IN PERITONEAL DIALYSIS: DEVELOPMENT OF A PERITONITIS SEVERITY SCORE. Peritonite-EPS Matthias Zeiler (1), Antonio Federico (1), Ada Caselli (2), Mario Antonelli (2), Stefano Santarelli (1) (1) U.O. Nefrologia e Dialisi, Ospedale “Carlo Urbani”, Jesi (AN); (2) U.O, Nefrologia e Dialisi, Ospedale “C. e G. Mazzoni”, Ascoli Piceno (AP) Introduction and Aim:

ISPD Peritonitis Recommendations indicate that the degree of abdominal pain and tenderness are important factors for hospital admission. Patients with minimal pain could be treated in ambulatory. The aim of the study was to analyse patient and laboratory characteristics of both peritonitis treatment regimens.

Methods:

Incident patients with peritonitis symptoms during the period 2009 – 2018 were included in this retrospective study. The medical decision, ambulatory treatment or hospitalisation, was not defined by internal guidelines. 142 peritonitis episodes were registered in 69 adult patients, out of these 43.7 % were treated in ambulatory. Differences between treatment regimens were analysed by Mann-Whitney and X2-test.

Results:

There were no differences regarding the distribution of gram positive and negative pathogens (prevalence of gram positives in each group). Cultures of three episodes showed fungi. In the ambulatory group, culture negative peritonitis was present in 21.5% whereas in 9.1 % in the hospitalisation group (p<0.05). Duration of hospitalisation was 9 days (median). Three patients died during hospitalisation due to intestinal perforation whereas no patient in the ambulatory group. In the ambulatory treatment group, patients were significantly older (73 vs 71 years), presented shorter time on dialysis (18 vs 26 months), had lower C reactive protein (2.2 vs 10.7 mg/dl), lower creatinine (7.4 vs 8.4 mg/dl), higher albumin (3.4 vs 3.2 g/dl), lower dialysate leukocyte count (1640 vs 4048 /mm3) and higher dialysate leukocyte reduction (79% vs 64% after 24 hours) (all median values). Initial blood leucocyte count was slightly lower in the ambulatory treatment group (7100 vs 7860 /mm3). Ambulatory treated patients presented lesser pain intensity, whereas all patients with severe pain were treated in hospital.

Conclusions:

Shorter time on dialysis, lower C reactive protein, lower dialysate leukocyte count and absence of severe pain at peritonitis presentation might indicate safe ambulatory treatment.

HIGH DIAGNOSTIC CAPABILITY OF ULTRASOUND IN PERSISTENT PERITONEAL CATHETER MALFUNCTION. Catetere peritoneale Matthias Zeiler (1), Paolo Lentini (2), Antonio Federico (1), Roberto Dell’Aquila (2), Antonio Granata (3), Stefano Santarelli (1) (1) U.O. Nefrologia e Dialisi, Ospedale “Carlo Urbani”, Jesi (AN); (2) U.O. Nefrologia e Dialisi, Ospedale “San Bassiano”, Bassano del Grappa (VI); (3) U.O. Nefrologia e Dialisi, Ospedale “Cannizzaro”, Catania (CT) Introduction:

The clinical approach to peritoneal dialysis catheter malfunction consist usually in laxative prescription, abdominal radiography, brushing of the catheter lumen, guide-wire manipulations or catheter fluoroscopy. Only specialised centres apply videolaparoscopy for catheter rescue interventions. Up to now, limited experience is present regarding the evaluation of the intraperitoneal tract of the peritoneal catheter in adult patients. The aim of the study was to evaluated the diagnostic capability of ultrasound (US) in persistent peritoneal catheter malfunction.

Materials and methods:

US of the intraperitoneal part of the peritoneal catheter was performed prior to videolaparoscopy intervention in 40 adult patients presenting persistent peritoneal catheter malfunction, despite non-invasive therapy such as laxative prescription and brushing of the catheter lumen. US diagnosis was compared to the corresponding at videolaparoscopy intervention and the causes of mismatch analysed. In all patients US was performed after filling of the abdominal cavity with peritoneal dialysis solution of at least one litre.

Results:

In US, causes of persistent malfunction were catheter dislocation combined with omental wrapping in 21 cases, omental wrapping without dislocation in11 cases, dislocation only in 4 cases, adherences to non-omental structures in 3 cases and entrapment in the lateral inguinal fossa in one case. The correspondence of US and videolaparoscopy diagnosis was 90%, respectively in 36 of 40 cases. The discrepancies were due to improper visualization of the catheter caused by important constipation and embedding of the catheter between intestinal loops, resulting in an erroneous US diagnosis of omental wrapping, whereas videolaparoscopy showed encasement of the peritoneal catheter between intestinal loops in three cases and presence of adherences to tubal structures in one case.

Conclusions:

US is helpful in making a correct pre-operative diagnosis of persistent peritoneal catheter malfunction and in planning of the videolaparoscopy rescue intervention. Retrospectively increased filling of the abdomen with dialysis fluid (>1500ml) and the application of colour Doppler US during the filling procedure might have resolved the already low discrepancy between ultrasound and videolaparoscopy diagnosis.

Albumina Glicata : un nuovo promettente marcatore di omeostasi glicemica in pazienti affetti da malattia renale cronica. Miscellanea Zappulo F1, Capelli I1 , Troiano A 1,   Maietti E2, Donati G1 , Cianciolo G1 , Magnoni G 1, Rucci P 2, La Manna G 1 1 Dipartimento di Medicina diagnostica, specialistica e sperimentale (DIMES), UO di Nefrologia , DIalisi e Trapianto . AOU Sant’Orsola Bologna 2 Dipartmento di Scienze Biomediche e neuromotorie Alma Mater Studiorum – Università di Bologna INTRODUZIONE. L’albumina Glicata (GA) rappresenta un promettente marcatore di controllo glicemico a breve termine in alternative all’utilizzo dell’emoglobina glicata (HbA1C) in nei pazienti diabetici. Nelle situazioni cliniche che determinano alterazione dei livelli di emoglobina conseguenti ad un alterato turnover degli eritrociti coma quali la CKD, la determinazione dei livelli di GA può rappresentare una valida alternative all’HbA1c.

METODI. Abbiamo eseguito uno studio osservazionale prospettico volto a valutare l’accuratezza GA quale indice del controllo glicemico nei pazienti affetti da malattia renale cronica in terapia conservativa e in trattamento sostitutivo (dialisi peritoneale ed emodialisi) afferenti alla nostra UO di Nefrologia. La valutazione del controllo glicemico è stata condotta mediante la valutazione dell’HbA1c e della GA al tempo zero (T0) e dopo 3 mesi (T1).

RISULTATI. Le caratteristiche basali della popolazione in studio sono riportate in tabella 1. L’analisi statistica ha mostrato una correlazione positive tra i livelli di HbA1c e GA a T0 e a T1. (Fig 1 e 2). Per valutare quanto la condizione di anemia possa influire sui livelli di HbA1c abbiamo diviso la nostra popolazione in due gruppi utilizzando il valore di emoglobina di 10,7 (valore mediano) come cut-off. Nei pazienti con valori emoglobinici più alti (Hb > 10,7 gr/dL) non sono state riscontrate significative differenze tra I livelli di HbA1c e GA (p = 0,3) sia in T0 che in T1. Al contrario nei pazienti anemici (Hb < 10.7 gr/dL) si è evidenziata una significativa differenza tra i livelli di HbA1c e GA (p = 0.02) (tab 2). Se consideriamo le variazioni dei livelli plasmatici delle due variabili analizzate l’analisi statistica ha mostrato che la correlazione tra I livelli di GA e albumina risulta maggiormente sensibile di quella tra I livelli di Hb e HbA1c (coeff. di Spermann 0.17 vs 0.51).

CONCLUSIONI.  Nelle nostra popolazione lo stato di anemia si è confermato come fattore confondente nella valutazione dei livelli di HbA1c. Pertanto GA può rappresentare un’alternativa utile per la gestione e il follow up dei pazienti diabetic affetti da CKD e in trattamento sostitutivo

 

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PAZIENTE (PZ) IN DIALISI PERITONEALE (DP) CON IDROTORACE (ID) SINISTRO (SX) ED AMILOIDOSI SISTEMICA SENILE: LA TC CON MEZZO DI CONTRASTO (MDC) INTRADDOMINALE CI AIUTA NEL SOSPETTO DI COMUNICAZIONE PERITONEO-PLEURICA (CPP) ??? Casi Clinici Marco Veronesi*, Stefano Gatto*, Y.Battaglia*, E.Rizzioli*, A.Bortot*, C.LaTorre*, M.Annaloro*, G.Russo*, S.Forcellini*, M.Russo*, M.R.Trapassi*, F.Tondolo*, L.Selvatici*, M.Moscato* ed Alda Storari*. A. Binaschi**, S. Leprotti**, G.Benea**. Azienda Ospedaliero – Universitaria di Ferrara, Arcispedale S. Anna, Cona ( Ferrara) * Unità Operativa Complessa di Nefrologia e Dialisi **U.O. Radiologia Diagnostica ed Interventistica Introduzione

L’ID è complicanza nota in DP<3.2%, incidenza <10%, può essere legato a CPP, più frequente nei policistici(APKD) femmine, a destra (dx) 87.3%, a sx 12.7% per la presenza del pericardio. Esordisce con dispnea o asintomatico nel 25% dei casi. La diagnosi di CPP è fatta con esami laboratoristici e strumentali.(1-8,16)

Caso Clinico

Uomo 73aa, 60kg, storia di poliomielite, stenosi canale lombare operata, Malattia Renale Conica, DM tipo 2, microcitemia, cardiopatia ischemico-ipertensiva. Dal 2013 ricoveri e paracentesi per ascite e scompenso cardiaco congestizio, FE 60%. 2016 diagnosi di amiloidosi sistemica senile senza mutazioni del gene TTR (SSA) a coinvolgimento cardiaco (Fig.1,2), FE 41%(13). 3/2019 uremia, sovraccarico idrico, diuresi 1L/24h; inizia DP con 2L icodestrina in scambio notturno. 6/2019 dispnea e IDsx massivo con riduzione dell’ultrafiltrato(UF)(Fig.3). Toracentesi di 1L di trasudato (14,15) citologia e microbiologia negativa, BNP 1500 pg/ml. 7/2019 recidiva di IDsx, ricovero nel sospetto di CPP; FE 45%, peso 62Kg. Il pz ha rifiutato passaggio temporaneo ad emodialisi. La TC Toraco-Addominale (T-A) dopo 2h di stazionamento addominale con Ultravist 100ml in soluzione dialitica 1,36% 2L, risultata purtoppo negativa per CPP (Fig.4). Il pz è stato dimesso ottimizzando i bilanci ed aumentando il diuretico; peso 58Kg. 11/2019 recidiva di IDsx massivo e lieve alla base dx, con febbre e bronchite; inizia antibiotico empirico e viene ricoverato; FE << 30%, posizionato drenaggio polmonare permanente PleurX (10,11,12) con drenaggio 0.5-1L/24ore di trasudato con citologia e microbiologia negativa, concentrazioni di urea, glucosio ed elettroliti pari a quelle del sangue. l’UF peritoneale 0.7L/die, diuresi 0.7L/24h, dimesso a 54Kg. 01/2020 ridotti gli scambi DP, stabile, come in degenza, l’UF la diuresi e le perdite dla drenaggio pleurico; tendenza all’ipoidratazione anche all’impedenziometria ma in graduale miglioramento clinico.

 

Discussione

La storia del pz non spiega l’IDsx acuto, il sospetto di CPP è fondato, ma nei pz in DP con buona diuresi ed addome vuoto di giorno, può tardare a mostrarsi.

La CPP non poteva essere cercata col gradiente di glucosio tra liquido pleurico e sangue facendo il pz solo icodestrina.

La TC T-A con MDC in addome consente solitamente la diagnosi di CPPdx, nel nostro caso, forse per la presenza di versamento pericardico e/o per il troppo breve stazionamento del MDC in addome, non è stata utile.

Il pz ha rifiutato la sospensione della DP per l’emodialisi, quindi è tuttora in studio causale per l’ IDsx. Stiamo valutando eventuale test blu di metilene, ripetizione di TC T-A con più lungo stazionamento del MDC, rapporto glucosio pleurico e sierico dopo scambio con sacche al glucosio che se > di 1 conferma CPP.

La TC T-A con MDC in addome è importante per diagnosi di CPP in presenza di IDdx se il pz esegue DP con sola icodestrina, mentre poco utile nell’IDsx con versamento pericardico come nel nostro caso.(4,6,7,9)

Prevention of enteric peritonitis with Escherichia Coli Nissle 1917 in Peritoneal Dialysis: a single center case series. Peritonite-EPS Gennaro Argentino1, Silvio Borrelli2 Nephrology Units of 1Hospital “Ospedale del Mare” of Naples, Italy and 2University of Campania “Luigi Vanvitelli”of Naples, Italy Peritonitis is still a major cause of drop-out in Peritoneal Dialysis (PD). Peritoneal infections in PD patients might be often the result of migration of bacteria across intestinal wall, configuring an Enteric Peritonitis (EP). EP usually recognizes as infecting pathogens the commensals of the gastrointestinal (GI) tract, relapses commonly and results in higher rates of catheter removal and switch to hemodialysis. Nonetheless, currently there is no available treatment for prevention of EP relapses.
This is a case-series study reporting our clinical experience in 14 consecutive PD (mean age:53.1±11.9 years; 67% males; dialysis vintage: 7.5 [3.1-27.7] months; 9/14 Automated PD) treated with Escherichia Coli Nisle 1917 (ECN), after one or more peritonitis due to GI bacteria. The isolated pathogens were Escherichia Coli (N=5), Klebsiella Pneumoniae (N=3), Enterococcus Faecalis (N=2), Enterobacter Cloacae (N=2), Aremonias Caviae (N=1), Streptococcus Gallolyticus (N=1). No exit-site infection was associated with peritonitis. In all patients, after antibiotic therapy and complete resolution of peritonitis, prophylactic treatment with ECN 100 mg twice a day (in addition to ten-days monthly of 200 mg rifaximin) allowed to prevent relapse or repeat during the subsequent 18 months of follow up. No serious adverse effect was reported.
ECN Nisle 1917 is safe and efficacious pro-biotic to treat bowel disease, preventing enteric peritonitis relapses in PD patients. This approach might potentially reduce peritonitis relapse in PD patients, though studies ad hoc are mandatory to prove this strategy on large scale.
LAPAROSCOPIC CHOLECYSTECTOMY AND INGUINAL HERNIA REPAIR IN A PATIENT ON AUTOMATED PERITONEAL DIALYSIS: A CASE REPORT Casi Clinici Lenci F.F. (1), Ricci M.(1) (1) U.O. Nefrologia e Dialisi IRCCS I.N.R.C.A. Ancona Laparoscopic cholecystectomy (LC) is the established procedure for treatment of cholelithiasis. There is no consensus on its use in patients receiving peritoneal dialysis (PD), and there is no clear recommendation in the literature of how to manage perioperative dialysis. We follow an 84 years old man on automated peritoneal dialysis (APD) who was underwent to LC and inguinal hernia repair concurrently. We demonstrate the possibility to continue CAPD during two major surgical interventions, without significant complications also regarding very old pluricomorbid patients. An 84 year old man receiving APD for chronic renal failure due to hypertension damage, was underwent LC and inguinal hernia repair concurrently. We did not shift patient on hemodialysis and he continued APD reducing fluid volume, starting from the second postoperative day. We didn’t experience any complication as infections, hemorrhage and\or leakage. We noticed only a reduction in ultrafiltration while he was mantaining a good urine output. APD can be resumed in the immediate postoperative period even in very old pluricomorbid patients with less chance of major complications. This allow reducing treatment costs by decreasing the total duration of hospital stay and by avoiding the need for perioperative hemodialysis
Icodextrin-based peritoneal dialysis as therapeutic approach in congestive hert failure resistant to pharmacological treatment Casi Clinici Ricci M (1), Lenci F.F. (1) (1) U.O. Nefrologia e Dialisi IRCCS I.N.R.C.A. Ancona Objectives: removal of extensive fluid overload is one of the most difficult challenges in the management of severe congestive heart failure, particularly in patients who do not respond to diuretic therapy.Peritoneal ultrafiltration could be the solution to treat hypervolemic congestive heart failure patients. Icodextrin solution is a long acting osmotic agent that allows the patient’s ultrafiltration volume to gradually increase for up to 12 hours. We present a case of successful peritoneal ultrafiltration treatment in a 76 years-old woman diagnosed with diuretic-resistant congestive heart failure. Seven months of treatment with one daily dialysis exchange with icodextrin resulted in better functional status (from IV to II NYHA class), quality of life and improvement of cardiac ejection fraction (from 20% to 40%). Methods: a 76 years old woman was admitted to the emergency department of INRCA Ancona in March 2018. She had been diagnosed with advanced biventricular heart failure (NYHA class IV) resistant to diuretics in the course of dilated cardiomyopathy and established atrial fibrillation. Due to the advanced degree of kidney damage (V stage of chronic kidney disease and eGFR 10 ml\min according to the CKD-EPI formula), one 12-hour night time dialysis exchange with 2 L of glucose polymer (icodextrin) as on osmotic agent was started. Results: after seven months of treatment with icodextrin at home, the patient reported an overall improvement in her well-being with better exercise tolerance (from NYHA IV to II) and an improvement of cardiac ejection franction (from 20% to 40%). Moreover the treatment was able to restore the patient’s sensitivity to oral diuretics without any other re-hospitalizations. Conclusions: this report proves that the use of peritoneal ultrafiltration in patients with congestive heart failure resistant to pharmacological therapy can significantly improve clinical state of patients.
Chiloperitoneo in paziente con severa cardiopatia Casi Clinici M.Bosco (1), D.Berbecar(2), E.Boer(3), C. Bregant(4), M.Martone(5), PL.Mattei(6), L. Mian(7), N.Milutinovic(8), (1), (2), (3), (4), (5), (6), (7), (8) SC Nefrologia e Dialisi AAS2 bassa Friulana Isontina Introduzione. Il chiloperitoneo è una rara evenienza nei pazienti in dialisi peritoneale e diversi report associano la presenza di chiloperitoneo alla terapia con calcio antagonisti. Materiali e metodi. Presentiamo il caso di una paziente di 78 anni in trattamento dialitico peritoneale con un’unica sosta notturna con icodestrina. La paziente, obesa, non fuma, non beve alcool, ha una severa cardiomiopatia dilatativa con severa disfunzione ventricolare sinistra, uno scompenso cardiaco anasarcatico ricidivante. E’ affetta da diabete mellito, IRC  di grado G4A3. Presenta un decadimento cognitivo lieve e sindrome depressiva. Nell’impossibilità di mantenere la paziente in uno stato di compenso cardiaco, nel mese di gennaio 2019 si decide per il trattamento dialitico peritoneale. Il catetere  tipo Tenckhoff retto viene posizionato in sede sotto ombellicale pararettale destra con metodica chirurgica. La terapia in atto comprende: Insulina, Ivabradina,  bisoprololo, duloxetina cloridrato, furosemide, calcifediolo, aldactone. La paziente è allettata per problematiche osteoarticolari. Vive con un figlio che si occupa della gestione della dialisi peritoneale. Il mattino successivo alla prima visita ambulatoriale l’infermiera responsabile della PD riceve una telefonata dal figlio che riferisce il riscontro di effluato peritoneale torbido. La signora sta altrimenti bene, nega sintomatologia dolorosa addominale, l’alvo è canalizzato. La temperatura corporea è di 36.5 C. Dall’analisi dell’effluato con riscontro di Leucociti. 57 /μL. Tra gli esami eseguiti: Proteina C reattiva 7.1 mg/L  (VN< 5.0), Globuli Bianchi 4.72 x10^3/μL, Globuli Rossi 4.00 < x10^6/μL , Emoglobina 11.9 < g/dL, Trigliceridi 103 mg/dL, Colesterolo totale 222 mg/dL.  Sul campione di liquido peritoneale: Leucociti 57 /μL, Trigliceridi 189 mg/dL, Colesterolo 43 mg/dL, Glucosio 125 mg/dL, Creatinina 2.35 mg/dL, Urea 187.0 mg/dL, Albumina 1.80 g/L,  Acido urico 9.71 mg/dL, Sodio 127.0 mEq/L, Potassio 4.99 mEq/L. Si conferma quindi il sospetto di chiloperitoneo e empiricamente si consiglia di sostituire la sacca di icodestrina con una sacca a concentrazione “intermedia” senza ottenere però modifica dello stato opalescente dell’effluato. Come effetto secondario si ha avuto un riassobimento di circa 400 cc di liquido. Si sospende quindi il trattamento per 72 ore e alla ripresa si assiste alla risoluzione del quadro. Conclusioni: a differenza di quanto riportato nei casi clinici in letteratura, si è deciso di non apportare modifiche terapeutiche potenzialmente nocive dal punto di vista cardiologico. Vista la stretta correlazione tra la mobilizzazione passiva della paziente e la comparsa di chiloperitoneo si è privilegiata l’ipotesi traumatica del chiloperitoneo preferendo un atteggiamento di tipo “osservazionale”.
L’ANDAMENTO DELLA FUNZIONE RENALE NELLO STADIO CKD 5: UN DESTINO GIA’ SCRITTO? Predialisi-Scelta dialitica De Liberali M(1), Cannarile DC(1), Gaggi R(1), RenoC(2), Gibertoni D(2), Mancini E(1) (1)UO Nefrologia, Dialisi e Ipertensione-Policlinico di S.Orsola, Bologna; (2)Department of Biomedical and Neuromotor Sciences, University of Bologna, Bologna Introduzione e scopo Lo stadio 5 della Malattia Renale Cronica (CKD) è solitamente considerato poco condizionabile nella velocità e modalità di progressione. Recenti studi osservazionali hanno tuttavia evidenziato che, anche in questa fase, la progressione sia spesso eterogenea e con frequenti cambiamenti di traiettoria. Noi abbiamo voluto valutare retrospettivamente i nostri pazienti (pz)  in stadio 5  dall’1/1/2016 al 31/12/2018, per analizzarne l’evoluzione funzionale.

Materiale e Metodi Abbiamo incluso solo pz con follow-up superiore a 6 mesi e almeno 4 controlli clinico-laboratoristici che includessero Clearance Creatinina misurata (ClCr) e GFR stimato con CKD-EPI (eGFR). Il campione comprende 59 pz (45 M) età media 68,4 anni (range 35-90). Tempo medio di follow-up 20,5 mesi, numero medio di controlli 12/pz. Per ogni pz abbiamo analizzato: comparabilità tra eGFR e ClCr, velocità di progressione (rapida(R): perdita di GFR>5 ml/min/anno; lenta(L): 1-5ml/min/anno; stabilità(S): GFR ±1 ml/min/anno; miglioramento(M): guadagno di GFR >1 ml/min/anno)); correlazione tra ClCr, GFR e alcuni parametri clinico-laboratoristici (diabete, controllo pressorio, utilizzo ACEi/ARB, CIC, AOCP, proteinuria, Hb, ac urico, PTH, fosforemia).

Statistica: Test di correlazione lineare per analisi  variabili continue, test del chi-quadro per il confronto tra gruppi.

Risultati: Slope medio di eGFR: -2,98±3,73 ml/min/anno, della ClCr: -3,73±5,8 ml/min/anno. Lo slope della velocità di progressione mediante eGFR si è distribuito secondo una gaussiana (R 16,9%; L 55,9%; S 18,6%; M 8,4%) con andamento non statisticamente diverso rispetto alla progressione valutata con ClCr (R 32,2%, L 45,7%, S 11,8%, M 10,1%). La correlazione tra eGFR e ClCr (metodo di Bland-Altman), è risultata buona, solo per valori di GFR <12ml/min. Non è stata trovata alcuna correlazione tra eGFR e diabete, CIC, Hb, ac urico, PTH, fosforo, terapia con ACEi/ARB, mentre è emersa una correlazione significativa tra velocità di progressione e presenza di AOCP (70% pz a rapida progressione presentano AOCP,  p= 0,035) e controllo pressorio (80% pz a rapida progressione non hanno un controllo pressorio adeguato, p=0,031).

Discussione Questa analisi conferma quanto comincia ad emergere in letteratura, cioè che anche nello stadio CKD5 un attento monitoraggio e puntuali strategie terapeutiche possono ancora modificare e rallentare la progressione funzionale. Meno di un terzo dei pz ha una perdita di filtrato > 5ml/min/anno, e questa rapida progressione sembra correlarsi alla presenza di AOCP e allo scarso controllo pressorio. Per il rimanente 70% dei pz si prospetta invece una evoluzione lenta o addirittura la possibilità di stabilizzazione o miglioramento funzionale. Questi dati sullo slope della progressione, pur nel limite della bassa numerosità, incoraggiano a non ritenere lo stadio 5 della CKD un inesorabile e breve viaggio verso la terapia sostitutiva.

Peritonite chimica dopo marcatura endoscopica del colon in un paziente in dialisi peritoneale Casi Clinici Pamela Gallo (1) Stefano Michelassi (1) Giuseppina Simone (1) Ileana Benedetti (1) Pietro Claudio Dattolo (1) Azienda USL Toscana Centro SOC Nefrologia e dialisi Firenze II  

Introduzione:

I pazienti in dialisi peritoneale sono ad alto rischio di peritoniti dopo colonscopia, per microperforazioni o per traslocazione batterica attraverso la parete del colon [1-2]. Le linee guida ISPD del 2016 consigliano di impostare una profilassi antibiotica [3]. Il passaggio di inchiostro in cavità peritoneale durante le procedure di marcatura endoscopica è una complicanza riportata in letteratura [4]. Presentiamo il caso di una peritonite in un paziente in dialisi peritoneale sottoposto a marcatura endoscopica di una neoplasia del colon. Alla microscopia ottica del liquido peritoneale erano presenti numerosi macrofagi attivati, pieni di pigmento e una intensa reazione infiammatoria, difesa cellulare di prima linea.

Caso clinico

Un paziente di 65 anni, in dialisi peritoneale, è stato sottoposto a marcatura endoscopica di una lesione del sigma, durante una colonscopia. Come consigliato dalle linee guida [3], prima della procedura è stata impostata terapia antibiotica orale. Il giorno dopo, il paziente è giunto in dialisi peritoneale per la presenza di liquido peritoneale scuro (Fig. 1A). Il paziente era asintomatico, con parametri vitali nella norma. Agli esami ematici, la PCR era 1.16 mg/dl, i leucociti 5790/mm^3. Le colture del liquido peritoneale sono risultate negative, l’analisi chimico-fisica mostrava glucosio, proteine e leucociti (948/mmc sul primo campione e 404/mmc sul secondo, dei quali 77% polimorfonucleati e 23% monociti). Alla microscopia ottica, erano presenti numerosi macrofagi, pieni di pigmento, cellule mesoteliali e eritrociti(Fig.1B). La colorazione Papanicolau, ha mostrato una intensa reazione cellulare all’inchiostro di china.(Fig 1C).

Sono stati impostati scambi peritoneali, per rimuovere la sostanza irritante. E’stata proseguita terapia antibiotica per evitare una peritonite batterica. Il paziente non ha avuto complicanze. A Settembre 2019, durante l’emicolectomia, un esteso deposito peritoneale di inchiostro era presente a livello del colon discendente oltre al tatuaggio del carcinoma del sigma. Il paziente è attualmente in emodialisi in follow up.

Discussione

Nel nostro caso clinico, grazie al catetere è stata individuata una complicanza della procedura endoscopica, ed è stato possibile eseguire scambi peritoneali, per rimuovere la sostanza irritante. La microscopia ottica identificando l’intensa reazione infiammatoria all’inchiostro ha confermato il ruolo di prima linea dei macrofagi peritoneali contro gli agenti patogeni. Un sistema immunitario efficiente, una appropriata terapia antibiotica prima e dopo la colonscopia e gli scambi peritoneali hanno permesso di evitare gravi complicazioni. La negatività dell’esame colturale non permette di escludere del tutto una peritonite batterica in presenza di una elevata conta leucocitaria. Tuttavia l’intensa reazione cellulare al pigmento, visibile all’esame microscopico è suggestiva per una risposta alla sostanza chimica fuoriuscita in cavità peritoneale.

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Uno strano caso di peritonite : attenti all’acqua del pozzo ! Casi Clinici Linda Gammaro ,Vincenzo Cosentini , Alessandro Petrolino UOC Nefrologia e Dialisi San Bonifacio (Verona) M.F.E in CAPD da tre anni ,con ottimi indici di depurazione e senza episodi di peritonite, vive nelle valli Cimbre dove possiede una azienda di produzione di frutti di bosco ampiamente irrigata da acqua di pozzo filtrata .
Nella primavera scorsa , presenta un primo episodio di peritonite preceduta da diarrea , subito trattato con Ceftazidime intraperitoneale e ciprofloxacina per os , essendo identificato al test rapido Gram negativo.Vi è una rapida risposta alla terapia .
L’esame colturale mostra Aeromonas Hydrophila .Nega ingestione di pesce crudo . Ci rivela in un secondo tempo di bere all’acqua del pozzo che non possiede sistemi di filtrazione perchè l’acqua è per lei la migliore…
L’analisi dell’acqua rivela la presenza di Aeromonas .Viene installato anche nel pozzo un depuratore.
La paziente prosegue la sua terapia dialitica senza presentare più episodi di peritonite nel suo quarto anno di CAPD.
Impatto clinico e sociale del telemonitoraggio in dialisi domiciliare Miscellanea Massimo Morosetti (1), MAria Iolanda Famà (2) (1) P.O. G.B Grassi – ASL Roma 3 (2) Vree Health Italia Introduzione La dialisi domiciliare offre numerosi vantaggi: diversi studi dimostrano i benefici per i pazienti in dialisi domiciliare in termini di sopravvivenza, qualità di vita, costi di spostamento, autonomia e benefici clinici. Inoltre, nella maggior parte dei paesi, il costo della dialisi domiciliare è inferiore al costo della dialisi effettuata in ospedale. Per questi motivi, e per facilitare l’accesso alla dialisi domiciliare, dal 2017 è attivo in Italia il Programma Doctor Plus® NEPHRO, un programma di assistenza per il telemonitoraggio dei pazienti in dialisi domiciliare. Scopo del presente lavoro è valutare se il programma può offrire vantaggi clinici e sociali.

Metodi L’analisi ha considerato i pazienti in dialisi domiciliare (peritoneale ed extracorporea) del Centro di Nefrologia della ASL Roma 3 inclusi nel servizio di telemonitoraggio da luglio 2017 ad aprile 2019. Ogni paziente è stato osservato per un periodo da 4 a 22 mesi. Il programma prevede il controllo quotidiano di pressione sistolica e diastolica, frequenza cardiaca, peso e ossimetria presso il domicilio del paziente. La rilevazione è effetuata dal paziente usando il “Kit di Programma” costituito da una bilancia,uno sfigmomanometro e un pulsossimetro. Il Kit è inoltre composto da un Hub (centralina) per la raccolta automatica delle misurazioni e il loro invio automatico al “Portale Vree” che visualizza il nefrologo. Tutti i device, l’Hub e il Portale Vree sono certificati medical device classe IIa.

Inoltre, ad ogni paziente è stato somministrato il questionario SF-12 e valutato il livello di gradimento del servizio Doctor Plus® Nephro.

Risultati 16 pazienti (56,3% maschi, 62 anni in media) hanno avuto una permanenza di almeno 4 mesi nel programma e sono stati considerati nell’analisi. Durante il periodo di osservazione, sono stati raccolti 35.720 dati clinici.

La pressione sistolica si è ridotta nel 69% dei pazienti, quella diastolica nel 62,5%. Il valore medio della pressione sistolica è sceso da 137,8 a 130,2 mmHG (p<0,0002) mentre il valore medio della presione diastolica è sceso da 80,5 a 76 mmHg (p<0,0002). Il valore medio delle pulsazioni è sceso nel 50% dei pazienti da 69,4 bpm a 68,8 bpm (p<0,0046).

Il monitoraggio ha generato 58 interventi clinici: 11 visite al Centro di Nefrologia e 47 chiamate ai pazienti. In 35 casi si è intervenuti cambiando la terapia farmacologica dei pazienti (nel’80% si è trattato della terapia per l’ipertensione).

Gli accessi al Pronto Soccorso dei pazienti in programma sono diminuiti rispetto al periodo standard care del 29%.

L’SF-12 ha mostrato in tutti i pazienti un miglioramento dello stato di salute percepito.

Conclusioni Doctor Plus® Nephro si è dimostrato un utile strumento che può migliorare la gestione clinica dei pazienti, con conseguente diminuzione degli accessi al Pronto Soccorso. I pazienti hanno rilevato un costante e crescente senso di “cura” generando una maggiore accettazione nel tempo del loro trattamento domiciliare.

Utilità della valutazione della pressione intraperitoneale nello studio della perdita di ultrafiltrazione. Casi Clinici Antonino Previti (1), Umberto Savi (2) (1) UOC Nefrologia e Dialisi, Ospedale Alto Vicentino, Santorso, AULSS 7 PEDEMONTANA, Italia; (2) UOC Nefrologia e Dialisi, Ospedale San Martino, Belluno, AULSS 1 DOLOMITI, Italia.

Introduzione: la perdita di ultrafiltrazione peritoneale (UF) è una delle principali cause di drop out dalla metodica. (1) A seguito di episodi peritonitici, tanto nella fase acuta quanto successivamente nonostante la loro completa risoluzione, si può assistere ad una perdita di UF mediata da fattori proinfiammatori e profibrotici. (2) (3) Riportiamo qui il caso di un paziente in trattamento dialitico peritoneale automatizzato (APD) con perdita di UF.

Caso Clinico: paziente di 69 anni, affetto da nefropatia cronica di grado severo già al momento della diagnosi, ipertensione arteriosa e policitemia vera JAK-2 positiva. Nel marzo 2016 avviato ad APD. In maggio 2018 ricoverato per un quadro flogistico polmonare ipossiemico con associato sovraccarico idrico (peso 92,5 Kg) ed inadeguata ultrafiltrazione (<100 ml/die). Modificato lo schema dialitico prima con l’aumento di tonicità del glucosio, poi con l’aggiunta di un sosta diurna di circa 13 ore con 1500 mL di Icodestrina (ICO). In modo inatteso anche la sosta diurna non ha permesso di ottenere i target UF desiderati, al contrario si assisteva ad un parziale riassorbimento dell’ICO (drenaggio medio 1468 mL). E’ stata quindi misurata la pressione intraperitoneale (carico 2000 mL, IPP 19 cmH2O), elemento che ha imposto una riduzione dei volumi di carico del programma APD (da 2400 a 1500 ml) ed un daytime dry per minimizzare l’impatto del riassorbimento linfatico sul trattamento. Tali rettifiche hanno permesso di ottenere un UF giornaliera media >600 mL ed un miglioramento dello stato volemico (peso 89,1 Kg, bioimpedenziometria +0,4 L). La valutazione del paziente è stata successivamente completata con peritoneal equilibrium test 3,86% (PET-3,86%)(Tabella I).

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Discussione: nel caso da noi descritto, la perdita di UF rilevata è stata empiricamente attribuita ad una trasformazione della membrana verso lo stato di alto trasportatore (Ultrafiltration Failure type I), (4) la più comune fra le cause di deficit dell’ultrafiltrazione. Lo studio completo della membrana peritoneale con PET-3,86% e con valutazione della pressione intraperitoneale (5) ha però sconfessato tale ipotesi. I dati collezionai hanno orientato verso l’ipotesi di un alto riassorbimento linfatico (Ultrafiltration Failure type IV) in una cavità addominale a volume probabilmente ridotto da adesioni secondarie a pregresso evento flogistico peritonitico. In conclusione, come già enfatizzato in letteratura, (6) per la sua semplicità d’esecuzione la rilevazione della pressione intraperitoneale merita di essere eseguita tanto a completamento dello studio della membrana peritoneale quanto in previsione di una modifica dei volumi di carico intra-addominale.

IL TRATTAMENTO DIALITICO DOMICILIARE E’ MAGGIORMENTE LIMITATO DA CAUSE “NON CLINICHE” RISPETTO A QUELLE “CLINICHE” Predialisi-Scelta dialitica Farsetti S (1), Giuntini G (2), Mencherini A (1), Grazi F (3), Mura C (4), Traversari L (5), Sidoti A (6), Bernabini G (2), Conti P (1) UU.OO. Nefrologia e Dialisi di Arezzo (1), Grosseto (2), Montepulciano (3), Montevarchi (4), Massa Marittima (5), Poggibonsi (6); Azienda USL Toscana SudEst Introduzione

La percentuale di pazienti che al momento di iniziare la dialisi cronica sono avviati ad un trattamento dialitico domiciliare risulta essere nettamente inferiore a quella dei pazienti che invece iniziano l’emodialisi ospedaliera.

Questo viene motivato anche dalla presenza di “controindicazioni” che possono essere legate a cause cliniche, individuali o familiari/sociali.

Recentemente l’Azienda USL Toscana SudEst è risultata dalla “fusione” delle tre Aziende Provinciali di Arezzo, Siena e Grosseto, costituendo un Dipartimento di Nefrologia. Uno dei primi comportamenti condivisi adottati è stato quello di ribadire che, di fronte al paziente che deve iniziare la dialisi cronica, il Nefrologo si proponga sempre, prima di tutto, di offrire la dialisi domiciliare. Se questa non può essere effettuata è stata predisposta una scheda con la quale si descrivono le cause di questa ineleggibilità.

Materiali e metodi

Negli anni 2017 e 2018 sono state compilate, dai Nefrologi delle 6 Strutture della USL, le schede di ineleggibilità al trattamento dialitico domiciliare. La scheda è stata compilata quando un paziente ha iniziato terapia emodialitica ospedaliera cronica. La scheda prevedeva l’individuazione delle cause che hanno determinato la ineleggibilità, all’interno di un elenco che le ha suddivise in tre grandi gruppi: cause cliniche, cause individuali e cause familiari/sociali. Per ogni scheda/paziente potevano essere individuate anche più motivazioni.

Al termine del periodo di osservazione dei due anni sono state analizzate le cause che hanno determinato la ineleggibilità dei pazienti per l’esecuzione della dialisi domiciliare.

Risultati

Sono state analizzate 205 schede, di pazienti incidenti in emodialisi ospedaliera nel 2017 e nel 2018.

La maggiore motivazione singola che determina la ineleggibilita’ e’ risultata “l’assenza di motivazione personale” (36.1%) seguita dalla “scarsa compliance” (26,3%) e dal “assenza di un caregiver” (26,3%) (fig.1).

La sola causa clinica che, in assenza di motivazioni degli altri due gruppi, non ha permesso la dialisi domiciliare e’ stata individuata solo nel 26,3% dei casi. Questo significa che nel 73,7% dei casi di ineleggibilita’, questa e’ stata determinata da cause individuali e/o familiari/sociali (fig.2).

Conclusioni

In questa valutazione policentrica, eseguita in sei Strutture Dialitiche, le cause “cliniche” che, da sole, hanno impedito l’avvio di una dialisi cronica domiciliare, dovendo fare ricorso a quella ospedaliera, sono state presenti solo nel 26.3% (circa 1/4) dei pazienti incidenti avviati alla terapia extracorporea ospedaliera. Nei restanti 3/4 della casistica l’impedimento ad un trattamento domiciliare ha riconosciuto una o più cause “individuali” e/o “familiari/sociali”.

Le cause non cliniche rappresentano quindi il maggior impedimento all’avvio della dialisi domiciliare.

PD FIRST CHOICE? NON CONVENTIONAL USE OF APD: CASE REPORT Casi Clinici G.Leonardi (1), B. Di Renzo (1), A. Flores (1), A. Montanaro (1), P. Covella (1), A. Spinelli (1), C. Balestra (1), P.Schiavone (1), A. De Giorgi (1), A. Mariotti (1), L.Vernaglione (1) UOC Nefrologia e Dialisi – Ospedale “A.Perrino” Brindisi  

INTRODUZIONE:

La dialisi peritoneale (DP) dovrebbe essere idealmente considerata la terapia renale sostitutiva (RRT) da preferire in prima istanza, per i suoi vantaggi che includono una migliore qualità di vita (QoL), un minor costo e la possibilità di poter essere eseguita domiciliarmente [1]. Ad oggi in numerosi paesi europei e mondiali la dialisi extracorporea (HD) continua ad essere  considerata  da alcuni nefrologi più semplice e più efficace (2).

Presentiamo un caso clinico di una paziente affetta da mieloma multiplo e con plurime comorbilità in cui lo switch emodialisi-dialisi peritoneale ha consentito un efficace miglioramento delle condizioni cliniche e della qualità di vita, anche in occasione di trapianto autologo di cellule staminali.

CASO CLINICO:

GL, 57 anni, accede al PS dell’Ospedale “Perrino” di Brindisi per comparsa di iperpiressia, astenia ed epigastralgia dopo abuso di FANS. Dall’anamnesi la paziente, sino ad allora normofunzione renale, riferiva un pregresso K mammario trattato con quadrantectomia,HRT e chemioterapia. Gli esami ematochimici evidenziavano anemia (hb: 7,5 g/dl), piastrinopenia(125.000) iperazotemia (280 mg/dl) ed insufficienza renale acuta (crs: 9,0 mg/dl) con iposodiemia ( 134 mmol/l) per cui si ricoverava presso l’UOC di Nefrologia.

All’ecografia bedside i reni erano globosi, con iperecogenicità della corticolare e con buone resistenze all’ECD. Il quadro autoanticorpale era negativo: la proteinuria era di circa 2 g/die con ipoalbuminemia ed ipergammaglobulinemia al QPS. Nonostante la terapia idrante, la paziente presentava continue anemizzazioni ed AKI non responsiva  a terapia medica

Si eseguiva quindi biopsia renale che evidenziava una light chain cast nephropathy e BOM con diagnosi di mieloma multiplo micromolecolare; avviava pertanto 3  cicli  di velcade, desametasone e talidomide e, successivamente, terapia emodialitica.

Poco dopo l’avvio di quest’ultima si assisteva ad una contrazione importante della diuresi (0 -50 ml/24 ore) ed un grave peggioramento delle condizioni generali. Di concerto con la paziente si effettuava uno shift emodialisi – dialisi peritoneale dapprima in CAPD e poi in APD ottenendo una soddisfacente ripresa della diuresi (1200 ml/24 ore) e dell’equilibrio metabolico. La paziente si ricoverava quindi presso l’UO di Ematologia per sottoporsi, previa terapia ablativa, a trapianto autologo di cellule staminali.  Anche in tale occasione si è proseguita la DP ed il trapianto è stato eseguito senza complicanze,.

CONCLUSIONI:

Nel periodo di follow up non si sono rilevate complicanze infettive ne di altra natura, nonostante le plurime comorbilità ed il pattern ematologico includente immunosoppressione, aplasia midollare e trapianto autologo di cellule staminali. (follow up: 5 anni) .E’ stato altresì avviato l’iter per l’inserimento in lista trapianto di rene.

Il paradigma “PD first choice” può essere considerato valevole anche in quadri clinici complessi con plurime patologie. Sono tuttavia necessari ulteriori studi includenti popolazioni di pazienti con  caratteristiche simili al caso presentato.

Caso clinico: la Dialisi Peritoneale nei Pazienti Cardiopatici Portatori di LVAD Casi Clinici Isabella Squarzoni (1), Francesco Onorati (2), Giampaolo Trentini (3), Vincenzo De Biase (1), Alessia Gambaro (4), Giovanni Gambaro (1) (1) Nefrologia e Dialisi dU AOUI Verona, (2) Cardioghirurgia AOUI Verona, (3) Chirurgia Generale ed Endoscopia d’Urgenza AOUI Verona, (4) Cardiologia AOUI Verona.

INTRODUZIONE Nei pazienti con scompenso cardiaco refrattario, i dispositivi di assistenza ventricolare sinistra impiantabili (LVAD) migliorano la sopravvivenza e la qualità della vita. Essi sono usati come “bridge to transplant therapy” o come “destination therapy”. Nei pazienti portatori di LVAD con necessità di trattamento sostitutivo della funzione renale, dovendo mantenerne la stabilità emodinamica per il buon funzionamento del device cardiaco, la dialisi peritoneale (DP) potrebbe costituire una valida opzione in ragione della natura continua dell’ultrafiltrazione e della maggiore conservazione della funzione renale residua. Una preoccupazione in questi pazienti, così come anche nei portatori di CVC per emodialisi, è il rischio infettivo. Pochi sono i casi descritti in Letteratura di pazienti con LVAD in dialisi peritoneale.

CASO CLINICO Paziente caucasico di 55 anni affetto da cardiopatia ipocinetico-dilatativa ad eziologia ischemica ed esotossica con FE gravemente ridotta ed CKD V stadio ADPKD. Trapianto cuore-rene non fattibile con indicazione ad impianto di LVAD come “destination therapy”. Come terapia sostitutiva è stato optato per la dialisi peritoneale manuale dopo l’avvio della quale è stato impiantato LVAD. Al F/U, di 2 anni, la diuresi residua è conservata ed è buona la depurazione dialitica. Non significative problematiche cardiochirurgiche o dialitiche. Due ricoveri per urosepsi in infezione di cisti renale trattati con terapia antibiotica sistemica con beneficio.

CONCLUSIONI Considerando il decorso favorevole del nostro paziente ed i potenziali benefici provati e teorici associati alla PD nei pazienti con LVAD, in primis la maggiore stabilità emodinamica e la conservazione della funzionalità renale residua , concludiamo che la PD dovrebbe essere fortemente considerata nei pazienti con LVAD che richiedono “renal replacement therapy”.

UN CASO DI ASPERGILLOSI POLMONARE IN UN PAZIENTE AFFETTO DA LES IN DIALISI PERITONEALE: LA TERAPIA ANTIFUNGINA ORALE È UNA STRATEGIA VINCENTE? Casi Clinici Stefania Maxia, Marco Nalbone, Gianfranca Cabiddu, Antonello Pani Azienda Ospedaliera Brotzu, Cagliari L’aspergillosi polmonare è una rara patologia causata da alcune specie di Aspergillo, micete ubiquitario in natura, che può determinare infezioni in pazienti immunosoppressi.

Descriviamo il caso di un paziente di 26 anni, affetto da malattia renale cronica secondaria a lupus eritematoso sistemico e sindrome da anticorpi antifosfolipidi, in trattamento dialitico peritoneale.

A novembre 2019 è stato ricoverato per riacutizzazione del lupus eritematoso sistemico, per cui ha praticato terapia con glucocorticoidi endovena.

Nei giorni seguenti, ha presentato un quadro clinico caratterizzato da febbre e dispnea, con lieve insufficienza respiratoria.

Ha effettuato una TAC torace che ha evidenziato la presenza di multiple bilaterali aree di addensamento parenchimale centrolobulare di natura flogistica, alcune delle quali con aspetto a vetro smerigliato periferico.

È stata effettuata una coltura dell’espettorato, risultata positiva per Aspergillo.

Il paziente ha quindi iniziato terapia con Isavuconazolo per via orale.

La TAC torace effettuata dopo due settimane dall’inizio della terapia ha documentato una pressoché totale risoluzione delle aree di addensamento parenchimale polmonare bilaterale, confermata dall’esame eseguito a distanza di cinque settimane.

Vista l’ottima risposta clinica dopo i primi giorni dall’inizio della terapia, confermata dalla negativizzazione dell’espettorato e dalla TAC, ha proseguito terapia con Isavuconazolo per dieci settimane, come consigliato dalle linee guida.

La terapia orale con Isavuconazolo per l’aspergillosi polmonare è risultata un valida opzione terapeutica nonostante lo stato di immunosoppressione del paziente, legata alla patologia di base e alla terapia con glucocorticoidi.

PERITONITI IN DIALISI PERITONEALE: CONFRONTO TRA METODICA MANUALE E AUTOMATIZZATA. Peritonite-EPS Valerio Vizzardi1, Massimo Sandrini1, Bianca Maria Arnone2, Alessandra Pola1, Vincenzo Terlizzi1, Mattia Tonoli2, Marianna Moscato2, Francesco Scolari1,2. 1UOC di Nefrologia, ASST-Spedali Civili di Brescia. 2Scuola di Specializzazione in Nefrologia, Università degli Studi di Brescia. INTRODUZIONE. La dialisi peritoneale (DP) è definita una metodica “a termine” poiché caratterizzata da un elevato drop-out verso l’emodialisi. La peritonite è causa del 5% dei decessi e del 20% dei fallimenti tecnici nei pazienti in DP, è associata ad un aumento della mortalità e della morbilità e provoca alterazioni strutturali e funzionali della membrana peritoneale.

PAZIENTI E METODI. Studio monocentrico sui pazienti incidenti in DP dal 1/01/2008 al 31/12/2019, in trattamento dialitico da almeno 2 mesi. E’ stata misurata l’incidenza di peritoniti nei pazienti incidenti in DP, confrontati i tassi di sopravvivenza tra DP manuale (CAPD, a dose piena e incrementale) e automatizzata (APD, a dose piena e incrementale) e considerata l’eventuale influenza di tali metodiche nell’insorgenza delle peritoniti.

RISULTATI. Dei 317 pazienti considerati, 23 (7.2%) sono stati sottoposti a CAPD a dose piena, 121 (38.2%) a dose incrementale (1-2 scambi/die), 162 (51.1%) ad APD a dose piena e 11 (3.5%) pazienti a dose incrementale (3-4 sedute/settimana). In CAPD la durata mediana del trattamento era 22.7 mesi (IQR 10-34), in APD 15.8 mesi (IQR 8-31), con una differenza non statisticamente significativa tra le due metodiche. L’età media di inizio della CAPD era 66±14 anni, della APD 67±17 anni (p=NS). In totale si sono verificati 221 episodi di peritonite in 150 pazienti: in CAPD 63 (28%) episodi, in APD 158 (72%). Il confronto tra le esposizioni nelle due popolazioni mostra una prevalenza statisticamente significativa per la peritonite in APD (p <0.02) ma il tempo intercorso tra l’inizio della metodica dialitica e il primo episodio di peritonite non ha mostrato differenze significative (p=0.66) (Fig. 1). Complessivamente si è resa evidente la maggiore incidenza dei batteri Gram positivi quale causa di peritonite (42%) ma nel confronto tra le due metodiche non sono state riscontrate differenze statisticamente significative tra peritoniti causate da Gram positivi, Gram negativi, miceti e micobatteri. Si sono riscontrati 51 (23%) episodi di peritonite con coltura negativa, 40 (78%) in APD e 11 (22%) in CAPD, con una prevalenza statisticamente significativa per APD (p <0.01). Le curve di sopravvivenza dei pazienti (p=0.20) e della metodica (p=0.46) non erano statisticamente significative né tra a dose piena né a dose incrementale.

CONCLUSIONI. La dialisi peritoneale è una valida alternativa all’emodialisi. Nel nostro studio la peritonite si conferma la complicanza infettiva più frequente e la principale causa di drop-out della metodica, anche se in progressiva riduzione negli anni. Tra le metodiche manuale e automatizzata non vi erano differenze significative dall’inizio della dialisi al primo episodio di peritonite. Complessivamente questi dati indicano un corretto utilizzo della DP nel nostro Centro. Tuttavia, è necessario un costante e attento monitoraggio delle potenziali complicanze per mettere in atto tutte le possibili strategie di miglioramento.

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La Dialisi peritoneale in Toscana: oltre il dato epidemiologico Epidemiologia-Valutazione clinica Claudia Del Corso (1), Gian Marco Caselli (2) per il Gruppo Medico Infermieristico Toscano di DP (MITO-DP) (1) SOS. Nefrologia e Dialisi Osp. SS Cosma e Damiano, Pescia (PT); (2) SOC. Nefrologia e Dialisi Firenze 1 e Empoli, Osp S.Giovanni di Dio, Firenze Abbiamo raccolto i dati epidemiologici di 16 centri (su 18 totali) che effettuano la dialisi peritoneale (DP) in Toscana con l’obiettivo di valutarne l’andamento nel corso del 2018.
Contestualmente ad una profonda riorganizzazione della Regione Toscana con la formazione di 3 Aziende Sanitarie   (Toscana Centro; Toscana Nord-ovest; Toscana sud-est), abbiamo assistito ad un cambiamento anche nella organizzazione dei singoli centri di dialisi peritoneale. Tale cambiamento ha influito in maniera significativa sia sulla raccolta del dato epidemiologico che sulla penetranza della DP.
Pur con limiti dovuti all’incompletezza dei dati raccolti, abbiamo potuto osservare una tendenza alla riduzione sia dell’incidenza che della prevalenza della DP rispetto ad un’analoga indagine del 2012. L’analisi del drop out evidenzia una sostanziale stabilità della mortalità, un incremento del numero dei pazienti trapiantati ma soprattutto un aumento del flusso dei pazienti in emodialisi. L’interpretazione di questo dato non è univoca ma verosimilmente attribuibile principalmente alla perdita di autonomia del paziente e alla sua maggiore necessità assistenziale. La conseguente riduzione del tempo di permanenza in DP si riflette in maniera evidente sul dato della riduzione di prevalenza dei nostri pazienti.
Peritonite da Sphingomonas paucimobilis: caso clinico con terapia antibiotica (Meropenem e Ciprofloxacina ) esclusivamente IP e revisione della letteratura. Peritonite-EPS Gennaro Argentino1, Andrea Camocardi1, Pota Andrea1, Sagliocca Adelia1, Ciro Paglionico 1 Nefrologia e dialisi dell’“Ospedale del Mare” di Naples, 1 ABSTRACT. Lo Sphingomonas paucimobilis, è un batterio aerobio, non fermentante glucosio, a pigmenti gialli. E’un bacillo Gram-negativo, rara causa di infezione umana normalmente associata ad uno stato di immunosoppressione.
In rari casi è stato associato ad alcuni casi di peritonite in dialisi peritoneale ambulatoriale ed è tristemente noto per la sua resistenza agli antibiotici comunemente utilizzati soprattutto per le terapie empiriche. Nella metà dei casi segnalati finora, la peritonite è stata refrattaria al trattamento, richiedendo la rimozione del catetere per PD.
Descriviamo qui un caso di peritonite da Sphingomonas Paucimobilis in un paziente di 52 anni che aveva intrapreso la PD da circa 4 mesi. Il paziente è stato trattato con successo con antibiotici solo per via intraperitoneale (con Meropenem e Ciprofloxacina), mantenendo il paziente in automatizzata notturna con schema CCPD per l’intera durata del trattamento della peritonite,cosi dà permettere che sia il catetere che il trattamento (DP) siano stati salvaguardati.
Novità rispetto ai casi trovati fino ad ora in letteratura, l’utilizzo del meropenem esclusivamente per via intraperitoneale; nei casi di successo terapeutico (7/11 pazienti) in cui è stato utilizzato il meropenem, questo è stato utilizzato solo per via endovenosa in associazione ad altri antibiotici per via intraperitoneale.
Peritoniti recidivanti in paziente in APD Peritonite-EPS Vincenzo Cosentini, Linda Gammaro, Alessandro Petrolino Nefrologia e Dialisi San Bonifacio (Vr) Riportiamo il caso clinico di un paziente maschio di 60 anni, di razza caucasica, con malattia renale cronica ed un’anamnesi caratterizzata da ipertensione arteriosa in terapia da circa 20 anni, in probabile nefroangiosclerosi. In aprile 2017 aveva eseguito la prima visita nefrologica con riscontro di proteinuria di 1.8 gr ed ANA positivo. Non era stato possibile eseguire una biopsia renale per la presenza di una grossa cisti al polo inferiore del rene sx. Il 30 ottobre 2018, visto il peggioramento della funzione renale, previo posizionamento di catetere peritoneale inserito venti giorni prima, ha iniziato la dialisi peritoneale automatizzata (APD). In marzo 2019 era stato riposizionato in videolaparoscopia il catetere peritoneale per malfunzionamento dello stesso. Nel luglio 2019 primo episodio di peritonite da Stenotrophomonas Maltophilia trattata con medicalizzazione delle sacche con ceftazidime e passaggio a terapia peritoneale manuale (CAPD); il paziente aveva una piscina privata fuoriterra a domicilio e, ritenendo potesse essere il pabulum per l’infezione, abbiamo chiesto di fare controlli colturali nell’acqua e di non fare nel frattempo il bagno; successivamente tra il luglio ed il settembre 2019 ha riportato altri tre episodi di peritonite tutti da germi diversi: Pseudomonas Aeruginosa trattata con ceftazidima e sulfametoxazolo+trimetropim, Acinetobacter Baumannii trattata con ciprofloxacina ed Achromobacter Xylosoxidans trattata nuovamente con ceftazidima. Nessun germe era stato riscontrato nell’acqua della piscina privata. A fine settembre 2019 ricovero per importante addominalgia, iperpiressia con emocolture positive allo Streptococcus Mitis. Siamo stati costretti a rimuovere definitivamente il catetere peritoneale ed il paziente è stato passato ad emodialisi, prima in ospedale e poi in emodialisi domiciliare con buoni risultati; dopo un mese di emodialisi domiciliare, a fine novembre 2019, è stato sottoposto a trapianto di rene da donatore cadavere. width=
Il cuff-shaving come trattamento conservativo delle infezioni refrattarie dell’exit-site e del tunnel Catetere peritoneale Musone D(1), Treglia A(1), Nicosia V(1), D’Alessandro R(1), Viola V(2), Amoroso F(1). (1)UOC Nefrologia e Dialisi PO Dono Svizzero, Formia (LT), (2)UOC Chirurgia Generale PO Dono Svizzero, Formia (LT) Premessa

Le infezioni catetere correlate dell’exit-site o del tunnel sottocutaneo (ESI-TI) sono in dialisi peritoneale (DP) il principale fattore di rischio per le peritoniti; l’adeguato trattamento di queste complicanze è quindi un obiettivo prioritario. Le ESI-TI refrattarie in particolare pongono il problema del salvataggio o della rimozione del catetere stesso. Le linee guida ISPD (1) suggeriscono in questi casi la rimozione e il reimpianto simultaneo di un nuovo catetere. Esistono però numerose osservazioni in letteratura di procedure più conservative: esternalizzazione del tratto sottocutaneo del catetere con nuovo tunnel e ES con o senza rimozione della cuffia; con o senza resezione di pelle e tessuti sovrastanti (2, 3, 4, 5) che ne suggeriscono l’utilità nel salvataggio del catetere. Il limite di queste procedure è il descritto aumentato rischio di peritonite (6).

Metodi

Nel corso dell’anno 2017 sei pazienti con ESI-TI refrattarie sono stati sottoposti a intervento di esternalizzazione del catetere con rimozione della cuffia esterna e allestimento di nuovo tunnel sottocutaneo e nuovo ES. L’eziologia è stata: MRSA (83.3%, 5/6), St. hominis (16.7%, 1/7). Coma da prassi nel nostro Centro tutti i pazienti con ESI-TI sono sottoposti a monitoraggio ecografico del tunnel. In 2/6 pazienti era documentabile tramite fistoloso tra la raccolta ipoecogena peri-cuffia e la cute. L’intervento in tutti i casi è consistito nella incisione della cute sovrastante la cuffia, esternalizzazione del tratto sottocutaneo del catetere, rimozione della cuffia, rimozione del tessuto infetto con bisturi elettrico, nei due casi con tramite fistoloso rimozione di losanga di cute corrispondente, creazione di nuovo tunnel sottocutaneo, allestimento di nuovo ES. L’intervento era eseguito in due tempi: una prima parte “sporca”, una seconda parte svolta dopo sostituzione dei guanti e con l’utilizzo di nuova trousse di strumenti. La cuffia veniva rimossa senza l’utilizzo di ferri chirurgici o bisturi che implicano il rischio di lesionare il catetere ma imbevendola di esano che risulta molto efficace come solvente del collante che la fissa al catetere.

Risultati

L’intervento ha risolto la ESI-TI refrattaria in 5/6 pazienti (83.3%), 1/6 (16,7%), eziologia MRSA, ha presentato una condizione di non guarigione dell’infezione con peritonite consensuale e conseguente rimozione del catetere nel post-operatorio. Nel periodo di osservazione di 6.1 ± 4.3 mesi l’incidenza di ESI-TI nei pazienti sottoposti ad intervento è stata 0.34 episodi/pazienti/anno; nella popolazione generale 0.3 episodi/pazienti/anno. Al test del ᵪ2 la differenza statistica tra le due popolazioni non è risultata significativa (p = 0.9).

Conclusioni

L’intervento di rimozione della cuffia esterna come descritto risulta a nostro avviso una procedura da considerare nei pazienti con ESI-TI refrattarie risultando efficace nel “salvare il catetere” senza aumenti significativi del rischio di infezione catetere correlate.

IDROTORACE IN DIALISI PERITONEALE : DUE CASE REPORTS A CONFRONTO Casi Clinici D’AMICO M.,MEZZATESTA G. UOC NEFROLOGIA E DIALISI P.O. S. ANTONIO ABATE TRAPANI L’idrotorace è una rara complicanza della dialisi peritoneale dovuta a una comunicazione peritoneo diaframmatica. Descriviamo due casi clinici di idrotorace che abbiamo riscontrato nei pazienti in dialisi peritoneale afferenti al nostro Centro.
Il primo caso è quello di una donna di 58 anni, affetta di insufficienza renale cronica v stadio secondaria sindrome di Alport che aveva iniziato dialisi peritoneale nell’ Aprile 2009 con metodica CAPD . Nell’Agosto dello stesso anno a seguito di comparsa di dispnea e riduzione dell’ultrafiltrato eseguiva Rx torace che evidenziava la comparsa di versamento pleurico destro.
L’esame chimico fisico del liquido pleurico dopo toracentesi metteva in evidenza elevate concentrazioni di glucosio e veniva posta diagnosi di idrotorace. Pertanto veniva sospesa la dialisi peritoneale ed iniziata dopo posizionamento di CVC in vena centrale, trattamento emodialitico. Dopo sette settimane dalla sospensione, la paziente riprendeva la dialisi peritoneale senza avere recidive di idrotorace. Si tratta in questo caso di una risoluzione spontanea dell’idrotorace .
Il secondo caso clinico riguarda una ragazza di 35 anni, obesa, affetta da insufficienza renale cronica ad eziologia sconosciuta che era stata sottoposta a dialisi peritoneale con modalità di APD notturna.Dopo due mesi dall’inizio della DP riscontro di idrotorace dx . In questo caso la paziente ha rifiutato di sottoporsi a talcaggio pleurico e ha preferito sospendere dialisi peritoneale ed iniziare emodialisi.
Un nuovo approccio alla dialisi peritoneale: la Dialisi Peritoneale Domiciliare Integrata (PDI). Primi risultati di una esperienza pilota. Miscellanea S.Caria, K.Cannas S.C.Territoriale di Nefrologia e Dialisi Introduzione: Da più di 30 anni la dialisi peritoneale rappresenta per i pazienti una valida alternativa al trattamento emodialitico. Le caratteristiche dei pazienti si sono modificate per: aumento dell’età media, aumento dei fattori co-morbidi. Una valida risposta a questi cambiamenti può derivare da un percorso integrato di “deospedalizzazione” particolarmente adatto al trattamento dialitico peritoneale domiciliare. Nella S.C. Territoriale della ASL 8 Cagliari nel 2013 si è deciso l’avvio di un programma di PDI offrendo una diversa opzione di trattamento. Scopo: Abbiamo voluto valutare i risultati sociali, familiari, qualità della vita, clinici e mortalità nei pazienti inseriti in DPI nella quale l’intero percorso deve essere iniziato e concluso, dopo il posizionamento del catetere peritoneale, esclusivamente al domicilio del paziente. Materiali e metodi: la DPI si articola nel seguente modo: istituzione di un team Medico-Infermieristico motivato e formato presso un centro di eccellenza, stesura di un protocollo condiviso multitasking dal reclutamento all’autonomia del paziente; posizionamento dei cateteri peritoneali in “open” e nei casi più complessi in video laparoscopia interventistica. La gestione infermieristica assume un ruolo importante: ispezione e rilascio di una certificazione di idoneità del domicilio del paziente, addestramento a domicilio per circa una settimana fino alla completa autonomia, visite mensili presso il centro o presso il domicilio per le opportune verifiche di “buona pratica”. In alcuni pazienti particolari la DPI è stata implementata nel 2017 con l’utilizzo della video-tele-dialisi, con riduzione ulteriore dei tempi di addestramento a casa del paziente e l’inserimento in dialisi peritoneale di pazienti con barriere psicologiche. Dal 13/08/2013 al 31/12/2019 abbiamo inserito in dialisi peritoneale 51 pazienti 25 maschi e 26 femmine (età media: 68 ± 13 anni (40-90 anni) di cui 43 incidenti e 8 prevalenti . 26 pazienti inseriti in CAPD e 25 in APD. A ciascuno di loro veniva calcolato l’indice di Charlson all’ingresso in dialisi per valutare l’indice di mortalità. Risultati L’incidenza di infezioni peritoneali è stata di 4 episodi che non hanno necessitato di ricovero pari a 0,04/episodi/paziente/anno. I giorni di ospedalizzazione correlati alla dialisi peritoneale sono stati 0,3/paziente/anno compresi i giorni successivi al posizionamento del catetere in addome. Drop-out: trapiantati:8; deceduti: 6 pazienti (1 paziente/12,1 mesi),con   indice di Charlson 13; trasferiti ad altra metodica: nessuno. Discussione e conclusioni: La nostra procedura domiciliare integrata ha dimostrato che con una buona organizzazione, personale motivato, training svolto interamente a domicilio, riduzione dei giorni di ricovero e totale domiciliarizzazione, si sono ottenuti risultati sorprendenti in termini di qualità della vita, mortalità, infezioni e complicanze ed oltremodo un notevole contenimento dei costi.
Ascite chilosa indotta da Lercanidipina: case report. Casi Clinici Roggero L. 1, Lacetera R.1, Fabbrini P.1, Vercelloni. P1, Binaggia A.1, Zerega D.1, Pieruzzi F.1, Sinico R.A. 1 1. Dipartimento di Medicina e Chiurgia, Nefrologia, Ospedale San Gerardo di Monza, Università degli Studi di Milano Bicocca, Milano/Monza In letteratura sono stati descritti alcuni casi di ascite chilosa (AC) ad eziologia non infettiva. Nei pazienti in dialisi peritoneale sono stati segnalati casi di AC ad eziologia iatrogena in pazienti in terapia farmacologica con calcio – antagonista. L’utilizzo di calcio – antagonisti è tra le principali cause descritte di liquido peritoneale torbido in assenza di processo infettivo. [1] Tuttavia in letteratura è riportato un solo caso di AC in paziente non ancora in trattamento dialitico. [2] Pertanto descriviamo un caso aneddotico ma significativo.

CASISTICA E METODI: Riportiamo il caso di una paziente di anni 71 affetta da ipertensione arteriosa in terapia con lercanidipina, portatrice di trapianto di rene da donatore vivente, in terapia con inibitore della calcineurina. La paziente ha avuto necessità di avviare il trattamento dialitico per esaurimento funzionale del graft. Durante l’intervento di posizionamento del catetere peritoneale Tenchkoff è stato individuato del liquido lattescente che ha posto sospetto di peritonismo spontaneo.

RISULTATI: Abbiamo escluso la peritonite infettiva non essendo presenti almeno due delle condizioni necessarie per porre diagnosi. [3] Gli esami colturali e la conta leucocitaria su liquido peritoneale sono risultati negativi e la paziente non presentava un’obiettività addominale compatibile con un quadro di peritonite. Inoltre la Tac addome escludeva lesioni sospette in senso eteroformativo o secondarismi. Nel sospetto di ascite asettica, la lercanidipina e il tacrolimus potevano rappresentare una possibile causa del quadro. Il tacrolimus è un farmaco immunosopressore della classe degli inibitori della calcineurina che nel 15-30% dei pazienti può provocare ritenzione di liquidi con ascite, edema o versamento pleurico. [4] Tuttavia decidevamo di sospendere, inizialmente, la lecarnidipina e assistevamo alla completa risoluzione del quadro clinico nelle 24 ore successive.

CONCLUSIONI: Nonostante siano rari i casi descritti in letteratura, in presenza di liquido torbido è di fondamentale importanza considerare l’eziologia iatrogena, evitando, quindi, l’utilizzo di trattamenti antibiotici inopportuni. L’ effetto collaterale più conosciuto dei calcio – antagonisti è l’edema periferico, conseguenza dose dipendente della vasodilatazione arteriosa e venosa, mentre, un effetto più raro può essere l’insorgenza di chiloperitoneo. Il meccanismo alla base dello sviluppo del chiloperitoneo è presumibilmente conseguente a una compromissione delle funzioni linfatiche, in particolare nello smaltimento dei trigliceridi. [5]  Nel caso riportato la rapida risoluzione dopo sospensione della lercanidipina suggerisce una chiara associazione con tale farmaco; inoltre, è da sottolineare, differentemente da quanto descritto in precedenza, che il liquido torbido è stato riscontrato antecedentemente al posizionamento del catetere a indicare ulteriormente la stretta correlazione con il farmaco, indipendente, quindi, dalla metodica dialitica. Pertanto la presenza di AC indotta da calcio – antagonista non deve rappresentare, in questi pazienti, una controindicazione al posizionamento del catetere peritoneale.

ANALISI RETROSPETTIVA DEL FLUSSO DI PAZIENTI INCIDENTI A TRATTAMENTO SOSTITUTIVO (TS) IN DODICI MESI PRESSO 7 CENTRI DIALISI PUGLIESI MEDIANTE L’UTILIZZO DEL PATIENT FLOW ANALYSIS (PFA): STRATEGIE DI IMPLEMENTAZIONE E NUOVI RISULTATI. Predialisi-Scelta dialitica S. Porreca(1), P. Angelini (2), P. Gallo(3), M. Giannetto (4), V. Martella(5), N. Santese(6), L.Tartaglia (7) and R.Russo(3) (1)U.O.S.V.D. di Nefrologia e Dialisi – P.O. “F.Perinei” – Altamura – ASL Bari (2)U.O.C. di Nefrologia e Dialisi, P.O. Di Venere, ASL Bari (3)U.O.C. di Nefrologia e Dialisi, Policlinico di Bari, Bari (4)U.O.C. di Nefrologia e Dialisi, P.O. di Barletta, ASL BAT. (5)U.O.C. di Nefrologia e Dialisi, P.O. V.Fazi, ASL Lecce. (6)U.O.C. di Nefrologia e Dialisi, P.O. SS Annunziata, ASL Taranto.(7)U.O.C. di Nefrologia e Dialisi, Ospedali Riuniti di Foggia. E’ noto come la terapia dialitica domiciliare, dopo il trapianto pre-emptive (TPE) da vivente, sia la scelta terapeutica migliore per il paziente (pz) con MRC. Tra i fattori che condizionano la scelta del TS da parte del pz, l’attuazione di un percorso strutturato di predialisi ha, da solo, un ruolo significativo ed indipendente.

Scopo del presente studio è stato quello di analizzare retrospettivamente, dal 01/01/2018 al 31/12/2018, la scelta del TS di 213 pz affetti da MRC terminale (early/late referral), incidenti in 7 centri nefrologici pugliesi, mediante l’utilizzo di un database denominato PFA individuando eventuali problematiche (organizzative, gestionali, di risorse effettive) e verificando se, dopo l’applicazione di nuovi modelli gestionali, si implementassero i processi operativi strutturati quali la preparazione programmata degli accessi alla dialisi (catetere peritoneale, FAV e CVC definitivo) o la scelta del TPE.

Il 94,8% dei pz (202) è stato avviato a TS, 9 pz ( 4,7%) hanno ricevuto un TPE e 2 pz (0,5%) hanno scelto la terapia conservativa.

Dei 106 pz early referral avviati a TS il 91,5% aveva avuto un accesso dialitico programmato con una percentuale del 29,9% di pz che sceglieva la DP. Tuttavia il 15,5% degli accessi programmati era costituito da un CVC temporaneo, indice di probabili gap strutturali ed organizzativi, oggetto di potenziali interventi. Interessante notare che anche tra i late-referral, dove gli accessi programmati scendevano al 41,7%, 10 pz (25%) sceglievano il trattamento domiciliare di DP, e per 1 pz (1,8%) la scelta del posizionamento del catetere peritoneale (CP) era avvenuta in urgenza, ribadendo l’importanza di modelli operativi-gestionali organizzati (team dedicati, coordinamento sale operatorie). Cinque pz late-referral avviati ad ED erano poi passati a DP, a riprova della rilevanza della mancata informazione pre-dialitica. Dopo 12 mesi di osservazione l’incidenza complessiva della DP era stata del 18,8% (40 pz).

Dal confronto dei dati estrapolati di un centro con quelli raccolti dal 01/01/2019 al 31/12/2019, dopo adozione di interventi di ottimizzazione (un ambulatorio di predialisi strutturato con un team medici/infermieri dedicato, campagne di informazione sulla prevenzione della MRC e accesso alle cure, etc..), si è osservato un incremento complessivo del numero degli early referral (65%,  Δ+8,3%) tra gli incidenti totali e dei pz che sceglievano la DP ( 22,2%; Δ+ 55,2%)  ), con un inizio programmato complessivo per il 100% dei pz, ed una incidenza complessiva in DP al termine dei 12 mesi del 27,8% (Δ+ 47,8%). Nessuna variazione nella incidenza di trapianti pre-emptive. In conclusione, l’utilizzo di strumenti metodologici che permettano la mappatura del flusso di pz incidenti a TS in un centro, l’analisi e l’interpretazione dei dati, l’applicazione di nuovi modelli gestionali ed operativi ed il successivo follow up possono rappresentare un valido strumento di supporto per l’implementazione delle terapie domiciliari.

PD-CALABRIA NETWORK: un progetto comune per il futuro della DP Miscellanea A. Mollica*, R. Talarico, A. Greco, T. Papalia, S. Vaccarisi**, V.Pellegrino P. Cianfrone***, S. Alcaro,   I. Figlia, G. Fuiano V. Panuccio****, G. Parlongo, R. Tripepi, E. Politi, F. Mallamaci * UOC Nefrologia e ** UOC Chirurgia Epatobiliare e dei Trapianti – P.O. Annunziata – A.O. Cosenza *** AOU “Mater Domini” Catanzaro – Cattedra di Nefrologia **** UOC Nefrologia – GOM Bianchi-Melacrino-Morelli – Reggio Calabria Il Gruppo di Lavoro PD CALABRIA nasce nel 2016 da una mission comune ed articolata: uniformare le conoscenze, gli obiettivi, le modalità di realizzazione dei programmi dialitici, stimolare il confronto fra specialisti del settore, crescere nel dibattito, favorire una più ampia e consapevole scelta della Dialisi Peritoneale.
Il percorso è stato tracciato e condiviso da un board scientifico di tre Centri calabresi di Dialisi Peritoneale: P.O. Annunziata –A.O. Cosenza, Università Mater Domini di Catanzaro, GOM Bianchi-Melacrino-Morelli   di Reggio Calabria. Diversi i temi trattati in incontri scientifici dedicati: dal Predialisi, all’Adeguatezza dialitica, alla Gestione delle Complicanze in DP, alla Prescrizione dialitica, alla discussione di Casi clinici, alla Malnutrizione, alla Qualità di vita in DP. Elemento comune ad ogni evento è stata la relazione sul Patient Flow Analisys (PFA): cioè un’analisi precisa e dettagliata dei flussi annuali onde poter rivedere criticamente i comportamenti ed individuare nuove modalità di azione.
Ai Convegni scientifici condotti da relatori medici, infermieri, chirurghi, statistico, nutrizionista, psicologa, hanno partecipato i nefrologi di tutti i Centri Dialisi calabresi, nonché gli studenti della Scuola di Specializzazione in Nefrologia di Catanzaro (ormai già da qualche anno attivamente stimolati e curati in tale ambito specialistico), coinvolti tutti in un confronto attento e propulsivo. Punti cardine dell’azione integrata sono: la deospedalizzazione, la domiciliarizzazione delle cure attraverso training mirati e supporto ai caregivers, l’utilizzo di nuove tecniche di telemonitoraggio dei trattamenti, la costituzione di una rete di collaborazione fra i Centri regionali per dare adeguate e puntuali risposte ai pazienti.
PD CALABRIA NETWORK proseguirà in questa mission verso ambiti nuovi di approfondimento in cui l’esperienza consolidata e l’entusiasmo del neofita troveranno una giusta dimensione di integrazione e costruzione.
Prevalenza della peritonite nei pazienti in dialisi peritoneale al Policlinico di Modena Peritonite-EPS Gaetano Alfano (1), Giuseppe Medici (1), Gianni Cappelli (1) Nefrologia, Dialisi e Trapianto, AOU Policlinico di Modena Introduzione

La peritonite è una grave complicanza della dialisi peritoneale e uno dei principali motivi di drop-out dalla metodica.
Le principali cause di peritoniti sono la contaminazione intraluminale durante gli scambi e lo stato di immunodepressione secondario all’ insufficienza renale cronica.
I germi più comunemente coinvolti sono i batteri commensali della cute, quali lo Staphylococcus epidermidis (S.epidermidis) e lo Staphylococcus aureus (S.aureus). Lo scopo di questo studio è valutare retrospettivamente la prevalenza delle peritoniti batteriche nei pazienti in dialisi peritoneale presso il Policlinico di Modena.

Materiali e Metodi
Abbiamo raccolto i dati di tutti i casi di peritonite presso la dialisi peritoneale del Policlinico di Modena dal 01/01/2013 al 31/12/2019.
Tutti i pazienti che iniziano l’addestramento alla dialisi peritoneale sono sottoposti a screening con tampone nasale per la presenza di S. Aureus e trattati con mupirocina in caso di positività. Il protocollo prevede l’ esecuzione del tampone nasale nei pazienti con i sintomi della peritonite.

Risultati

In sei anni sono stati conteggiati 106 episodi di peritonite in 67 pazienti. In 35 casi è stato necessario il ricovero ospedaliero.
Gli isolati microbiologici hanno mostrato 22 casi a colture negative, 82 casi ad etiologia batterica e 2 casi ad etiologia funginea.
Nello specifico, in 37 (34,9%) casi di peritonite sono stati isolati patogeni Gram positivi; i batteri identificati sono risultati: Enterococchi (7,5%), Streptococchi (10,3%), Stafilococchi cougualsi negativi (13,2%) e S. Aureus (2,8%).

I casi di peritonite causati da Gram negativi sono stati 40 (37,7%); i principali patogeni identificati sono stati: Klebsiella sp (11.3%), Pseudomonas sp. (8.4%) ed E. coli.(6.6%).

Lo S.aureus è stato la causa di 3 (2,8%) peritoniti in tre differenti pazienti, tutti in CAPD. In due di essi il tampone nasale è risultato positivo per S.aureus.
Tutti i tamponi  nasale per S.aureus che abbiamo eseguito in concomitanza con la peritonite(62 casi, 58%) sono risultati negativi tranne in tre pazienti: in due pazienti è stato identificato lo S.aureus, nel terzo è stato identificato lo S. epidermidis.

Per quanto riguarda la tecnica di dialisi peritoneale, la peritonite è stata diagnosticata in 46 pazienti in APD e in 21 pazienti in CAPD.
Conclusione:

I nostri dati mostrano una frequenza molto bassa di peritonite da S.aureus. Il successo è stato probabilmente favorito dallo screening del tampone nasale e dal trattamento dello S.aureus .
Abbiamo riscontrato un’incidenza maggiore di peritonite in pazienti in APD rispetto alla CAPD. Questo risultato è in contrasto con la letteratura recente che non mostra differenze significative nei tassi di peritonite tra APD e CAPD.

UN CASO DI PERITONITE SCLEROSANTE INCAPSULANTE DOPO SOSPENSIONE DELLA DIALISI PERITONEALE Peritonite-EPS A. D’Ostilio*, L. Stacchiotti*, A. Perilli*, M. Di Bari*, L. Amoroso** *U.O.S Terapia Emodepurativa P.O. Giulianova; **U.O.C. Nefrologia e Dialisi P.O. Teramo (Italy) La peritonite sclerosante incapsulante (EPS) è complicanza rara ma temibile della dialisi peritoneale (DP) con una incidenza che varia tra lo 0,54% ed il 4,4% e con un alto tasso di mortalità (tra il 24 ed il 54 %). L’eziopatogenesi non è del tutto nota e comunque multifattoriale: predisposizione genetica, età dialitica, utilizzo di soluzioni non biocompatibili, peritoniti infettive, sospensione della dialisi peritoneale. La diagnosi si basa su aspetti clinici, radiologici ed istopatologici. In fase iniziale i sintomi sono rappresentati da dolore addominale, nausea, vomito, anoressia e dimagrimento; negli stadi avanzati ricorrenti episodi occlusivi/subocclusivi. La tomografia computerizzata (TC) è spesso essenziale per la diagnosi di EPS. I reperti radiologici tipici sono le calcificazioni peritoneali, l’ispessimento peritoneale e della parete del piccolo intestino, la dilatazione delle anse intestinali, l’incarceramento dell’intestino e le raccolte di liquido. Il reperto istologico è dirimente nei casi dubbi.

La terapia medica prevede l’utilizzo di steroidi, immunosoppressori (sirolimus ed everolimus) e tamoxifene.

CASO CLINICO

Gli autori descrivono il caso di una paziente di anni 76 affetta da IRC in trattamento con DP dal febbraio 2010 al maggio 2017, successivamente sospesa per volontà della stessa, con passaggio all’emodialisi. Nel gennaio 2018 primo episodio di occlusione intestinale, con riscontro TC di abbondante versamento peritoneale, estroflessioni parieto-diverticolari e parasigmoidee, calcificazioni sulle pareti viscerali. Nel maggio 2018 secondo episodio di subocclusione intestinale risoltosi spontaneamente. Nel sospetto di peritonite sclerosante, la revisione dei vetrini della biopsia peritoneale effettuata in occasione della rimozione del catetere documenta una sclerosi a tutto spessore del peritoneo (oltre 300 micron), con mesotelio presente in alcuni tratti ma assente in altri e con vasi ispessiti. Insieme al quadro clinico e agli aspetti radiologici, il sospetto di EP diventa forte. Si avvia terapia con tamoxifene 20 mg/die, previo screening ginecologico e mammografico. La presenza di esofagite di grado A, ectasie varicose esofagee (paziente non cirrotica), gastrite erosiva e la contemporanea assunzione di coumadin per fibrillazione atriale, ci ha indotto a soprassedere anche all’avvio di terapia steroidea.

 

RISULTATI

Il trattamento con tamoxifene è stato ben tollerato, le condizioni cliniche sono migliorate e la paziente non ha più avuto recidive di fenomeni subocclusivi. A questo punto non sono stati associati farmaci immunosoppressivi.

Dopo un anno la TC addome di controllo ha documentato la scomparsa del versamento endoaddominale. Pertanto si prosegue il trattamento con tamoxifene al dosaggio di 10 mg/die.

 

CONCLUSIONI

Il tempestivo riconoscimento della EPS è di fondamentale importanza clinica poiché l’avvio precoce del trattamento farmacologico può rallentare la progressione della malattia e la comparsa di ulteriori complicanze.

 

DIALISI PERITONEALE IN PAZIENTE CON ITTIOSI X-LINKED Casi Clinici Vizzardi V.1, Sandrini M.1, Terlizzi V.1, Tonoli M.2, Moscato M.2, Scolari F.1,2 1 UOC di Nefrologia, ASST-Spedali Civili di Brescia. 2 Scuola di Specializzazione in Nefrologia, Università di Brescia. RAZIONALE. L’ittiosi recessiva legata all’X (RXLI) è una genodermatosi caratterizzata da ipercheratosi generalizzata e desquamazione cutanea. Interessa esclusivamente il sesso maschile con una prevalenza di 1/2.000-6.000 maschi. E’ un difetto del metabolismo dei lipidi epidermici dovuto a mutazioni nel gene della steroide-solfatasi, STS (Xp22.3). Il deficit di STS comporta un aumento dei livelli di colesterolo solfato CS04, che inibisce le serin-proteasi dell’epidermide che, a loro volta, provocano la riduzione della desquamazione dei corneociti con ipercheratosi da ritenzione. Nel 20% dei casi si osservano manifestazioni extracutanee, raramente possono presentarsi sintomi gravi (anosmia, aplasia renale unilaterale, ipogonadismo), in tal caso l’ittiosi si considera parte di una sindrome (RXLI sindromica).
CASISTICA E METODI. Maschio di 57 anni affetto da ittiosi (Fig. 1) con consanguineità genitoriale (Fig. 2) in dialisi peritoneale dal 26/4/19 per uremia terminale secondaria a GSFS in assenza di quadro malformativo a livello di reni e vie urinarie. In anamnesi: ipogonadismo, ipertensione arteriosa e mielofibrosi post-policitemica. Per uremia terminale il 4/4/19 si posizionava catetere di Tenckhoff retto a 2 cuffie. Dopo l’addestramento si iniziava trattamento dialitico peritoneale NTPD (Cycler Baxter Home Claria®) con 10 lt di soluzione semi-ipertonica, 8 ore, 8 cicli, volume di carico 1600 ml e tidal 70%. Il 17/7/19, a seguito di episodio di scompenso cardiaco con contrazione della diuresi, si impostava nuovo schema dialitico: 15 lt di soluzione semi-ipertonica (8 ore, 8 cicli, volume di carico 1800 ml senza tidal) e unica stasi diurna con icodestrina.
RISULTATI. La corretta igiene personale ed il contesto socio-sanitario sono condizioni fondamentali per prevenire complicanze infettive legate alla metodica dialitica. L’ipercheratosi e la desquamazione cutanea tipiche dell’ittiosi X-linked, potrebbero rendere il paziente non candidabile alla dialisi peritoneale. Inoltre, la patologia determina una particolare “durezza” dell’epidermide che potrebbe rendere difficoltoso il posizionamento ed il buon funzionamento del catetere di Tenckhoff. Nel nostro caso, dopo 10 mesi di dialisi, non abbiamo documentato episodi di peritonite o di infezioni a carico dell’exit-site o del tunnel. Non si sono verificate, inoltre, problematiche di tipo chirurgico nel posizionamento del catetere, né nel suo adeguato funzionamento.
CONCLUSIONI. Nonostante le limitazioni date dal quadro cutaneo, proporre la dialisi peritoneale al nostro paziente è risultato essere una scelta vincente. In assenza di controindicazioni assolute è sempre importante offrire al paziente la possibilità di scegliere tale metodica. width= width=
IMPATTO DELL’ ADDESTRAMENTO SUI RISULTATI DELLA DIALISI PERITONEALE: UNA CASISTICA MONOCENTRICA Peritonite-EPS Federica Ventrella (1), Gian Maria Iadarola (2), Dario Roccatello (2) (1) Scuola di Specializzazione in Nefrologia, Dialisi e Trapianto – Università degli Studi di Torino – Direttore Prof. L. Biancone. (2) SCU Nefrologia e Dialisi (ERK-net member) – CMID, Centro di Ricerca di Nefrologia, Reumatologia e Malattie Rare. Ospedale HUB Giovanni Bosco – Direttore Prof. D. Roccatello

Introduzione La peritonite è una delle principali cause di fallimento della dialisi peritoneale[1].E’ noto come la qualità e la durata dell’addestramento influenzino i risultati della metodica in termini di rischio infettivo [2]. Addestramenti superiori ai 6 giorni sembrano correlati con un minor rischio[3]Materiali e Metodi Analisi osservazionale retrospettiva di 303 pazienti (pz), periodo 1 gennaio 2015 – 31 dicembre 2019. Giorni di esposizione alla DP:86.874. N. episodi di peritonite: 32. Dati ricavati dalla revisione delle cartelle cliniche.Risultati e discussione Presso il Servizio di Dialisi Peritoneale del nostro centro (caratterizzato dall’utilizzo di icodestrina e di soluzioni a bassocontenuto di GDP, la ratio infermieri dedicati/pazienti di 1/10 circa, da un rapporto pz CAPD/APD 60/40%) i pz in DP e i loro caregiver sono addestrati seguendo i criteri del Sillabus ISPD [4] ,ovvero: proporzione uno a uno (un infermiere, sempre lo stesso/un pz), per tutto l’addestramento; insegnamento adeguato alle capacità di apprendimento del pz con metodo VARK (Visual, Aural, Read/Write, Kinesthetic);controllo periodico dell’apprendimento; training quotidiano (1-2 ore), senza soste>2 gg.Addestramenti non inferiori a 15 ore complessive con durata media di circa 1,1 ore a seduta sono correlati con un minor rischio infettivo[5].Nel periodo 1 gennaio 2015 – 31 dicembre 2019 sono stati eseguiti n. 69 addestramenti alla DP(media per anno 13,8).[Tab.1] Non emergono differenze di durata addestramento CAPD vs APD(CAPD 27.76 ± 13.37 gg; APD: 28.54 ± 12.01 gg: p=ns).

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Il censimento GSDP 2016 riporta 0.211 ep./anno peritonite, 1 ep. ogni 56.5 mesi-pz.Il recente studio PDOPPS [3](7 nazioni e 209 centri) mostra un tasso mediano di peritoniti di 0.26 ep./pz/anno con ampia variabilità tra diversi paesi in rapporto a durata addestramento: 0.35-0.40 ep./pz/anno in paesi con durata media < 6 gg; 0.26-0.29 ep./pz/anno quando durata media > 6 gg.  Tra il 2015 e il 2019 il tasso medio di peritoniti c/o l’Ospedale Giovanni Bosco è stato di 0,13 ep./anno o 1 ep. ogni 91,78 mesi /pz,poco più della metà della media in Italia e la metà dei migliori risultati dello studio PDOPPS.Conclusioni Il successo del trattamento della DP dipende dalla capacità del pz di seguire gli insegnamenti forniti e dal ruolo del nursing,titolare delle pratiche di addestramento[6].Oltre alla piena aderenza alle linee guida per quanto riguarda altri fattori che possono influenzare i risultati in termini di infezioni,tra cui la profilassi antibiotica al momento dell’inserzione del catetere peritoneale e quotidiana sull’exit-site in casi selezionati,nella nostra esperienza sembra essere la durata del training, in media più lunga rispetto a quanto riportato dalla letteratura e sempre effettuato a distanza di almeno 14 giorni dall’inserzione del catetere per dialisi peritoneale,a influenzare una minor incidenza di complicanze.

EFFICACIA E TOLLERABILITA’ DEL FERROCARBOSSIMALTOSIO in un gruppo di pazienti del Centro di Dialisi Peritoneale della Fondazione Policlinico Gemelli CKD MBD-Anemia Urciuolo F, D’Alonzo S, Porri MG, Grandaliano G. Fondazione Policlinico Universitario A. Gemelli IRCCS- Roma Introduzione: L’anemia e il deficit marziale, rappresentano comorbilità frequenti nei soggetti con insufficienza renale cronica avanzata, soprattutto se complicata da scompenso cardiaco. Tale condizione è causata da uno stato infiammatorio cronico, responsabile di una riduzione dell’assorbimento e dell’utilizzo di ferro enterico, dal deficit di eritropoietina e da eventuali perdite occulte gastrointestinali. Mentre è nota l’efficacia dell’utilizzo di carbossimaltosio ferrico (CMF) in pazienti affetti da insufficienza renale cronica terminale in emodialisi, al momento non sono presenti studi sul suo utilizzo nei pazienti in dialisi peritoneale.

Metodi: Questo è uno studio osservazionale retrospettivo nel periodo gennaio 2018-gennaio 2020 condotto su 14 pazienti adulti (9M/5F). Tutti i pazienti erano in trattamento di dialisi peritoneale (APD-CAPD) stabile da almeno tre mesi, affetti da anemia (Hb <11 g/dl) e carenza marziale (Tsat <20% e ferritina <300 mg/dl), non responsivi a precedente terapia con ferro gluconato ev. Dodici pazienti erano già in trattamento eritropoietinico, 6 dei 14 pazienti erano affetti da scompenso cardiaco classe NYHA III-IV. Lo schema attuato per ciascuno di essi ha previsto la somministrazione di una singola dose di carbossimaltosio ferrico da 500 mg ev ed una dose successiva a quattro settimane di distanza, monitorando mensilmente i valori di Hb, ferritina e saturazione della transferrina al fine di stabilire successive dosi di mantenimento.

Risultati: Per 5 pazienti si è ottenuta la correzione dell’assetto marziale (Tsat stabilmente >20% e ferritina mediamente triplicata rispetto al valore basata) e non si sono rese necessarie ulteriori somministrazioni di CMF. Per i restanti 9 pazienti, al fine di ottenere i medesimi risultati, sono state sufficienti occasionali dosi di CMF da 100 mg ev (dose  di mantenimento media di 200 mg). In 4 pazienti è stata ridotta la dose complessiva di eritropoietina (riduzione media di 20 mcg/settimana). 3 pazienti hanno presentato sanguinamenti attivi e per 1 di essi si è resa necessaria un’emotrasfusione. In via collaterale in 3 dei 6 pazienti affetti da scompenso cardiaco si è osservato un miglioramento della classe funzionale NYHA da IV a III. Non si sono verificati episodi infettivi acuti e/o peritoniti. Tutte le somministrazioni di CFM ev sono state ben tollerate, senza il riscontro di effetti avversi.

Conclusioni: L’efficacia terapeutica, la possibilità di allungamento dell’intervallo di somministrazione ed il profilo di ottima tollerabilità osservati con l’utilizzo di CMF ev, seppur in un numero limitato di pazienti, potrebbero essere spunto per successivi studi prospettici nei pazienti in dialisi peritoneale.

Ultrafiltrazione peritoneale (UFP) nello scompenso cardiaco cronico: esperienza del Centro di Dialisi Peritoneale della Fondazione Policlinico Gemelli Miscellanea Urciuolo F, Porri MG, D’Alonzo S, Grandaliano G. Fondazione Policlinico Universitario A. Gemelli- IRCCS- Roma Introduzione: L’ UFP può rappresentare una delle opzioni terapeutiche nei pazienti con scompenso cardiaco (SC) avanzato refrattario a terapia diuretica massimale (classe NYHA III-IV, livello INTERMACS 4, stadio D ACC/AHA). L’utilizzo di una tecnica domiciliare semplice, a basso costo e autogestita può rappresentare un reale beneficio anche per la gestione di pazienti fragili con controindicazione, anche temporanea, al trapianto cardiaco e dopo considerazione di rivascolarizzazione percutanea, di eventuali terapie elettrica e chirurgica.

Materiali e Metodi: Nel periodo di osservazione (2011-2019) sono stati trattati presso il nostro centro 12 pazienti (11M/1F) con SC refrattario (classe NYHA IV). Di questi, 7 pazienti con ascite cardiaca refrattaria (scompenso prevalentemente destro) ed eGFR >50 ml/min, avviati a terapia con solo drenaggio peritoneale, 3 pazienti con eGFR 15-50 ml/min trattati con monoscambio notturno di icodestrina e 2 pazienti con eGFR 10-15 ml/min trattati con schema di dialisi peritoneale incrementale. I pazienti sono stati seguiti nel tempo (follow-up semestrale) valutando il compenso emodinamico, lo stato nutrizionale, la classe funzionale NYHA, la frazione di eiezione cardiaca (FE), il tasso di ospedalizzazione, la funzione renale,  l’aspettativa di vita e l’incidenza di peritoniti.

Risultati: Nel primo gruppo di pazienti di età compresa 50-70 anni ed FE <35%, la sopravvivenza media è stata 24,28 mesi (6-63 mesi). Di questi, i 2 pazienti con maggiore sopravvivenza, hanno necessitato nel tempo di un supporto sostitutivo incrementale della funzione renale. Nel secondo gruppo di pazienti di età compresa 70-90 anni, la sopravvivenza media è stata 23,4 mesi (10-66 mesi) con un paziente tutt’ora in trattamento con doppio scambio CAPD. In questi pazienti l’avvio dello schema dialitico incrementale, pur se non necessario per i valori di eGFR, ha permesso una conservazione della funzione renale a lungo termine per miglioramento della performance cardiaca.

Nei controlli a 6 mesi, In entrambi i gruppi abbiamo assistito ad una riduzione media del sovraccarico idrico del 30% fino a dimezzamento dei valori basali (analisi vettoriale di impedenza, decremento medio dei valori di NTproBNP da 6378 a 3951 pg/ml) con miglioramento contestuale dello stato nutrizionale (bioimpedenzometria). Si è evidenziato un incremento dei valori medi di FE (dal 28% al 46%), una sensibile riduzione del tasso di ospedalizzazione e un miglioramento della qualità di vita (questionario SF36). Non si sono verificati episodi di peritoniti.

Conclusioni: Nonostante i limiti di una valutazione retrospettiva su un campione ridotto di pazienti, possiamo sostenere che l’impiego dell’UFP nella terapia dello SC refrattario rappresenta una valida opzione terapeutica anche in assenza di insufficienza renale. Sarebbe auspicabile sempre  una stretta e tempestiva collaborazione tra ambulatorio cardiologico e nefrologico al fine di garantire una gestione condivisa.

Posizionamento laparoscopico di catetere di Tenckhoff: esperienza di 20 anni. Catetere peritoneale Edoardo Segalini (1), Alessandra Brazzoli (2) (1) SC Chirurgia Generale – ASST Crema – CR, (2) SC Nefrologia e Dialisi – ASST Crema – CR

Il successo della dialisi peritoneale, quale terapia sostitutiva della Malattia Renale Cronica, dipende dal corretto posizionamento e dal buon funzionamento del catetere peritoneale. L’esperienza e lo sviluppo di una tecnica chirurgica ottimale può minimizzare il rischio di complicanze e malfunzionamento del catetere, che determinerebbe il fallimento del trattamento dialitico peritoneale. In modo particolare, le due complicanze che possono pregiudicare questo tipo di dialisi sono rappresentate dalle problematiche infettive e meccaniche. La selezione del tipo di catetere e delle tecniche di posizionamento dipendono dalla distribuzione geografica delle risorse e dall’expertise locale dei singoli Centri. Nella nostra Unità Operativa, i primi cateteri di Tenckhoff vennero posizionati con l’approccio laparoscopico, a partire dal 1999, per un numero complessivo ad oggi di 204. Da allora ad oggi, la tecnica laparoscopica è stata affinata e proseguita a cura di un singolo Chirurgo, con la formazione in corso di un secondo Chirurgo generale. Nel periodo compreso tra il 2008 ed il 2018, sono stati presi in analisi 71 pazienti sottoposti ad inserzione di catetere di Tenckhoff e sono state analizzate le complicanze post-chirurgiche a breve termine, ovvero il periodo intercorso tra il posizionamento e l’inizio della D.P.. Nella nostra esperienza, non si sono manifestate complicanze intraoperatorie. Solo 2 i casi di complicanze nel post-operatorio: in un paziente si è verificato un precoce dislocamento del catetere che ha richiesto una revisione laparoscopica per riposizionarlo correttamente, mentre in un altro paziente è stato necessario rimuovere il device per un persistente leakage a distanza di due settimane dall’intervento. Per l’osservazione sul lungo periodo, tempo equivalente all’intera vita del catetere (esposizione della cuffia, dislocazione dell’estremità), si è verificato un solo caso di dislocazione in ipocondrio sinistro la cui estremità è stata riposizionata nel Douglas con la stessa metodica. Il maggior costo iniziale rispetto alla tecnica chirurgica è compensato dal più breve periodo del ricovero (2-3 giorni) e dai tempi ridotti per l’inizio della D.P. e per la ripresa delle attività quotidiane. In conclusione, a nostro avviso, la tecnica laparoscopica rappresenta la scelta per il posizionamento di cateteri di Tenckhoff per elevata percentuale di successo; l’expertise raggiunta nel corso degli anni consente inoltre di attuare un percorso di formazione interdisciplinare (nefrologo-chirurgo) aperta ad una collaborazione con altre Aziende Ospedaliere.

PERITONITI IN DIALISI PERITONEALE: 6 ANNI DI ESPERIENZA Peritonite-EPS M.J. Ceravolo(1) A. R. Rocca(2) (1) Scuola di Specializzazione in Nefrologia, Policlinico Umberto I, Università di Roma Sapienza (2) UOC Nefrologia, Policlinico Umberto I, Università di Roma Sapienza Introduzione

La peritonite (P) rimane la più comune complicanza in dialisi peritoneale (DP) ed è la principale causa di dropout della tecnica. La sua incidenza varia in letteratura essendo influenzata dal disegno degli studi, dalla selezione dei pazienti, dalla variabilità geografica e soprattutto dalla differente formazione del paziente e dai protocolli di prevenzione delle infezioni. Il tasso complessivo della P non dovrebbe essere superiore a 0,5 episodi per anno di rischio per paziente. P gravi e prolungate portano ad alterazioni strutturali e funzionali della membrana peritoneale, determinandone l’esaurimento funzionale e quindi il  fallimento della tecnica e lo shift verso l’emodialisi.

 

Materiale e metodi

Sono stati valutati 62 pazienti (pz) in trattamento sostitutivo presso l’unità di DP del nostro centro da Gennaio 2014 a Dicembre 2019. In tutti i pz la DP è stato il trattamento di prima scelta. Il nostro studio ha valutato l’incidenza delle P correlata alla DP,  gli agenti patogeni, i fattori di rischio e l’outcome dei pz.

 

Risultati e commento

Dei 62 pz (M:F=1:1, età media 61,9 +/- 16,9 anni, 33 in APD e 29 in CAPD), due pz erano affetti da DMII, 14 pz da ADPKD, 6 pz da LES, 20 pz da glomerulonefrite cronica e 20 pz da nefropatia cronica a eziologia sconosciuta. Nel periodo di osservazione, si sono verificati 18 episodi di P in 10 pz (6 pz in CAPD): una P ricorrente in un pz, due ripetute in due pz, tutte le altre isolate. L’incidenza media delle P è stato di 0,12 episodi/anno/pz. L’età dialitica media dei pz che hanno presentato almeno un episodio di P era maggiore di quella degli altri pz (38.5 vs 21.1 mesi). Di questi, 5 pz sono stati shiftati in HD per ridotta Uf e/o depurazione, 3 pz sono stati sottoposti a trapianto renale. In un solo pz il dropout è stato causato da P ricorrente. Gli agenti infettivi più comuni erano i cocchi gram-positivi (77.8%). Non si sono verificate P a coltura negativa (tabella peritoniti). In due casi la contaminazione è stata causata dalla rottura accidentale del set di connessione. In tutti i casi le infezioni sono state trattate con terapia antibiotica intraperitoneale secondo il protocollo del nostro centro. Le P impongono un programma di prevenzione e un monitoraggio costante del tasso di incidenza con la ricerca delle possibili variazioni dei germi causali. La stretta applicazione, presso il nostro centro, di procedure e manovre standardizzate ha determinato un tasso di P molto al di sotto rispetto a quello auspicato dalle più recenti linee guida internazionali (0.12 vs < 0.5).

CONFRONTO TRA VIDEOTRAINING IN TELEMEDICINA E TRAINING TRADIZIONALE A DOMICILIO IN DIALISI PERITONEALE Miscellanea Giusto VIGLINO, Loris NERI, Sara BARBIERI, Catia TORTONE SOC Nefrologia e Dialisi, Ospedale San Lazzaro, Alba INTRODUZIONE

La videodialisi (VD) permette di evitare il drop-out dalla DP e di estenderne l‘utilizzo ai pazienti incidenti con barriere all’esecuzione, apprendimento e mantenimento corretto nel tempo. Tuttavia le barriere talora sono transitorie o non ben definibili e d’altra parte, con il training tradizionale la possibilità di adattare durata e modalità del training alle capacità di apprendimento di tutti i pz è limitata. La VD, grazie al superamento dei limiti spazio-temporali, è stata utilizzata nel nostro Centro anche per il training (VD-Tr) dal 2016, dapprima sporadicamente poi in maniera standardizzata dal 21/09/17, a tutti i pz incidenti o ai loro caregiver (CG). Obiettivo dello studio è stato confrontare il training alla DP effettuato con la Videodialisi (VD-Tr) ed il training effettuato a domicilio in modo tradizionale (Trad-Tr)

METODI

Il VD-Tr, dopo alcuni accessi iniziali a domicilio per mostrare la tecnica (CAPD: 2 o 3 scambi – APD: 3 sedute), è effettuato in telemedicina dal Centro mediante l’apparecchiatura eViSuS mentre il Trad-Tr è effettuato a casa del pz.

Sono stati considerati tutti i primi training effettuati dal 01/01/2014 al 31/08/2019 ai pz incidenti in DP over “primo training” è riferito alla persona addestrata e non al paziente. Sono stati esclusi: 8 pz in RSA/Case di Riposo, 13 pz mantenuti in VD per barriere all’autogestione (fine training “MAI”), 4 training non terminati (2 per Tx, 1 per rifiuto del CG a proseguire, 1 per interruzione prolungata da ospedalizzazione) e 3 training alla PUF.

Il confronto è stato effettuato in CAPD e APD per: durata, accessi a domicilio (Home-Visit), numero di scambi o sedute a domicilio (“Exch-Home” per la CAPD; “Sess-Home” per l’APD) e in VD (“Exch-VD” per la CAPD; “Sess-VD” per l’APD).

RISULTATI

I training considerati sono stati 41 di cui 19 VD-Tr in 16 pts (età: 65,1±15,1 anni; DM: 25,0%; CG 43,7%) e 22 Trad-Tr in 18 pz (età: 69,7±14,7 anni; DM 38,9%; CG 72,2%).

Il confronto tra i due tipi di training è riportato in Tabella 1 ed in Figura 1.

 width=Il “periodo di calendario” del training (che comprende anche i giorni in cui il training è momentanemante interrotto per festività od altre esigenze) è risultato, in particolare per l’APD,  superiore con il VD-Tr (VD-Tr = IQR 9,0-18,0 giorni; Trad-Tr = (IQR) 8,5-11,5 giorni), suggerendone una maggior adattabilità alle possibilità del pz/CG.

CONCLUSIONI

VD-Tr ha la stessa efficacia del Trad-Tr riducendo in maniera significativa gli accessi a domicilio e maggior adattabilità alle possibilità di apprendimento.

LA VIDEODIALISI COME CAREGIVER VIRTUALE PER IL SUPERAMENTO DELLE BARRIERE ALL’AUTOGESTIONE DELLA DP – RISULTATI DI UNO STUDIO MULTICENTRICO Miscellanea Autori: Giusto VIGLINO (1), Loris NERI (1), Sara BARBIERI (1), Simonetta CARIA (2), Katia CANNAS (2), Gianmario AVIDANO (3), Giuseppe ROMBOLA’ (3), Massimo SANDRINI (4), Valerio VIZZARDI (4) (1) SOC di Nefrologia e Dialisi, Ospedale San Lazzaro, Alba – (2) S.C. Territoriale di Nefrologia e Dialisi – ASL Cagliari – (3) ASST dei SETTE LAGHI, Nefrologia e Dialisi, Ospedale di Varese – (4) ASST Spedali Civili, Nefrologia e Dialisi, Brescia OBIETTIVI

Allo scopo di superare le barriere psicologiche, cognitive e fisiche all’autogestione che limitano l’utilizzo della DP, in particolare negli anziani, abbiamo ideato e sviluppato un sistema di assistenza da remoto chiamato Videodialisi (VD).

L’esperienza della Videodialisi (VD) (Fig. 1) in un Centro ne ha dimostrata l’efficacia come Caregiver (CG) virtuale nel superare le barriere alla autogestione della DP.

Obiettivo di questo lavoro è stato verificarne la validità anche in altri Centri.

MATERIALI E METODI

Studio Multicentrico Prospettico Osservazionale dal 01/04/17 al 30/04/19 di pazienti (pz) incidenti in DP con indicazione alla VD per barriere alla autogestione o condizioni cliniche che ne richiedevano frequenti controlli.

La valutazione delle barriere è stata effettuata secondo un percorso strutturato predefinito.

Durante il periodo di osservazione sono stati considerate le peritoniti, i ricoveri, i cambi di metodica ed è stata indagata con un questionario l’opinione dei pz/CG sulla VD.

RISULTATI

Pazienti/CG – La VD è stata utilizzata per 11 pz (età: 69,0±12,4 anni; M: 6 pz; CAPD: 8 pz): in 6 casi era guidato il pz ed in 5 il CG. Le motivazioni alla VD erano la presenza di barriere in 9 pz (cognitive: 6; psicologiche: 3) e la complessità clinica in 2 pz.

Outcome – Il follow up medio è stato di 13,5±10,1 mesi. La VD è stata interrotta in 6 pz: 1 decesso, 1 Tx,  2 per raggiunta autonomia dopo 3 e 6 mesi;  2 passati a DP assistita da CG autonomo.

Peritoniti – In 148 mesi-pz non sono state registrate peritoniti.

Questionario di gradimento – Positivo per tutti; gli aspetti più apprezzati sono risultati il contatto con il personale, la sicurezza, l’aiuto alla cura e non pesare sui famigliari.

Nel corso dello studio la VD è stata utilizzata anche per il training di 23 pz (di cui 6 in RSA).

CONCLUSIONI

L’esperienza multicentrica conferma la validità della VD come CG virtuale per il superamento delle barriere all’autogestione, e ne evidenza un possibile impiego anche per il training di tutti i pz. width=

EFFICACIA DELLA VIDEODIALISI NEL RIDURRE GLI ACCESSI IN CENTRO DEL PAZIENTE IN DP DOMICILIARE Miscellanea Loris NERI, Giusto VIGLINO, Sara BARBIERI, Danilo DI MATTEO, Catia TORTONE SOC Nefrologia e Dialisi, Ospedale San Lazzaro, Alba INTRODUZIONE / OBIETTIVI

La DP è considerata un trattamento autogestito a domicilio. Tuttavia molteplici sono le occasioni per le quali il paziente (pz) deve recarsi in Centro o l’infermiera a domicilio.

La Videodialisi (VD) consente di superare le barriere fisiche, psicologiche e cognitive del pz all’autogestione della dialisi peritoneale (DP). In questo lavoro abbiamo voluto verificare retrospettivamente se gli accessi in Centro dei pz con VD (SI VD) erano diversi da quelli senza VD-CG (NO VD).

MATERIALI E METODI

Sono stati considerati tutti i pz incidenti nel periodo 01/08/2014-31/07/2018 con almeno i primi 12 mesi di follow up continuativo in DP (fine osservazione 31/07/2019). Dei 44 pz incidenti sono stati esclusi in successione 7 in RSA, 9 con follow up <12 mesi, 3 con dati incompleti, 2 in PUF, 2 per stop temporaneo della DP >3 mesi, 6 per utilizzo temporaneo della VD. Dei 15 pz rimanenti ed inclusi nello studio 8 non hanno mai utilizzato la VD  (Gruppo NO-VD – 73,9±18,6 anni; CCI 7,5±3,1; DM 3; CAPD 6) mentre 7 hanno utilizzato la VD in modo continuativo (Gruppo SI-VD – 74,8±5,1 anni; CCI 7,4±2,3; DM 2; CAPD 4 – N.S.), in 2 casi per condizioni cliniche critiche/difficoltà di trasporto ed in 5 per l’esecuzione della procedura dialitica.

Gli accessi in Ospedale (Tabella I) sono stati distinti in dipendenti o indipendenti dalla dialisi. Gli accessi legati alla dialisi sono stati distinti in programmati e non programmati mentre degli accessi indipendenti dalla dialisi sono stati considerati solo quelli urgenti o imprevisti (non programmati). Il numero di accessi è espresso in eventi per anno per paziente.

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RISULTATI

Gli eventi dialitici programmati sono risultati complessivamente di meno nel Gruppo SI-VD (Tabella II) (16,1±5,3 vs 23,3±9,5 – N.S.), in particolare la differenza è risultata significativa per re-training e verifiche.

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Anche gli eventi dialitici non programmati sono risultati di meno nel Gruppo SI-VD anche se ai limiti della significatività (Tabella II), in particolare per problemi di volemia (0,3 vs 1,5 ep/anno/pz) e di sospetta peritonite (0,3 vs 0,9 ep/anno/pz), rivelatasi tale solo in 1 caso!! La valutazione dell’andamento temporale nei 4 trimestri del follow up mostra come l’incidenza di tali eventi sia maggiore nel primo trimestre (50,5% degli accessi in Centro/Domicilio) rispetto i successivi (Figura 1).

Nessuna differenza per gli eventi non dialitici non programmati.

CONCLUSIONI

La VD consente di ridurre gli accessi in Ospedale.in particolare per re-training e verifiche e verosimilmente anche per problemi dialitici non programmati, maggiormente frequenti nei primi 3 mesi della DP.

PERITONITE SCLEROSANTE DOPO TRAPIANTO DI RENE NEI PAZIENTI IN DIALISI PERITONEALE: GLI INIBITORI DELLE CALCINEURINE SONO UN FATTORE DI RISCHIO? Peritonite-EPS Valerio Vizzardi1, Massimo Sandrini1, Vincenzo Terlizzi1, Mattia Tonoli2, Marianna Moscato2, Francesco Scolari1,2. 1UOC di Nefrologia, ASST-Spedali Civili di Brescia. 2Scuola di Specializzazione in Nefrologia, Università degli Studi di Brescia. INTRODUZIONE. La peritonite sclerosante classica (C-EPS) seppur rara, è la più grave e temuta complicanza della dialisi peritoneale (DP) la cui prevalenza (variabile dallo 0.7 al 3.3%) aumenta con l’aumentare del tempo trascorso in DP. La mortalità per C-EPS varia dal 25 al 55%. La EPS che insorge dopo trapianto di rene (PT-EPS), non ha una ben definita prevalenza e gli inibitori delle calcineurine (CNI-i) sembrano facilitarne la genesi.

PAZIENTI E METODI. Studio monocentrico, retrospettivo sui pazienti incidenti in DP dal 12/07/1979 al 31/12/2018 con almeno due mesi di dialisi. Analisi dei dati clinici e dialitici dei pazienti non-trapiantati (NT-DP) e trapiantati (TX-DP).

RISULTATI. Dal 12/07/1979 al 31/12/2018 nei 1014 pazienti in DP da più di due mesi sono stati eseguiti 234 trapianti (in 215 pazienti): 188 (87.4%) da donatore deceduto, 14 (6.5%) da donatore vivente, 11 (5.1%) doppi trapianti e due (0.9%) trapianti combinati di rene-pancreas. Tredici (6.0%) pazienti hanno in seguito ricevuto un secondo trapianto e tre pazienti (1.4%) un terzo. I 799 (78.9%) pazienti NT-DP hanno trascorso una mediana di 26 mesi (IQR 10-44; range 2-225) in DP. I 215 (21.2%) pazienti TX-DP hanno trascorso in DP una mediana di 27 mesi (IQR 16-46; range 2-148; p= 0.38). Complessivamente sono stati diagnosticati 26/1014 (2.6%) casi di EPS: 21 (2.6%) nei 799 pazienti NT-DP (C-EPS) e 5 (2.3%: p= 0.39) nei 215 pazienti TX-DP (PT-EPS). Nei cinque pazienti con PT-EPS, la durata mediana della DP alla diagnosi era di 79 mesi (IQR 54-97; range 36-100) contro 103 mesi (IQR 42-156; range 17-211; p= 0.33) nella C-EPS. La sopravvivenza cumulativa da EPS non era significativamente diversa tra i pazienti PT-EPS e C-EPS (p= 0.38). Tra i cinque pazienti affetti da PT-EPS solo uno ha sviluppato la EPS dopo un breve periodo (6 mesi) dalla cessazione della DP, come di solito si verifica nei pazienti DP trapiantati. Il paziente è deceduto 114 mesi dopo la diagnosi di EPS, per complicanze intestinali intercorse due giorni dopo il secondo TX. L’EPS è stata la quindicesima causa di morte nei pazienti NT-DP (8/662= 1.2%) e la settima nei pazienti TX-DP (2/47= 4,3%, dopo 11 e 46 mesi dalla diagnosi). L’83% dei pazienti TX-DP senza EPS è stato sottoposto a terapia di mantenimento con CNI-i in associazione con altri farmaci, principalmente con mTOR-i e con steroide + azatioprina. Ventitre (10.7%) di quesi pazienti sono stati trattati esclusivamente con CNI-i, per un totale di 40 mesi. I 5 pazienti con PT-EPS hanno assunto CNI-i soprattutto in associazione con steroide.

CONCLUSIONI. I CNI-i sono stati usati in egual misura in tutti i pazienti DP trapiantati ma solo il 2.3% di essi ha sviluppato la EPS, con una prevalenza simile a quella dei pazienti DP non trapiantati. L’associazione di CNI-i con altri farmaci potrebbe essere il fattore protettivo da utilizzare per trapiantare in sicurezza anche i pazienti provenienti dalla DP.

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FOLLOW UP INTEGRATO DELLO SCOMPENSO CARDIACO. ORGANIZZAZIONE E VALUTAZIONE DI FATTIBILITA’. Epidemiologia-Valutazione clinica (1) Virginia BOVOLO, (1) Antonio DELLA VALLE, (2) Loris NERI, (2) Giusto VIGLINO, (3) Federica SALOMONE, (3) Fulvio POMERO, (4) Valentina VENTURINO, (5) Elio LAUDANI (1) SC Cardiologia – (2) SC Nefrologia e Dialisi – (3) Medicina Interna – (4) Direzione Sanitaria – (5) Medicina del Territorio – Presidio Ospedaliero – ASL CN2 OBIETTIVI

La gestione domiciliare integrata dello scompenso cardiaco (SC), necessaria per migliorarne l’outcome, presenta diverse analogie con la DP. Riportiamo la verifica preliminare di fattibilità di un progetto di follow up domiciliare dei pz affetti da SC della nostra ASL che ha coinvolto medici e infermieri dei Servizi di Cardiologia, Medicina Interna, Nefrologia, Medicina del Territorio e Direzione Sanitaria

METODI

Definizione degli interventi “elementari” (tipo e tempo impiegato) del follow up a carico del paziente/caregiver (rilevazione parametri, esami, gestione terapia) e del personale sanitario (contatto telefonico 20’, visita infermieristica 30’, visita specialistica territoriale 60’ e ospedaliera 60’).

Definizione della gravità dello SC da assegnare al pz ricavata dallo Score MAGGIC (1) ripartito in 3 classi di rischio di morte a 3 anni (Figura 1) e del grado di idoneità all’autogestione mediante valutazione mutuata (semplificata) dal Predialisi (barriere e strumenti tra cui la “Videodialisi”). Frequenza, operatori coinvolti e modalità degli interventi sono stati definiti in base a rischio, prossimità alla dimissione (primi 6 mesi o successivi) e autonomia gestionale (Figura 1).

Valutazione della fattibilità mediante analisi dei ricoveri con DRG 127 nel triennio 2016-2018 (periodo esteso per l’analisi dei trend ai ricoveri con ICD 428.nn ed al periodo al 2012-2015) integrata con i risultati di una indagine epidemiologica condotta presso i MMG dell’ASLCN2. Da tali dati è stato calcolato il carico di lavoro che un approccio sistematico di follow up dello scompenso comporterebbe.

RISULTATI

Incidenza e prevalenza. Nel periodo 2016-2018 sono stati dimessi con DRG 127 (esclusi i deceduti nei primi 15 giorni post-dimissione), 555 pazienti (età 80,5 ± 9,7 anni – sopravvivenza mediana 31,4 mesi). Allo steady state, alla fine del 3° anno, risultano 400 pz prevalenti con 140 nuovi casi (e 140 decessi) per anno. I pazienti “stabili” prevalenti stimati dall’indagine epidemiologica sono risultati 1.100.

Carico di lavoro (fattibilità). Complessivamente le ore richieste sono risultate 1.222 per i contatti telefonici, 1.897 per le visite infermieristiche, 1.661 per il Cardiologo del territorio e 141 per quello Ospedaliero che, alle disponibilità orarie contrattuali (36 h per 44 settimane) corrispondono a 2 infermieri e ad 1 cardiologo territoriale e al 10% del lavoro di un Cardiologo Ospedaliero.

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LIMITI E CONCLUSIONI

Il costante calo del DRG 127 ma non di ICD 428 nel periodo 2012-19, la distribuzione delle classi di rischio ricavata dalla letteratura  e l’epidemiologia del territorio limitata alla prevalenza rendono la stima dello steady state molto incerta. L’avvio del percorso dei prossimi mesi consentirà di verificarne le reali necessità assistenziali, fattibilità e gli effetti sugli outcome.

Il 3.86 PET test: test funzionale peritoneale ed efficace strumento per   prescrizione dialitica e per sospensione dialisi peritoneale Casi Clinici L.Lisi, C. Binaghi, F. Chirico, N. Ronchi, D. Vacca, L. Bai, S. Milani, P. Serbelloni, M. Righetti, G. Battini,C. Lagona, L. Merlino, E. Sironi, G. Beretta, G. Ferrario U.O.C. di Nefrologia e Dialisi, ASST di Vimercate, Vimercate ( MB) INTRODUZIONE

Il 3.86 PET test è un test funzionale della membrana peritoneale che, nella sua forma standard, attraverso  la rilevazione del D/P della creatinina a 240 minuti, la UF peritoneale a 240 minuti ed il Delta del Sodio a 60 minuti , permette di evidenziare le caratteristiche di permeabilità della membrana ed impostare  una corretta prescrizione dialitica,  individuare una UFF  e  valutare le modifiche funzionali della membrana stessa nel corso del tempo, fornendo così informazioni utili  ai fini  della decisione di  sospensione della metodica stessa.

CASI CLINICI

Riportiamo 2 casi clinici  in cui il 3,86 PET test si è rilevato fondamentale per la decisione di proseguire la dialisi peritoneale oltre un certo numero di anni.

1° caso

Paziente di 69 in dialisi peritoneale da 10 anni . Prima di iniziare il trattamento dialitico era già iperteso ed affetto da cardiopatia  ischemica  con  episodio di  IMA infero.-settale. A gennaio 2010 riscontro di grave insufficienza renale, misconosciuta fino a quel momento. In data 11 febbraio 2010 ha  iniziato la  CAPD. Nel marzo 2010 è stato sottoposto a quadruplice BPAO.  Nessun episodio infettivo peritoneale in questo decennio di trattamento dialitico ! Il paziente ha ancora una buona diuresi residua ( 1500 cc/die), ha sempre effettuato soluzioni dialitiche a bassa concentrazione di glucosio , 3 scambi dialitici giornalieri e, grazie al monitoraggio annuale con il 3.86 PET test, ha potuto continuare questa metodica dialitica in sicurezza, ed ancora oggi presenta delle caratteristiche funzionali buone, predittive di ulteriore prosecuzione di tale tecnica senza  problemi. Nel corso degli anni è virato da medio a  lento trasportatore , la sua UF peritoneale dopo 4 ore di test è di circa 700 cc ed il suo Delta del Sodio attuale è ancora 10. Il pz depone buone condizioni cliniche.

2° caso

Paziente di 72 aa in dialisi peritoneale dal 13 gennaio 2009 per IRC secondaria a nefropatia ad IgA. Affetto da tumori cutanei  recidivanti  e da pregresso melanoma che  hanno impedito il mantenimento in lista trapianto rene. Pz anurico da oltre 5 anni.

Nel corso degli anni  ha presentato alcuni episodi di peritonite di cui l’ultimo nel gennaio 2019. Si sono modificate nel tempo le caratteristiche funzionali del suo peritoneo, ma ancora oggi  non ha UFF, attualmente è un medio lento trasportatore ed ha un Delta del Sodio di 7. La sua UF giornaliera è in media di 1400-1500 cc con utilizzo di 3 x 2.3% di glucosio ed Icodestrina notturna . Condizioni generali buone.

CONCLUSIONI

Non si può stabilire a priori  la durata della dialisi peritoneale perchè ognuno ha caratteristiche peritoneali proprie e diverse dagli altri.  Nel nostro Centro abbiamo al momento 2 pz che effettuano tale metodica da 10 anni e oltre con beneficio clinico  e non hanno  segni di evoluzione verso EPS. Fondamentale è il monitoraggio periodico funzionale della membrana peritoneale con il 3.86 PET test .

 

Le alterazioni del metabolismo minerale osseo nei pazienti in dialisi peritoneale: nuovi e vecchi biomarkers a confronto. CKD MBD-Anemia G. D’Ettorre, S. Matino, G. Pertosa, L Gesualdo, R. Russo UOC di Nefrologia, Dialisi e Trapianti, AOU Policlinico – Bari INTRODUZIONE. I disturbi del metabolismo minerale osseo (Mineral and Bone Disorders, MBD) nei pazienti con Malattia Renale Cronica (CKD) si associano frequentemente ad alterazioni dei livelli sierici di calcio, fosforo e paratormone. Questa popolazione presenta un aumentato rischio di calcificazioni a livello vascolare e di morte per eventi cardiovascolari. Nuovi marcatori ossei sono stati studiati per meglio definire il quadro della CKD –MBD, ma i dati nell’ambito della dialisi peritoneale sono scarsi. Tra questi annoveriamo: MPG (Matrix GLA protein), che agisce come inibitore locale delle calcificazioni, TRAcP (Serum Tartrate Resistant Acid phosphatase), marker di riassorbimento osseo, e P1NP (Aminoterminal Propeptide of Type I procollagen), marcatore di deposizione di matrice ossea.
Scopo del nostro studio è stato quello di valutare i livelli sierici di MPG, TRAcP, P1NP in pazienti in dialisi peritoneale e correlarli con i marcatori classici di CKD – MBD.
MATERIALI E METODI. Sono stati studiati 18 pazienti in trattamento dialitico peritoneale (7 M e 11 F, età media 56,7 ± 17,3 anni, età dialitica media 22 mesi, range 2 – 78 mesi). Sono stati misurati i livelli sierici di
calcio, fosforo, vitamina D e PTH, fosfatasi alcalina, MPG, TRAcP e P1NP.
RISULTATI. Il 36% dei pazienti presentava valori elevati di PTH (>300 pg/ml), con calcemia nei limiti della norma nel 73% dei casi (v.n. 8.5 – 10.1 mg/dl) ed iperfosforemia (>5.0 mg/dl) nel 50% dei casi.
L’ipovitaminosi D (1,25 OH – D) è stata riscontrata in tutti dosaggi nonostante la terapia con Vitamina D e analoghi (89%). La fosfatasi alcalina era nell’83% dei casi oltre il range (139,2 ± 59,2; v.n. 43 -115 U/L). Il 78% dei pazienti utilizzava terapie con fosforo chelanti (di cui 28% fosforo chelanti contenenti calcio) in aggiunta alla dieta a basso contenuto di fosforo. Il 77% dei pazienti presentava valori ridotti di MPG (353,9± 79,8; v.n. 300-824 pmol/L). Il TRAcP risultava significativamente (p<0,01) aumentato nel 28% degli uomini (5,7 ± 3,1 v.n. 1.4 – 6.1 U/L) e nell’72% delle donne (6,7 ± 3,2; v.n. post menopausa 1.2 – 4.8 U/L). Infine, il 67% dei pazienti presenta valori di P1NP nei range della norma (110,3 ± 64,5; v.n. 27.7 – 127.6 ng/ml). Il PTH correlava significativamente con TRAcP (r = 0,882, p<0,001) e P1NP (r = 0,818, p=0,002). La correlazione di MPG con il prodotto Ca x P e con la calcemia non è risultata, invece, statisticamente significativa.
CONCLUSIONI. La maggior parte (72%) dei nostri pazienti in dialisi peritoneale mostra i segni bioumorali di un intenso rimaneggiamento osseo e/o basse concentrazioni di inibitori delle calcificazioni vascolari. Nuovi biomarker del turnover osseo (MGP, TRAcP, P1NP) possono contribuire a caratterizzare queste alterazioni e ad ottimizzare e personalizzare il trattamento farmacologico, contribuendo, nel contempo, a ridurre il rischio cardiovascolare e la mortalità in questo setting di pazienti.
Ruolo della Lercanidipina in un caso di Chiloperitoneo Casi clinici Simona Silvestri (1), Maria Anna Pirrottina (2) Nefrologia e Dialisi Ospedale Madonna del Soccorso San Benedetto del Tronto (1) Nefrologia e Dialisi Ospedale Madonna del Soccorso San Benedetto del Tronto(2) Il chiloperitoneo è una rara complicanza che può interessare i pazienti in dialisi peritoneale. Si caratterizza per la presenza di liquido intraddominale lattescente ricco in trigliceridi ed in assenza di sintomi e segni indicativi di peritonite. Tra le varie cause di chiloperitoneo è ormai riconosciuto l’utilizzo di calcio-antagonisti. Il meccanismo causale sembrerebbe correlabile all’effetto dei calcio  antagonisti sulle cellule muscolari lisce dei vasi linfatici, in particolare sui canali L del calcio aumentandone la permeabilità.

In questo case report riportiamo un caso di chiloperitoneo  correlato all’utilizzo di Lercandipina

Paziente maschio di 43 anni affetto da IRC  secondaria a Glomerulonefrite IgA Mesangiale (diagnosi bioptica nel 2019) in terapia antiproteinurica con ACE-inibitore. Visto il peggioramento progressivo degli indici di funzionalità renale veniva sospesa terapia con ACE-I, impostata terapia antipertensiva con Lercanidipina e posizionato catetere peritoneale tipo Vicenza per inizio di terapia dialitica peritoneale. Dopo un mese, durante i lavaggi della cavità peritoneale e prima dell’inizio del trattamento sostitutivo si assisteva alla comparsa di liquido di drenaggio lattescente. Il paziente non presentava dolore addominale, né nausea, né febbre.

Venivano effettuati analisi chimico-fisiche e colturale non indicativi per peritonite (G.B pari a 0,003 x10^3/uL con esame colturale negativo). All’esame chimico-fisico incremento dei valori di trigliceridi nel liquido peritoneale. Nella norma emocromo, indici di colestasi e pancreatici. Un’ecoaddome completato da un esame tc addome con mezzo di contrasto escludeva patologie neoplastiche e complicanze postoperatorie alla base del chiloperitoneo.

Alla luce di tali dati, e nel fondato sospetto di una correlazione con la terapia con calcio antagonista, veniva sospesa Lercanidipina e sostituita con Ramipril assistendo ad una progressivo e repentino miglioramento dell’aspetto del liquido peritoneale.

Anche nel caso descritto quindi, la comparsa di liquido chiloso sembra avere come primum movens la lercanidipina. Tuttavia il meccanismo causale, seppur ipotizzabile, è ancora in fase di studio.

CKD IN STADIO 5: E’ SUBITO DIALISI? Predialisi-Scelta dialitica Cannarile Daniela Cecilia (1), Gibertoni Dino (2), Mancini Elena (1) (1) UO Nefrologia, Dialisi e Ipertensione- IRCCS Policlinico di S.Orsola, Bologna; (2) Department of Biomedical and Neuromotor Sciences, University of Bologna, Bologna Introduzione e scopo. La velocità e modalità di progressione dello stadio 5 della Malattia Renale Cronica (CKD) sono solitamente considerate poco modificabili. Noi abbiamo voluto valutare retrospettivamente i nostri pazienti (pz) in stadio 5 dall’1/1/2016 al 30/06/2018, per analizzarne l’evoluzione funzionale.

Materiale e Metodi. Abbiamo incluso solo pz con follow-up superiore a 6 mesi e almeno 4 controlli clinico-laboratoristici che includessero Clearance Creatinina misurata (ClCr) e GFR stimato con CKD-EPI (eGFR). Il campione comprende 59 pz (45 M) età media 68,4 anni (range 35-90). Tempo medio di follow-up 20,5 mesi (mediana 14.9 mesi), numero medio di controlli 10/pz. Per ogni pz abbiamo analizzato: 1) concordanza  tra eGFR e ClCr (analisi di Bland-Altman), modalità di progressione (rapida(R): perdita di GFR>5 ml/min/anno; lenta(L): perdita di GFR compresa fra 1 e 5ml/min/anno; non evolutiva (NE) : perdita di GFR <1 ml/min/anno oppure guadagno funzionale); 2) correlazione tra ClCr, GFR e alcuni parametri clinico-laboratoristici (diabete, controllo pressorio, utilizzo ACEi/ARB, CIC, AOCP, proteinuria, Hb, ac urico, PTH, fosforemia) mediante analisi bivariata e un modello di regressione multinomiale multipla..

Risultati. ClCr ed eGFR hanno mostrato una elevata concordanza, specialmente per valori di GFR < 12 ml/min. Slope medio di eGFR: -3.05±3,68 ml/min/anno, della ClCr: -3,73±5,8 ml/min/anno. Lo slope della velocità di progressione mediante eGFR si è distribuito secondo una gaussiana (R 17%; L 57.6%; NE 25.4%) con andamento non statisticamente diverso rispetto alla progressione valutata con ClCr. Non è stata trovata alcuna correlazione tra eGFR e diabete, CIC, Hb, ac urico, PTH, fosforo. All’analisi bivariata la maggior progressione del danno renale cronico è risultata associata con lo scarso controllo pressorio (p=0.038) e con l’assunzione di ACEi/ARBs (p=0.043). Nel modello multivariabile invece, soltanto l’arteriopatia obliterante periferica è risultata associata ad un maggior rischio di progressione rapida (relative risk ratio = 5.97).

Discussione. Meno di un quinto dei pz ha una perdita di filtrato > 5ml/min/anno, e questa rapida progressione sembra correlarsi alla presenza di AOCP e allo scarso controllo pressorio. Per il rimanente 80% circa dei pz si prospetta invece una evoluzione lenta o addirittura la possibilità di stabilizzazione o miglioramento funzionale. Si  conferma quanto comincia ad emergere in letteratura, cioè che anche nello stadio CKD5 un attento monitoraggio e puntuali strategie terapeutiche possono ancora modificare e rallentare la progressione funzionale. Questi dati, pur nel limite della bassa numerosità, incoraggiano a non ritenere lo stadio 5 della CKD un inesorabile e breve viaggio verso la terapia sostitutiva.

ANALISI DEL FLUSSO DI PAZIENTI (PZ) INCIDENTI IN DODICI MESI PRESSO UN CENTRO DIALISI PUGLIESE MEDIANTE L’UTILIZZO DEL PATIENT FLOW ANALYSIS (PFA) DOPO IMPLEMENTAZIONE DI MODELLI GESTIONALI ED OPERATIVI: COSA E’ CAMBIATO IN UN ANNO DI PANDEMIA. Predialisi-Scelta dialitica S. Porreca (1), L. Saponara (2), C. Benigni(3) (1) U.O.C. di Nefrologia e Dialisi, P.O. Di Venere, ASL Bari ; (2) U.O.S.V.D. di Nefrologia e Dialisi – P.O. “F.Perinei” – Altamura – ASL BA. (3) Baxter International Inc. Ad inizio 2020 avevamo presentato i dati di un centro, raccolti tra il 2018 ed il 2019 con l’utilizzo del database PFA, nel quale, mediante interventi di ottimizzazione delle cure, (ambulatorio di pre-dialisi, team medici/infermieri dedicato, campagne di informazione), erano implementati sia i processi operativi strutturati che i pz che sceglievano la dialisi peritoneale (DP), con una incidenza complessiva al 27,8%, ben oltre la media regionale.

Con la pandemia da SARS-COV2, la sospensione delle attività ambulatoriali e la riduzione degli accessi ospedalieri dei primi mesi del 2020, si è osservata una riduzione del 33,3% degli incidenti totali a terapia sostitutiva.  A fronte di una riduzione del numero di accessi nefrologici tardivi (late referral, 33%,Δ- 34%), come risultato del lavoro svolto nei mesi precedenti, si è osservato un crollo degli accessi vascolari programmati nei pz early referral (ER) (FAV e CVC tunnellizato) (Δ-83,9%), indice di complessità del contesto clinico-organizzativo (indisponibilità del chirurgo/sale operatorie, complessità vascolari dei pz). Il 50,5% degli accessi programmati avveniva con CVC temporaneo (Δ+ 50%). Il 37,5% degli ER sceglievano comunque il trattamento di DP (+68,9%) a riprova del lavoro di formazione predialitica svolto nei mesi precedenti, con una incidenza complessiva del 25%.

In conclusione, l’aver adottato dei validi modelli gestionali ed operativi si è rivelato essenziale per riuscire ad implementare le terapie domiciliari anche nel contesto sociale pandemico.